Consultinvest: sono davvero confrontabili i fondi della stessa categoria?

I PEER GROUP – Molti investitori pensano che la selezione dei fondi consista nell’ individuazione di tutti i fondi con una strategia omogenea (cosiddetti “peer group”) e nella successiva analisi quantitativa delle performance con l’obiettivo di identificare i migliori del gruppo, si legge in una nota di Consultinvest. Questa è sicuramente una buona base di partenza perché evita l’errore piuttosto comune di inserire nel campione da analizzare fondi non confrontabili tra loro in quanto assumono sistematicamente esposizioni di stile o di settore o di dimensione. Ad esempio inserendo in un unico gruppo fondi che investono sulle società a grande capitalizzazione e fondi specializzati sulle medio-piccole aziende. In questo caso il procedimento corretto sarebbe quello di fare a priori la scelta di asset allocation tra large e small cap e, solo successivamente, analizzare il campione large o small cap con i propri criteri per identificare il migliore tra gli uni o gli altri. Non si deve però dimenticare che qualunque analisi quantitativa (delle performance nel caso dei fondi, dei bilanci nel caso delle aziende) è un esercizio che guarda al passato, piuttosto che al futuro. Come infatti troviamo evidenziato su qualunque prospetto informativo o pubblicità finanziaria, i rendimenti passati non sono garanzia di performance future. Tuttavia se utilizzato con la consapevolezza delle sue limitazioni e progettato utilizzando i criteri che si ritengono più adatti al proprio stile di investimento (ad esempio privilegiando una maggiore gestione attiva oppure la capacità di gestire le fasi di ribasso) costituisce una buona base di partenza.

SORPRESE IN AGGUATO – Ma anche quando il peer group è omogeneo ci si può trovare di fronte a molte sorprese, aggiunge la nota. Consideriamo ad esempio i fondi/ETF Azionari Europa sulle società a grande capitalizzazione senza connotazione di stile o settoriale (cd “blend”). Secondo Morningstar i fondi con almeno tre anni di storia, denominati in Euro e con un patrimonio superiore a 50 milioni di Euro, sono oltre 300. In un campione che dovrebbe risultare omogeneo le performance annualizzate sui tre anni sono comprese tra -0.97% e 11.44% (MSCI Europe 5.72%), la variabilità dei rendimenti è compresa tra 8.81% e 16.80% (MSCI Europe 12.93%), la massima perdita nel periodo (drawdown) è compresa tra 7.22% e 27.11% (MSCI Europe 16.04%) e la variabilità rispetto all’indice MSCI Europe (tracking error) è compresa tra 0.09% e 9.09%. Quindi in un campione che a priori dovrebbe essere piuttosto omogeneo, ci sono fondi che hanno sovraperfomato o sottoperformato l’indice di oltre 5% all’anno negli ultimi tre anni, fondi che hanno avuto una volatilità inferiore o superiore di un terzo rispetto a quella dell’indice e fondi che sono riusciti a dimezzare la massima perdita rispetto all’indice o che la hanno avuta superiore del 50%. Inoltre il grado di gestione attiva varia da fondi passivi/ETF, con tracking error prossimo allo zero, a fondi molto attivi con tracking error di 9%. Tutto questo, ricordiamo, su un campione di fondi non connotati per stile (growth o value) o per capitalizzazione (small o mid cap), in quanto questi fondi sono inseriti da Morningstar in altri peer group.La situazione non cambia di molto anche considerando un campione di fondi obbligazionari a medio-lunga scadenza, come i governativi Euro, dove troviamo oltre 150 fondi. In questo caso le performance annualizzate sui tre anni sono comprese tra -0.13% e 7.17% (Citigroup EMU Government Bond Index 4.58%), la variabilità dei rendimenti è compresa tra 0.75% e 7.58% (Indice 4.56%), la massima perdita nel periodo (drawdown) è compresa tra 0.65% e 9.03% (Indice 5.41%) e la variabilità rispetto all’indice Citigroup EMU GBI (tracking error) è compresa tra 0.12% e 5.54%. Intervalli più contenuti rispetto all’azionario, dato che la variabilità nell’universo investibile obbligazionario è più limitata rispetto all’azionario, ma comunque significativi.

SOLUZIONI POSSIBILI – Quale dunque la soluzione ? Si potrebbe pensare all’utilizzo di Etf, in modo da ridurre il rischio di sottoperformare l’indice, ma si rinuncerebbe alla possibilità di scegliere i fondi che hanno dimostrato di aggiungere valore con la gestione attiva o che sono meno volatili del benchmark o che sono abili nel ridurre le perdite in caso di mercati al ribasso.Un’altra soluzione potrebbe essere quella di dividere ulteriormente il peer group, ad esempio in tre livelli di tracking error, per avere gruppi ancora più omogenei, dividendo tra fondi passivi, attivi e fondi che seguono strategie cd “benchmark unaware” (es. posizioni concentrate, alta percentuale di active share). In questo caso si sposta però a monte la decisione di quale campione scegliere per l’investimento.
La soluzione più efficiente a nostro giudizio è quella che coniuga un’analisi quantitativa coerente con il proprio stile di investimento su un peer group omogeneo, con una analisi qualitativa volta alla conoscenza dei vari processi di investimento e alle caratteristiche distintive di ogni società di gestione. Questo può mettere in condizione di capire quali sono le fasi di mercato in cui ogni fondo può comportarsi al meglio e quelle in cui è meno indicato, ma richiede uno sforzo considerevole rispetto a una semplice analisi quantitativa e una conoscenza del mercato approfondita. Si tratta più di un’arte che non di una scienza, dove l’esperienza accumulata negli anni e una sana dose di buon senso sono i fattori critici per identificare i fondi più adatti al profilo di rischio/rendimento dell’investitore o alla politica di investimento del fondo di fondi. I fondi migliori in assoluto e in ogni condizione di mercato, purtroppo, non esistono, conclude la nota di Consultinvest.

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