Risparmio gestito – Europa, la parola a Henderson

Per gli investitori europei la crisi del debito continua a pesare sulle valutazioni. A fine giugno 2011, l’indice MSCI Europe, escluso il Regno Unito, mostra un multiplo prezzo/utili a 12 mesi pari appena a 10,4, il più basso fra le principali economie avanzate di Stati Uniti, Giappone e regione Asia-Pacifico. Il dato appare contraddittorio se si considera che Germania e Francia hanno annunciato una crescita economica rispettivamente dell’1,5% e dell’1,0% nel primo trimestre rispetto al trimestre precedente, segnando un ritmo di crescita ben oltre quello di Stati Uniti e Giappone.

Tuttavia il trend positivo nei paesi del Nord Europa è, in parte, proprio legato al trend negativo dei paesi del sud Europa. Le buone aziende in paesi quali Germania, Francia e Paesi Bassi guadagnano competitività nell’export anche in virtù del fatto che le criticità presenti in altri paesi dell’eurozona impediscono un eccessivo apprezzamento dell’euro. Al contrario, la Grecia e altri paesi sono costretti ad applicare severe misure d’austerità senza poter beneficiare di nessuno dei vantaggi competitivi che deriverebbero da una moneta fortemente svalutata.

La fase di turbolenza che sta attraversando la Grecia mette in evidenza che le attuali misure di salvataggio non sono che una soluzione temporanea applicata ad un problema che in realtà richiederebbe un approccio più sistemico. Gli investitori obbligazionari fiutano l’opportunità e i rendimenti dei titoli di stato greci sono saliti a più del  16%* sulle scadenze a 10 anni e a più del 27%* sulle scadenze a 2 anni. L’opinione del mercato è che la Grecia deve ristrutturare il suo debito e il pricing attuale sembra in attesa di un default. Le istituzioni invece cercano di prendere tempo. Quanto più a lungo riescono a evitare un default della Grecia, tanto più tempo ha la Spagna per mettere in ordine il suo bilancio e costruire una barriera protettiva che la metta al riparo dall’implosione del progetto euro.

In sostanza la preoccupazione maggiore, da entrambe le parti, è rappresentata dalla situazione di instabilità del Paese. I politici greci sono preoccupati che le misure di austerità imposte alla popolazione siano troppo dure da sopportare e per questo chiedono provvedimenti più morbidi. Dal canto suo, l’Unione Europea è preoccupata che, laddove di certo un default della Grecia creerebbe uno shock che andrebbe ad allargarsi a tutta l’area Euro, ancora di più la mancata applicazione del dovuto rigore di bilancio potrebbe avere ben più gravi conseguenze in futuro.

La Grecia è consapevole di dover prendere dei duri provvedimenti. Ha un disavanzo primario che rende necessario il ricorso a prestiti che finanzino la spesa pubblica ordinaria, anche senza dover pagare gli interessi sul debito. Se i paesi europei  dovessero “abbandonare” la Grecia sarebbe costretta a tagli ancor più drastici. E i manifestanti che protestano fuori dal Parlamento greco contro gli ulteriori tagli alla spesa pubblica sembrano non aver compreso fino in fondo la gravità della situazione.

I funzionari dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale dal canto loro insistono sul rigore di bilancio della Grecia pour encourager les autres. Che segnale manderebbero a Irlanda, Portogallo e Spagna che devono continuare a prendere decisioni difficili se in questo momento fossero troppo indulgenti con la Grecia? Mantenendo una linea pragmatica, sperano che il tempo curi in qualche modo tutti i mali. Offrire aiuti economici alla Grecia (sono necessari 12 miliardi di euro** di prestiti entro metà luglio) e rimandare il default consente alle banche europee e di altri paesi di aver più tempo per rafforzare la loro base patrimoniale ed essere in condizione di assorbire le perdite.

L’ultima cosa di cui ha bisogno in questo momento l’Europa, e il resto del mondo, è una seconda crisi del settore bancario. In Grecia, la perdita di fiducia nelle banche è già profonda: lo scorso anno sono stati ritirati dalle banche del Paese depositi per circa 30 miliardi di euro**, mentre salgono le vendite dell’oro nel tentativo dei cittadini greci di proteggersi da eventuali dissesti finanziari. Se la Grecia dovesse dichiarare il fallimento, le condizioni del credito si restringerebbero in tutto il mondo, creando ulteriori ostacoli alla crescita economica. Si discute persino della forma che il fallimento della Grecia potrebbe assumere. Se l’Europa dovesse tentare una qualche forma di ristrutturazione – che tecnicamente non è un default – ciò potrebbe essere destabilizzante per il mercato dei credit default swap, poiché le perdite potrebbero non essere assicurate.

Naturalmente c’è anche ‘l’opzione nucleare’, ovvero la possibile uscita della Grecia dall’area euro. Ciò appare tuttavia improbabile, in quanto nel progetto euro è stato investito troppo capitale politico. Inoltre, è discutibile che possa risolvere il problema. La Grecia si troverebbe a pagare interessi esorbitanti sul proprio debito e, in ogni caso, dovrebbe continuare ad applicare misure di austerità per cercare di raggiungere il pareggio di bilancio. La necessità di riforme economiche strutturali per incrementare la produttività e migliorare la riscossione fiscale è reale, sia che la Grecia continui a far parte dell’area euro oppure ne esca. Per il momento, i politici sembrano soddisfatti di riuscire a ritardare l’inevitabile.

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