Consultinvest: sorpresa Fed

LA STRATEGIA DELLA FED – Negli ultimi anni la Fed  sotto la gestione Yellen, ma anche sotto quella di Bernanke dopo il Taper tantrum del 2013, ha sempre cercato di preparare il mercato prima delle decisioni di politica monetaria e ove possibile di assecondarlo, spiega una nota di Consultinvest. Si era addirittura introdotta la cosiddetta forward guidance (FG) per evitare di sorprenderlo con decisioni inattese di politica monetaria, soprattutto nel caso si dovesse optare per decisioni restrittive che vengono spesso accolte negativamente. E negli ultimi 4 anni abbiamo così assistito a situazioni dove qualora fossero presenti divergenze tra le aspettative di mercato e la FG, era sempre stata quest’ultima ad adeguarsi alle attese del mercato. Caso emblematico il 2016, quando rispetto ad una FG di fine 2015 che indicava rialzi sequenziali dei tassi ufficiali, la Fed decise di prendersi una pausa fino al Dicembre scorso. Questo appiattimento sulle attese di mercato si verificava perché puntualmente le attese della Fed sulla forza del ciclo economico e dell’inflazione, si dimostravano sistematicamente troppo ottimistiche rispetto ai dati effettivi. Nel caso dell’ultimo meeting Fed il mercato si aspettava un rialzo dei Fed Funds da 25bps. Ma lo vedeva – e crediamo continui a vederlo – come l’ultimo sostenibile in questo ciclo economico: come testimonia una curva dei rendimenti governativi molto piatta.  Viste le difficoltà di ripresa dell’inflazione e della crescita in questa prima parte del 2017 e visto che la reflazione fiscale e il deficit spending dell’agenda Trump non sembrano più avere grandi possibilità di realizzazione in tempi brevi, per il Mercato un solo rialzo sarebbe stato sufficiente.

IL RIALZO – Invece la Fed ha dato un messaggio molto più restrittivo del previsto; messaggio che trae giustificazione da un ottimismo Fed sulla crescita reale e dell’inflazione USA che non coincide con quello prevalente. La Fed ha così alzato di 25bps i Fed Funds, con il 3° rialzo consecutivo in 9 mesi e ha soprattutto confermato in pieno le precedenti proiezioni di rialzo per il 2017, 2018 e 2019 che porterebbero i Fed Funds a toccare il 2.25% a fine 2018 e il 3% a fine 2019 mentre il rendimento del decennale governativo USA oggi rende il 2.15%. Ma la Fed ha anche messo nero su bianco le regole che dovranno essere seguite per il tapering del QE – ovvero per quel processo che, inizialmente attraverso il mancato rinnovo delle scadenze e che successivamente potrebbe potenzialmente portare ad una loro vendita con conseguente riduzione della dimensione del Portafoglio di Titoli garantiti dallo Stato presenti nel bilancio Fed. Un Bilancio che proprio per effetto degli interventi del 2008 e poi del QE è passato da una dimensione pari al 6% del Pil USA nel 2007 all’attuale 23.5%, ovvero pari a ben 4.500 miliardi di dollari (quello della Bce è il 39% del Pil area euro).

 

INIZIO IMMINENTE – Rendendo pubbliche le regole di riduzione del bilancio – se la storia degli annunci Fed è maestra – ci si deve aspettare che l’inizio del tapering sia evento relativamente imminente: forse tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. Poiché queste regole prevedono che dopo 1 anno i titoli in portafoglio non rinnovati siano al più 450 miliardi di dollari (una sorta di Cap ai mancati rinnovi) e poi successivamente 600 miliardi di dollari per anno (in un rapporto di 3:2 tra titoli di Stato e sui mutui), ipotizzando che il Cap morda sempre e da subito, ipotizzando che s’inizi nel 2018, che il target sia quello di tornare ad un bilancio Fed di dimensioni pari al 6% del Pil USA e assumendo una crescita annua del Pil nominale del 4%, si porterebbe al 2023 avanzato la fine del processo di normalizzazione monetaria USA. Con un target al 10% – che terrebbe invece conto di un’economia più espansa di quella del 2007 e quindi bisognosa anche di una dimensione della base monetaria maggiore – il tapering terminerebbe nel 2022. Si tratterà di un processo piuttosto graduale – o come detto dalla Yellen “noioso come guardare asciugare l’intonaco” – ma che dovrebbe mettere pressione sulla curva dei rendimenti che oggi è molto piatta. Pressione che si aggiungerebbe a quella esercitata dell’espansione futura del deficit USA prevista nell’attuale impostazione fiscale e che potrebbe essere anche maggiore in ragione di eventuali misure espansive legate alle decisioni del congresso. Per il mercato obbligazionario Usa si potrebbe quindi aprire un percorso piuttosto accidentato e diverso da quello positivo e tranquillo degli ultimi anni, con un’offerta di titoli in crescita che si innesterebbe su rendimenti nominali e reali molto bassi e poco attraenti.

LA REAZIONE DEI MERCATI – La reazione iniziale del mercato a questa “sorpresa Fed” ci pare essere stata ancora piuttosto limitata su tutte le asset class: obbligazioni, azioni e persino dollaro. Quasi un segnale che il mercato tema si tratti di un errore di politica monetaria (il cosiddetto e temuto policy mistake) che potrebbe alzare le probabilità di recessione. Errore che deriverebbe dal voler ribadire e forse anche accelerare il ritmo di normalizzazione monetaria in una fase ancora delicata del ciclo economico Usa da parte di una Istituzione che negli ultimi anni ha sempre sbagliato per eccesso le previsioni economiche e in un momento in cui Bce e BoJ non hanno alcuna intenzione di seguire questa strada, nonostante i miglioramenti ciclici delle loro economie probabilmente, favorendo un nuovo rafforzamento del dollaro. Per ora pare difficile capire se si tratti di un potenziale policy mistake, anche se abbiamo sempre sostenuto che il QE sia stato tirato troppo per le lunghe e abbia avuto effetti distorsivi importanti. La Fed avrebbe dovuto iniziare già nel 2014, quando il ciclo economico non era così maturo poiché ora si trova un po’ in ritardo nel processo di normalizzazione. Anzi questa “sorpresa Fed” ci pare una sorta di conferma che si sia resa conto di essere attardata e costretta a rincorrere anche se forse il momento tattico non è il più propizio. Per capire se sarà un policy mistake o no crediamo siano decisivi sia il dato sul Pil del II trimestre che la stagione degli Utili USA che inizia tra un mese. Se avremo il rimbalzo del Pil e le imprese confermeranno la capacità di espandere gli EPS, allora forse il mercato potrà riconsiderare le ragioni della Fed, allontanando l’idea di un policy mistake. Diversamente …Non c’è dubbio: la partita tra Fed e mercato è destinata a farsi sempre più interessante.

 

 

 

 

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