L’incognita valute

…qualcosa comincia a muoversi e per certi versi non si tratta di elementi positivi.
Dopo aver concluso la prima ondata di interventi statali, coordinati a livello globale e costituiti da stimoli di natura monetaria e da politiche di bilancio espansive, l’economia non è ancora riuscita a imboccare la strada della crescita endogena e rimane frenata da molteplici elementi di debolezza che con il passare dei mesi diventano più pericolosi.
Emblematico il superindice OCSE che ad agosto è nuovamente sceso di 0,1 punti mese su mese come aveva fatto anche a luglio.
Globalmente anche il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita rallentata nel 2011, confermando prospettive per ora non negative ma in lieve deterioramento. La crisi della domanda rimane l’ostacolo principale all’uscita definitiva dalla crisi e non si intravede uno strumento che possa stimolarla né nei Paesi sviluppati – dove è determinata dalla disoccupazione e dal necessario deleveraging e dove gli elevati debiti pubblici accumulati limitano i gradi di libertà dei governi – né nei Paesi emergenti e di recente sviluppo dove la struttura produttiva e sociale non è ancora matura e dipende ancora in buona parte dalla domanda estera.
La principale novità emersa negli ultimi mesi che merita approfondimento è costituita dai movimenti dei tassi di cambio che, in un primo momento più difficili da interpretare, appaiono sempre più chiaramente dovuti a politiche valutarie degli Stati per sostenere le rispettive economie. Si è così aperto un ampio dibattito tra gli economisti per spiegare quello che sta accadendo, per individuare le soluzioni più opportune e, sempre più spesso, per denunciare una guerra valutaria con esiti potenzialmente disastrosi. Sta accadendo che, a partire dagli Stati Uniti, i quali ritengono necessario potenziare le esportazioni, e dei Paesi Emergenti (Cina in primis), i quali ritengono di non poter fare a meno della competitività basata sui prezzi, si assiste al tentativo di realizzare svalutazioni competitive per essere più aggressivi sui mercati internazionali e ridurre la convenienza delle importazioni. L’estrema debolezza del dollaro e l’intenzione di procedere ad una nuova politica di quantitative easing corrisponde al tentativo dichiarato di sostenere la competitività sui mercati internazionali con effetti a catena sulle mosse dei governi del resto del mondo. La politica di contenimento dei tassi, che in questa fase si sta rivelando poco efficace per promuovere investimenti e consumi, sta però creando forti pressioni sulle aree valutarie più remunerative, come gli emergenti, i quali cercano in varie maniere di opporsi all’apprezzamento delle loro monete. Il Brasile ha fatto da apripista nell’introduzione di tasse per arginare l’afflusso di capitali, la Cina nonostante le dichiarazioni sull’intenzione di lasciare fluttuare lo yuan continua a intervenire sui mercati per mantenerlo basso, e anche il Giappone ha fatto lo stesso per impedire l’apprezzamento dello yen. Opinione dei più è che presto o tardi, a meno di un auspicabile accordo internazionale che coordini le manovre, tutti saranno costretti a reagire agendo in maniera analoga, pena effetti pesanti sulle proprie economie (al momento della chiusura del giornale non si è ancora svolto il G20 a Gyeongju, ndr).
In questo contesto l’Europa non ha ancora preso posizioni aggressive e sembra per ora ancora diretta in senso opposto con il previsto processo di rientro dei deficit pubblici e sostanzialmente con un tipo di politica relativamente restrittiva. Tra i possibili effetti dello scenario descritto ritengo che se ne possano inquadrare due con una probabilità non trascurabile di realizzarsi. Il processo globale di creazione di liquidità, ancorché inefficace nello stimolo della domanda, dovrebbe nel medio termine inflazionare un po’ tutte le tipologie di asset e agire in definitiva sui prezzi. L’effetto inflazionistico, assai più auspicabile di quello opposto (la deflazione), potrebbe anche essere posto sempre più come obiettivo ufficiale dalle banche centrali. I recenti movimenti rialzisti dei mercati azionari, apparentemente incoerenti con le difficoltà descritte, possono essere interpretati proprio come reazione alle aspettative di espansione monetaria. La corsa alla svalutazione delle monete potrebbe determinare però anche un altro effetto assai nefasto che nei prossimi incontri internazionali si continuerà a cercare di evitare: il protezionismo. Se infatti la causa di tali politiche è legata agli scambi commerciali non è impensabile che possano diffondersi pratiche di questo tipo, peraltro già oggi non sconosciute alla Cina ma neanche agli Stati Uniti.
Ritengo che le probabilità che questa ipotesi si realizzi siano limitate ma in tal caso, il double dip che pareva scongiurato, ritornerebbe all’ordine del giorno.

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