Molte incognite sulle fusioni

Creare un quadro normativo per le fusioni tra fondi Ucits a livello nazionale e a livello inter-paese, e armonizzare sia la procedura di autorizzazione, sia le informazioni che dovranno essere fornite agli investitori, sono uno degli obiettivi della direttiva Ucits IV, che punta a generare risparmi ed economie di scala, come spiega il recente report di State Street.
Le fusioni fondiarie hanno la potenzialità di poter generare dei risparmi significativi sia per gli investitori sia per i manager Ucits, proprio in un momento nel quale la redditività continua a essere sotto pressione. Tra gli Stati membri si verifica una diffusa duplicazione dei prodotti Ucits ma, ciononostante, secondo la Commissione Europea, «le fusioni tra fondi domiciliati in Stati diversi nel 2005 sono state solo il 3,5% del totale delle fusioni».
Dato l’alto numero di fondi sottodimensionati domiciliati nell’Unione Europea, la facilitazione della procedura per le fusioni tra fondi domiciliati in paesi diversi dovrebbe migliorare l’efficienza del settore dei fondi europei e rendere più interessanti le acquisizioni proprio in un periodo in cui gli stessi gestori Ucits, a causa della diminuzione della redditività e del fatto che le banche emittenti cercano di incrementare il capitale obbligatorio vendendo gli asset che esulano le attività principali, ricevono pressioni per procedere a fusioni. «Le fusioni tra fondi sono quelle che hanno le potenzialità più alte per generare efficienze. Quanto ai costi di raccolta, le fusioni compiute offrono risparmi più alti della formula delle strutture di aggregazione di fondi perché il loro risultato è un solo veicolo fondiario, con un solo prospetto e una sola interfaccia con il regolatore di competenza primario».
Tuttavia, date le differenze tra i quadri normativi nazionali nei vari paesi europei, tra cui il trattamento fiscale delle fusioni, «si dimostrerà probabilmente difficile centrare i target previsti dalla Commissione».
In certi paesi, «come la Germania, ai fini fiscali le fusioni sono neutrali, mentre in altri, come la Francia, non è così. Queste diverse strutture fiscali ostacolano in maniera consistente le fusioni, in quanto da essa dipende il tipo di trattamento fiscale applicabile al capital gain degli investitori Ucits, al reddito e alla tassazione alla fonte».
Nelle fusioni tra fondi inter-paese dovrebbero essere considerate anche le preferenze degli investitori del paese interessato, in quanto in certi paesi europei, gli investitori privati preferiscono acquistare solo prodotti domiciliati nei rispettivi paesi.
Laddove la disciplina di uno stato membro prescriva che per una fusione occorra l’approvazione degli azionisti, la direttiva «Ucits IV specifica che questi dovranno garantire che tale approvazione non richieda più del 75% dei voti dei detentori di azioni o di quote, presenti o rappresentati nelle assemblee degli azionisti o dei detentori di quote». Alcuni Stati membri potrebbero dover cambiare le proprie leggi sui requisiti di voto per adempiere a questa misura, inoltre, «sia gli Ucits oggetto di fusione sia quelli che recepiscono la fusione dovranno permettere ai detentori di azioni o di quote di poter cedere o scambiare le azioni o le quote prima della corporate action”.
L’esperienza mostra che in genere «un fondo con una performance media positiva può arrivare a perdere il 25% dei propri investitori dopo la pubblicazione di una fusione, un elemento che potrebbe suscitare una certa riluttanza a proporre delle corporate actions».
In alcuni casi, le fusioni saranno praticabili, in particolare quando si tratta di gruppi di fondi numerosi, dove molti sono fondi clone o sottodimensionati, tuttavia le fusioni non avverranno probabilmente nella misura inizialmente prevista dalla Commissione. «Tutto ciò considerato, in realtà, la fattibilità delle fusioni dipenderà dai paesi dove i fondi sono domiciliati, dal tipo di bacino degli investitori (istituzionali o privati) e dalla domiciliazione fiscale degli investitori».

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