Bnp Paribas IP, non ci aspettiamo grandi soddisfazioni dall’azionario Usa

POTENZIALE DI RIALZO LIMITATO PER I MERCATI AZIONARI USA – “Fino a questo momento, la decisione della Federal Reserve di non ridimensionare gli acquisti di attivi a sostegno della crescita (QE3) ha favorito più le obbligazioni che le azioni: i rendimenti obbligazionari hanno registrato una flessione iniziale di 15 punti base e poi hanno continuato a scendere, mentre gli indici azionari hanno dovuto nuovamente cedere parte dei rialzi”. Le azioni Usa, spiega Laura Tardino, Strategist di Bnp Paribas IP nella strategia settimanale, “sono tornate ad attestarsi su un livello inferiore a quello precedente al breve rialzo favorito dall’annuncio della Federal Reserve, mentre i listini dei Paesi emergenti hanno mantenuto la metà dei guadagni registrati. Tali andamenti confermano le nostre ipotesi, ovvero che i mercati azionari Usa presentano un potenziale di rialzo limitato, che le azioni emergenti dovrebbero comportarsi meglio rispetto a quelle dei Paesi avanzati e che i rendimenti obbligazionari per il momento rimarranno su bassi livelli”.

NON CONTRASTARE LA FED
– “Un detto americano ben noto agli investitori recita “don’t fight the Fed”, cioè non contrastare l’orientamento della Federal Reserve. In altre parole se la politica monetaria è espansiva non bisogna detenere una posizione ribassista sul mercato azionario: il gestore non lo sta facendo ma neppure si è sbilanciato per seguire la Fed. La decisione della scorsa settimana di non ridurre l’importo mensile (USD 85 miliardi) destinato all’acquisto di attivi per sostenere crescita e occupazione dovrebbe rivelarsi positiva per i mercati azionari, ma al momento una posizione rialzista sulle azioni degli Stati Uniti presenta anche dei rischi e ciò ci impedisce di assumere un deciso sovrappeso”. “A nostro avviso la Federal Reserve ha creato inutili incertezze, perdendo attendibilità e mancando una buona opportunità per iniziare a ridurre il QE3 nel momento in cui questa decisione era ampiamente attesa. Una della ragioni principali per rinviare la riduzione dell’allentamento quantitativo è stata rappresentata dalle condizioni dell’economia degli Stati Uniti, malgrado le previsioni della banca centrale fossero relativamente ottimistiche. Il rinvio della decisione sino a fine ottobre potrebbe interferire con i negoziati tra i partiti sulla legge di bilancio del 2014 e sul tetto del debito pubblico: fattori di rischio importanti citati dal presidente della Federal Reserve. Inoltre verso dicembre, la liquidità del mercato di solito tende ad assottigliarsi e la decisione della Federal Reserve potrebbe avere conseguenze rilevanti. La crescita non pare in accelerazione: gli indicatori prospettici sono risultati contrastati la settimana scorsa, la fiducia dei consumatori si è indebolita e il tasso di crescita su base annua delle vendite di case di vecchia costruzione ha segnato una lieve flessione. Gli utili societari hanno seguito una tendenza al ribasso negli ultimi 12 mesi. Pertanto, i rialzi delle quotazioni hanno fatto salire i P/E a livelli che inducono a ritenere sopravvalutate le azioni USA (anche i margini profitto sono vicini ai massimi).  Infine, bisogna segnalare dei rischi legati alla situazione politica negli USA. Al fine di evitare i tagli automatici alla spesa pubblica, i partiti devono trovare un accordo sul bilancio prima di fine settembre, e dunque il tempo sta scadendo. Il tetto del debito sarà raggiunto in ottobre e sinora l’opposizione repubblicana ha posto condizioni per innalzare questo limite che il presidente Obama non può accettare, come il ritiro del programma di assistenza sanitaria.

SOVRAPPESO NELLE AZIONI EUROPEE – “In Europa le valutazioni medie sono inferiori rispetto agli USA: il P/E corretto in base agli andamenti ciclici è di 15,8 per l’Europa e di 20,4 per gli Stati Uniti. La debolezza dell’economia europea giustifica il prezzo inferiore delle azioni, ma la fine della recessione dovrebbe avere effetti favorevoli. L’indice PMI composito per l’Eurozona è salito per il sesto mese consecutivo, e in particolare la componente relativa ai servizi – strettamente legata all’economia interna – ha segnato un netto rafforzamento. In Germania si è registrato il miglioramento della componente dell’indice Ifo relativa alle attese. La contrazione degli utili societari in Europa si sta riducendo, mentre il tasso di crescita dei profitti negli USA tende a scendere. I profitti delle aziende europee sono nettamente inferiori al picco del 2008 (e persino più bassi rispetto al 2011), e ciò consente margini più ampi di miglioramento. Il presidente della BCE, Draghi, ha lasciato aperta la possibilità di concedere nuovi prestiti a lungo termine alle banche. La BCE potrebbe contrastare le pressioni al rialzo sui tassi interbancari anche attraverso la riduzione del tasso per le operazioni di rifinanziamento. L’indicazione fornita agli investitori è che la BCE sosterrà l’economia, con effetti positivi per le azioni. Le elezioni in Germania sono alle nostre spalle e dunque vi sono le condizioni per riprendere il processo di risanamento della zona euro, che è ristagnato negli ultimi mesi: ad esempio adesso sarà possibile assumere le decisioni relative a Grecia e Portogallo (che necessitano un consenso più ampio) e sull’unione bancaria. Secondo i nostri esperti la politica della Germania nell’area dell’euro non cambierà di molto, ma è possibile che saranno concessi margini temporali più ampi per il risanamento dei Paesi in difficoltà con misure di austerità meno severe”.

E SUI MERCATI EMERGENTI – “Dopo il rinvio deciso dalla Federal Reserve, comprensibilmente i mercati azionari dei Paesi emergenti si sono comportati un po’ meglio rispetto alla altre borse mondiali: infatti le piazze emergenti erano state le più penalizzate quando la Federal Reserve ha iniziato ad accennare ad una riduzione del QE3, e dunque un rinvio dovrebbe avere effetti più favorevoli. Dopo i recenti rialzi dei tassi ufficiali in India e Brasile, la nostra valutazione della politica monetaria dei Paesi BRIC sta cambiando, ma non al punto da essere considerata negativa per le azioni emergenti. In media, l’inflazione nei principali Paesi in via di sviluppo è modesta, e dunque nel complesso non rileviamo necessità d’inasprimento della politica monetaria. A nostro avviso, le economie emergenti hanno tenuto relativamente bene tenuto conto del brusco rallentamento delle esportazioni. In media, la produzione industriale sta crescendo più in fretta del 4,5% rispetto ai Paesi avanzati. La crescita delle esportazioni in Cina, Brasile, Cile, India, Corea del Sud e Taiwan è in ripresa e negli ultimi tempi vi è stato anche un miglioramento degli indicatori prospettici. I profitti societari nei Paesi emergenti hanno segnato delle flessioni su base annua per oltre un anno, ma recentemente sono tornati a crescere, riducendo il divario con gli andamenti registrati dalle imprese delle aree avanzate. I nostri analisti ritengono che le azioni emergenti siano già state sufficientemente penalizzate: le valutazioni sono del 25% più basse rispetto ai mercati avanzati in base ai P/E corretti per gli andamenti ciclici. Riteniamo che questo livello sia eccessivo ed a questo punto non sia giustificato”. 

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