Risparmio gestito – L’Asia in pole position

Non sorprende dunque che attirino capitali alla ricerca di rendimento. In un primo tempo è sembrato trattarsi del ritorno di investitori costretti a ritirarsi durante la fase più acuta della crisi di liquidità. Ma questo ritorno alla normalità sembra aver lasciato il posto a un movimento più insidioso legato alle previsioni di un ulteriore allentamento quantitativo negli Stati Uniti. In questo commento daremo uno sguardo alle reazioni della politica monetaria asiatica quale risultato di un orientamento ancora molto accomodante osservato nella maggior parte dei paesi avanzati. 

L’allentamento quantitativo vincola i paesi asiatici?

Per contrastare le previsioni di deflazione e rilanciare la domanda attraverso un appiattimento della curva dei tassi, gli Stati Uniti hanno deciso di monetizzare ulteriormente il proprio debito pubblico, avvisando con largo anticipo il mercato. E questa politica non è limitata agli Stati Uniti; anche il Regno Unito sta considerando una mossa simile e, il 5 ottobre, il Giappone ha tolto le limitazioni per l’acquisto dei titoli di Stato nipponici che la Banca del Giappone si era autoimposta. La conseguente creazione di moneta, avvenuta o ipotetica (sono sufficienti le previsioni), ha numerose ripercussioni per i paesi emergenti dell’Asia: • Il deprezzamento del dollaro, che pesa sulle esportazioni rendendo meno competitivi i prezzi dei produttori asiatici (fattore a sua volta mitigato dalla correzione dei margini, dagli incrementi di produttività e dal contenuto in importazioni delle esportazioni). • L’aumento del prezzo delle commodity, solo in parte controbilanciato dal calo del dollaro, alimenta le pressioni inflazionistiche. • L’accelerazione dei flussi di capitale in cerca di rendimento, in particolare quelli diretti verso i paesi asiatici, aumenta l’offerta di moneta e rafforza sia le pressioni inflazionistiche che la formazione di bolle sul mercato degli attivi. Questi tre fattori ricordano il triangolo d’incompatibilità di Mundell-Fleming, secondo il quale un’economia non può realizzare simultaneamente l’autonomia della politica monetaria, la libera circolazione dei capitali e la flessibilità del tasso di cambio. Per lungo tempo, la Cina ha mantenuto il controllo sui movimenti di capitale. Le entrate e le uscite sono soggette ad autorizzazione, sia che si tratti di investimenti diretti che di flussi di portafoglio tramite le licenze QDII e QFII.

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