Risparmio gestito – Questione di divisa

Come previsto, il 21 Settembre la Fed ha lasciato inalterato il target per i tassi di interesse (fed funds), ormai da quasi due anni compreso tra 0 e 0,25%. Ha però colto il mercato di sorpresa il comunicato del Federal Open Market Committee: infatti per la prima volta esso afferma che “varie misure di inflazione sono al momento sotto livelli giudicati coerenti, nel lungo periodo, con il mandato di promuovere massima occupazione e stabilità dei prezzi”. L’inflazione ‘core’ è all’1% a/a ma sta rallentando (0% m/m). Questa considerazione ha sancito il nuovo ingaggio della Banca Centrale USA, secondo quanto già preconizzato da Bernanke con il discorso di Jackson Hole (27/8/2010), quando aveva evocato la possibilità di utilizzare nuovi strumenti per fornire ulteriori stimoli di natura non convenzionale. Sorprende soprattutto il ‘timing’ della Fed che tradizionalmente si astiene da iniziative forti in periodi pre-elettorali. Il messaggio del presidente della Fed di fine agosto non era stato correttamente interpretato, pertanto si chiarisce ora che gli strumenti allora citati non sono solo teorici, bensì saranno utilizzati secondo uno schema di Quantitative Easing. Con il termine “Quantitative Easing” (QE2) si intende una nuova fase di l’espansione della quantità di moneta attraverso acquisti diretti di strumenti finanziari, ad esempio Titoli di Stato (Treasuries) già acquistati nel 2009 (i dettagli verranno comunicati in seguito).

L’impatto sui mercati è stato importante sul versante obbligazionario, con rendimenti in discesa, e su quello valutario, con dollaro molto debole contro quasi tutte le valute: il tasso di cambio effettivo è sceso del 4% dal 1 settembre. La svalutazione della divisa è uno dei metodi classici per fornire stimolo all’economia. Negli ultimi mesi, la Fed è stata preceduta da manovre con finalità analoghe da parte di Brasile, Svizzera e Giappone, cui va aggiunta la ben nota politica di gestione del cambio delle autorità cinesi volto a frenare la tendenza fondamentale dello yuan ad apprezzarsi. Le manovre non coordinate sul mercato dei cambi sono tipicamente poco efficaci, come evidente dal proseguimento del rafforzamento di Real, Franco Svizzero e Yen, tuttavia la tentazione di svalutazioni competitive è oggi corroborata dalle iniziative di Paesi importanti. Inoltre, a meno di clamorose sorprese, l’Europa non parteciperà a questo gioco, essendo priva di una politica valutaria. L’euro potrebbe dunque ‘subire’ queste tensioni come una valvola di sfogo. Si aggiunge quindi un fattore di volatilità sui movimenti valutari che nel breve periodo può prevaricare i fattori valutativi in base ai quali le divise emergenti sono decisamente sottovalutate contro dollaro, a sua volta sottovalutato rispetto all’ euro (ca 10% secondo PPP dell’OCSE).

La recente debolezza della moneta USA ha avuto un effetto negativo sui fondi Pictet specializzati negli investimenti sui mercati emergenti in valuta locale, essendo buona parte delle valute emergenti legata al biglietto verde: da inizio settembre infatti l’euro si è rafforzato di circa il 7,5% contro dollaro e del 4,4% sulle valute emergenti, ovvero circa 60% del movimento nel cross. Non essendo il dollaro sopravvalutato è lecito attendersi un suo recupero (o stabilizzazione) nel medio termine, ma non escludiamo che l’euro possa rafforzarsi temporaneamente, mancandogli una guida politica o una Banca Centrale altrettanto aggressiva. Come effetto collaterale delle turbolenze sulla divisa americana, a breve termine è dunque prevedibile una maggior volatilità nella performance del paniere di investimento monetario sulle divise emergenti (indice JPM ELMI+) espressa in euro. Nel medio termine, le considerazioni strategiche sulla bontà dell’investimento rimangono intatte e il trend positivo dovrebbe riprendere non appena il dollaro/euro trovasse un pò di stabilità.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!