Bnp Paribas Ip: primo trimestre generalmente buono, è tempo di verifiche?

PRIMO TRIMESTRE POSITIVO – Il primo trimestre è stato complessivamente positivo per gli strumenti finanziari a maggior rischio, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. Gli indici azionari internazionali hanno guadagnato terreno: i paesi emergenti hanno registrato una performance più elevata rispetto alle aree avanzate e, nell’ambito di queste ultime, l’Europa ha fatto leggermente meglio dei mercati di Stati Uniti e Giappone. Sul piano settoriale spicca la performance dell’informatica, mentre nei paesi emergenti il settore industriale e i beni di consumo discrezionali hanno fatto segnare andamenti particolarmente positivi. Nel comparto obbligazionario, i titoli societari high yield e il debito emergente in valuta forte si sono comportati meglio rispetto alle obbligazioni investment grade e ai titoli di Stato. Infine, le materie prime si sono complessivamente deprezzate sulla scia del ribasso del greggio e il dollaro USA si è lievemente indebolito rispetto all’euro. Nel corso del trimestre gli indici di fiducia di consumatori e imprese si sono decisamente rafforzati, trainando al rialzo i listini azionari – malgrado le incertezze legate alla situazione politica – e facendo salire ulteriormente le quotazioni di numerose tipologie di attivo. Inoltre l’accelerazione dei prezzi al consumo a livello globale – che comincia a incidere sui comportamenti di famiglie e banche centrali – rappresenta un ulteriore motivo per guardarsi dall’eccessivo ottimismo.

PMI: VICINO AL PUNTO DI SVOLTA – Gli indici redatti in base alle dichiarazioni dei responsabili degli acquisti (PMI) confermano un contesto positivo nell’area dell’euro: il PMI manifatturiero è migliorato in Francia, Germania e Italia, aggiunge van Leenders. L’indice ha invece registrato una flessione negli Stati Uniti per il secondo mese consecutivo e in Giappone. Il quadro non è uniforme nemmeno nei paesi emergenti: in Turchia questo indicatore ha registrato un rialzo inatteso alla luce dell’incerta situazione politica sia nel paese sia nell’area. In Russia il PMI ha superato la soglia dei 50 punti grazie all’avvio del rincaro del greggio, mentre in Messico la fiducia delle imprese è stata sorretta dalla valuta che resta debole, ma su livelli stabili. La fiducia in India ha recuperato terreno in tempi abbastanza rapidi dopo le turbolenze provocate dalla demonetizzazione delle banconote di grosso taglio molto diffuse. In Cina, il PMI manifatturiero ufficiale ha registrato un lieve incremento, mentre l’indice relativo al settore dei servizi è salito ai massimi degli ultimi due anni. Tuttavia, sempre in Cina, il PMI manifatturiero elaborato da Markit si è indebolito ed anche il PMI della Corea del Sud è sceso ulteriormente sotto i 50 punti, segnalando in prospettiva una perdita di slancio dell’economia. Per quanto riguarda il quadro complessivo, pare che l’ottimismo eccessivo potrebbe offuscarsi, in particolare negli USA: il tentativo di abrogare il programma di assistenza sanitaria Obamacare per il momento non è andato a buon fine ma riteniamo che vi saranno nuove iniziative in tal senso. Ad ogni modo, il braccio di ferro al Congresso sull’abrogazione di questa legge potrebbe avere conseguenze per la riforma fiscale, nel senso che gli sgravi potrebbero rivelarsi notevolmente più esigui rispetto alle promesse della campagna elettorale. Per il momento, la crescita economica dovrebbe rimanere modesta. È possibile che la fiducia dei consumatori resti solida, ma secondo le stime, nel primo trimestre il reddito disponibile in termini reali dovrebbe crescere solo dello 0,6% su base trimestrale annualizzata, mentre i consumi reali di recente hanno già accusato una flessione. Inoltre, i profitti delle imprese continuano a ristagnare e ciò non fa ben sperare per gli investimenti. Le prospettive dell’area dell’euro continuano a essere abbastanza buone, mentre i nostri esperti prevedono ancora una frenata dell’economia in Cina, dato che il governo sta gradualmente ritirando le misure di stimolo monetario e gli effetti positivi degli incentivi fiscali potrebbero attenuarsi. Questa previsione raffredda l’ottimismo per le prospettive dell’economia asiatica malgrado i segnali positivi relativi agli scambi commerciali e alla produzione industriale.

FEDERAL RESERVE: OBIETTIVO D’INFLAZIONE VICINO – I vertici della Federal Reserve possono dichiarare “missione compiuta”: l’inflazione si è attestata oltre l’obiettivo del 2% per la prima volta da quasi cinque anni a questa parte, rimarca van Leenders. A fine febbraio il deflatore della spesa al consumo personale (PCE) si collocava già al 2,1%. Inoltre, anche il tasso d’inflazione core – che forse indica meglio le tendenze di fondo – pare seguire un trend costante: negli ultimi tre mesi l’indice è salito del 2,5% su base annua. I nostri analisti, dunque, si stanno interrogando sulle prossime mosse della banca centrale USA. Una riduzione dell’ingente bilancio dell’istituto pare probabile in tempi brevi. Il vicepresidente della Federal Reserve William Dudley ha dichiarato che a partire dalla fine dell’anno o all’inizio del prossimo, nel caso l’economia andasse secondo le previsioni, sarebbe preferibile che i titoli in bilancio arrivassero a scadenza piuttosto che essere riacquistati. Il calendario indicato – in particolare l’accenno alla fine dell’anno – anticipa i tempi rispetto alle attese di gran parte degli investitori. La politica di riduzione dei reinvestimenti dovrebbe essere graduale e prevedibile al fine di attenuare i rischi di un inasprimento indesiderato delle condizioni finanziarie e dovrebbe essere accompagnata da un’eventuale pausa del rialzo dei tassi al momento dell’avvio. Sia questa che altre dichiarazioni dei vertici lasciano presumere che la Federal Reserve preferisca fare affidamento sulla politica dei tassi di interesse come strumento principale, lasciando evolvere la riduzione del bilancio in gran parte automaticamente. In base alle nostre previsioni, la contrazione del bilancio sarà annunciata in dicembre e dovrebbe avere inizio in gennaio.

