Invesco, l’uscita della Grecia non sarebbe una tragedia per l’Europa. Anzi

Un’eventuale uscita della Grecia dall’euro non sarebbe una catastrofe, anzi: contribuirebbe a eliminare un grosso problema di incertezza. Ne è convinto John Greenwood, capo economista della società di asset management Invesco, che ha in gestione oltre 600 miliardi di dollari. “L’impatto stimato di un’uscita della Grecia dall’eurozona è stato decisamente esagerato”, ha spiegato Greenwood all’agenzia di stampa Radiocor. “Noi di Invesco riteniamo probabile un’uscita di uno o due Paesi nel corso dei prossimi anni. La causa scatenante potrebbe essere di natura politica, ad esempio un clamoroso voto di protesta come è già possibile domenica con la Grecia, oppure di natura finanziaria, con attacchi alle banche di alcuni Paesi e fuga dai depositi.

Ma anche nel caso della fuoriuscita di uno o due membri, l’eurozona non correrebbe il rischio di un tracollo”. Anzi, ha continuato l’esperto: “si troverebbe in una situazione migliore per ritrovare la strada della crescita e del ritorno alla competitività perché verrebbe eliminato un grosso elemento di incertezza”. Ad oggi naturalmente il Paese maggiormente indiziato per un addio all’area della moneta unica è la Grecia mentre il nome del secondo candidato rimane nel reame delle ipotesi: “potrebbe essere il Portogallo o la Spagna”, ha detto Greenwood, “Ma tutto dipenderà appunto dai fattori scatenanti del momento.

L’Italia invece appare in questo momento più stabile e anche il trend della corsa al ritiro dei depositi rilevato in altri paesi in italia non è stato altrettanto accentuato. Chiaramente da un punto di vista psicologico in Italia vi è una maggiore fiducia nella tenuta dell’Unione europea di cui il Paese peraltro è stato uno dei fondatori”. Sul fronte degli investimenti Invesco segue dunque una strategia basata più su qualità delle aziende che sulla loro localizzazione geografica. “Quello che importa veramente è la solidità dei bilanci, e noi puntiamo soprattutto sulle aziende che distribuiscono dividendi e su quelle che hanno una forte esposizione ai mercati stranieri, sia negli Stati Uniti sia in Asia. La preferenza è per le imprese con rating a livello di investimento anche se in alcuni casi guardiamo anche ai bond high yield”.

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