Il nazionalismo non paga nel risparmio gestito

GUARDARE LA SCENA IN UNO SPECCHIETTO RETROVISORE – Lunedì 6 maggio scorso a Milano sembrava di guardare la stessa scena di sei anni fa, come in un retrovisore. “La comparazione internazionale – tuonava il presidente della Consob Giuseppe Vegas – mostra ancora più chiaramente la debolezza del risparmio gestito domestico: il patrimonio complessivo (fondi e gestioni di portafoglio) trattato da società residenti è pari al 43% del Pil, contro il 60% in Germania, il 150% in Francia e il 270% nel Regno Unito”. Il numero uno dell’authority alzava poi la voce: “Tale debolezza è riconducibile alla scarsa indipendenza nelle scelte strategiche, conseguente agli assetti proprietari delle sgr, all’integrazione verticale fra produzione e distribuzione e alla ridotta capacità di innovazione”.

LA PRESENZA DELLE BANCHE NEL CAPITALE DELLE SGR
– Il giudizio finale era senza appello: “la significativa presenza delle banche nel capitale delle sgr”, stigmatizzava Vegas, “da un lato aumenta anche il rischio di conflitti d’interesse riducendo le performance dei gestori e dall’altro – come dimostrato da recenti casi – può limitare l’efficacia dell’azione di monitoring che i fondi comuni potrebbero e dovrebbero svolgere sul governo societario degli emittenti quotati”. Sistemiamo il retrovisore, riavvolgiamo il film e rivediamo la scena.

LE PAROLE DI MARIO DRAGHI NEL 2007 – “La riduzione del conflitto d’interessi insito nell’intreccio azionario con banche e assicurazioni e la concentrazione degli asset manager sono vitali per la crescita del settore. Architettura aperta, netta separazione societaria, finanche nella proprietà, sono di beneficio per gli azionisti delle banche, per i clienti dei fondi”. Era il 31 maggio del 2007 e Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, nelle sue Considerazioni Finali all’assemblea di Via Nazionale, tornava per la terza volta su un tema che allora era molto “di moda”, quello appunto del controllo proprietario delle società di gestione del risparmio da parte di gruppi bancari e assicurativi e del rapporto fra produzione e distribuzione nel relativo settore. Un tema che a Draghi stava particolarmente a cuore visto che un anno prima all’assemblea dell’Abi aveva stimolato i banchieri nostrani ad accantonare “interessi personali” avviando un processo di consolidamento e separazione delle sgr, non escludendo – in assenza di segnali appropriati – interventi normativi “ad hoc”. Come se non bastasse a ottobre del 2007 Draghi calcava la mano, individuando nella “troppo stretta integrazione tra fabbriche di prodotto e reti distributive bancarie” uno degli ostacoli al realizzarsi di auspicabili processi di consolidamento fra sgr e di più bassi “tassi di retrocessione alle reti”.

UNA CONCORRENZA LEALE
– Se dopo sei anni Vegas dice le stesse cose di Draghi – e in attesa di una presa di posizione sul tema anche da parte dell’attuale governatore di Palazzo Koch, Ignazio Visco – qualcosa non è andato come i regulators speravano. Con buona pace della difesa nazionalistica della grande “torta” del risparmio degli italiani, la crescente offerta e presenza degli asset manager esteri nel nostro Paese è dimostrazione di una concorrenza leale. Non solo dal lato dei costi ma anche da quello – egualmente importante – delle performance. Il libero mercato può solo fare un gran bene a tutti.

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