BCE: RESTA PARECCHIO DA FARE – Nell’area dell’euro l’inflazione di fondo resta debole. L’inflazione generale ha frenato attestandosi all’1,5%, in particolare a causa della decelerazione degli aumenti dei prezzi di energia e beni alimentari non trasformati, fa sapere van Leenders. Bisogna dire che la mobilità della Pasqua in calendario sta generando la solita confusione nelle variazioni su base annua dei prezzi dei beni più stagionali e dunque l’inflazione dovrebbe impennarsi in aprile. Tuttavia il messaggio complessivo sembra abbastanza chiaro: per l’inflazione generale la spinta legata ai prezzi delle derrate alimentari si sta attenuando. Questa settimana ci sono stati diversi tentativi concertati con l’obiettivo di riallineare le attese tenendo conto della strategia di inasprimento monetario graduale che dovrebbe essere adottata dalla BCE dopo la fine del programma di allentamento quantitativo (QE). Tuttavia Benoit Coeuré – membro del Comitato esecutivo – ha sottolineato che le decisioni in materia saranno prese in base a un’analisi delle prospettive dell’inflazione. Tale dichiarazione lascia pensare che non ci sia alcun accordo per non innalzare il tasso di deposito fino alla fine del programma di allentamento. A nostro avviso le parole di Coeuré erano destinate al Comitato esecutivo piuttosto che ai mercati, ma non si può escludere un lieve rialzo del tasso di deposito nella seconda metà dell’anno, forse per venire incontro alle tendenze protezioniste dell’amministrazione Trump. Il presidente della banca centrale dei Paesi Bassi – uno dei membri del Consiglio direttivo schierato con maggior coerenza su una linea di rigore – ha dichiarato che il ridimensionamento degli acquisti di attivi avrebbe dovuto iniziare il prima possibile dopo che le attuali linee guida in materia avevano perso di validità già a dicembre poiché le ragioni dell’allentamento quantitativo erano venute a mancare. Il governatore olandese ha precisato che il ritiro del programma avrebbe potuto essere completato nel giro di cinque mesi riducendo l’importo degli acquisti di 10 miliardi al mese, e che la riduzione poteva iniziare prima di inasprire i tassi. Questa posizione è in linea con i timori dei membri del Consiglio direttivo che sono preoccupati soprattutto dei rischi di moral hazard – in particolare per quanto riguarda il mondo della politica – che potrebbero essere favoriti dall’attuale strategia monetaria ultra-espansiva condotta soprattutto attraverso l’allentamento quantitativo (invece che attraverso i tassi d’interesse negativi).

RESISTE L’OTTIMISMO DEI MERCATI –In un contesto caratterizzato da una bassa volatilità, la settimana scorsa i mercati azionari sono riusciti a salire ancora: a nostro avviso, gli investitori si stanno concentrando sugli aspetti positivi della congiuntura. Sinora i dati superiori alle attese sono stati trainati dalle indicazioni rilevate dalle indagini sulla fiducia di imprese e famiglie e, a quanto pare, gli investitori ritengono che tali indicazioni troveranno riscontri concreti nei dati reali e nei profitti delle società. Noi siamo più scettici al riguardo: in effetti, la dinamica dei profitti è migliorata nei paesi emergenti, ma ha rallentato negli USA, e le correzioni al rialzo delle stime, pur generalizzate, non sono state abbastanza consistenti da far migliorare i multipli. A nostro avviso le quotazioni azionarie sono troppo elevate, soprattutto alla luce dei rischi che si profilano, come il rallentamento dell’economia cinese, eventuali misure protezionistiche, un aumento dell’inflazione oppure il rialzo dei rendimenti obbligazionari. Per il momento, i mercati obbligazionari hanno tenuto conto solo dei modesti dati reali e i rendimenti di USA e Germania sono scesi nelle ultime settimane. Al di là delle fluttuazioni di breve periodo gli spread sulle obbligazioni societarie e sul debito emergente sono rimasti su livelli contenuti, mentre il petrolio è risalito dopo aver toccato il minimo degli ultimi tre mesi. Dunque, l’attuale ottimismo dei mercati finanziari non è stato offuscato da eventi particolari o dalla pubblicazione di dati recenti. I nostri analisti ritengono tuttavia che le prospettive economiche siano mediocri a fronte dei prezzi elevati di numerose tipologie di attivo, e quindi non abbiamo modificato la configurazione complessivamente prudente della distribuzione degli investimenti, conclude van Leenders.

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