Bnp Paribas IP, chiusa la posizione corta sull’euro

I TEMI CALDI DELLA SETTIMANA – Negli ultimi giorni, l’attenzione degli investitori si è concentrata soprattutto su questi temi: le conseguenze dell’ondata di freddo sull’economia Usa, l’andamento della crescita e del credito in Cina e gli sviluppi della situazione in Ucraina. Nel complesso, sostiene Laura Tardino, strategist di Bnp Paribas Investment Partners, non pare che questi temi abbiano penalizzato il clima di mercato, che dopo un temporaneo peggioramento la settimana scorsa, è nuovamente migliorato, facendo tornare l’indice S&P 500 vicino ai massimi storici. Il recupero delle azioni europee, invece, è stato meno robusto a causa della maggiore sensibilità agli eventi in Ucraina.

ASSET ALLOCATION – Nell’ambito del settore immobiliare, il gestore ha abbandonato la sovraesposizione negli Usa passando in sovrappeso in Europa. I titoli dei fondi immobiliari Usa si sono comportati bene negli ultimi tempi, ma attualmente offrono solo un modesto premio al rischio rispetto al valore patrimoniale netto, e ciò rende meno interessante il rapporto rischio/rendimento. Valutiamo positivamente gli investimenti nel settore immobiliare, che potrebbero beneficiare della cosiddetta “caccia ai rendimenti” sui mercati finanziari internazionali. Inoltre, abbiamo rilevato fattori positivi in Europa – ad esempio il calo della percentuale di locali vacanti – e una dinamica di mercato più solida, pertanto abbiamo privilegiato gli investimenti immobiliari nel Vecchio Continente. Abbiamo chiuso la posizione corta sull’euro (assunta parecchio tempo addietro), ritenendo che avesse perduto efficacia, alla luce della tendenza al rialzo della moneta unica e della scarsa probabilità di ulteriori misure di allentamento da parte della BCE. La duration corta sui Bund della Germania è a rischio, in particolare a causa dell’acuirsi delle tensioni in Ucraina. Tuttavia ulteriori perdite dovrebbero essere limitate dato che abbiamo fissato a 1,47 lo stop-loss, mentre riteniamo ancora che vi siano margini di rialzo per i rendimenti che giustificano il mantenimento di questa posizione.

USA: LA FINE DEL LETARGO INVERNALE? – I dati economici segnano un complessivo rialzo: le vendite al dettaglio sono aumentate a febbraio, ma i dati di dicembre e gennaio hanno subito notevoli revisioni al ribasso. Pertanto è probabile che la crescita del PIL del primo trimestre si rivelerà modesta, ma almeno la tendenza dei consumi delle famiglie dovrebbe essere in miglioramento. Tuttavia, pare poco realistico prevedere una ripresa molto più robusta di un semplice rimbalzo favorito dal miglioramento delle condizioni meteorologiche: infatti, il lieve calo della fiducia dei consumatori registrato ai primi di marzo induce ad essere prudenti.  Ad ogni modo, non mancano i segnali di un graduale indebolimento dell’impatto dell’ondata di freddo che ha colpito gli USA: infatti, le nuove richieste di sussidio di disoccupazione (315.000) si sono attestate su una soglia non molto lontana dal minimo post-recessione. L’indice economico su base regionale, Empire Manufacturing Index, ha segnalato un lieve rafforzamento della crescita. Nel mercato dell’edilizia residenziale, la fiducia delle imprese si è consolidata: le aperture di nuovi cantieri edili sono diminuite, ma le licenze edilizie (che danno un’indicazione affidabile delle costruzioni che saranno effettivamente avviate) hanno fatto un balzo in avanti, compensando le perdite precederti. L’inflazione complessiva è scesa a causa di effetti base, ma secondo alcuni segnali preliminari i salari hanno toccato il punto di svolta. Pertanto un ulteriore raffreddamento dell’inflazione pare poco probabile.

FEDERAL RESERVE: LE NOVITÀ DELLA YELLEN –
Mentre l’economia USA sta tentando faticosamente di uscire dalla fase di debolezza dovuta al maltempo invernale, la Federal Reserve non ha modificato il ritmo della riduzione degli acquisti di attivi, tagliando di altri 10 miliardi di dollari il programma QE, che adesso ammonta a 55 miliardi di dollari di acquisti mensili. Il presidente della banca centrale USA, Janet Yellen, ha confermato che intende rispettare questo ritmo di riduzione e che il programma sarà concluso entro quest’anno. Inoltre, la Yellen ha dichiarato che il tasso sui fed fund sarà mantenuto tra 0% e lo 0,25% per sei mesi dopo la conclusione del QE, e dunque pare probabile che nel 2015 assisteremo al primo incremento dei tassi. La Federal Reserve ha accantonato il tasso di disoccupazione al 6,5% come soglia limite per avviare un inasprimento monetario, concentrandosi invece su altri fattori, come la tendenza del mercato del lavoro, l’inflazione e le condizioni finanziarie. Ciò fa ritenere che la banca centrale USA sia tornata ad utilizzare i suoi parametri tradizionali. L’accento posto dalla Yellen sul recente miglioramento del mercato del lavoro, ha spinto al rialzo i rendimenti obbligazionari e il mercato azionario ha perso terreno.

BCE: NESSUNA NOVITÀ – La produzione industriale nell’area dell’euro ha registrato un’inattesa flessione in gennaio, tuttavia gli indicatori che rilevano gli ordinativi nazionali ed esteri sono migliorati ancora a febbraio. Il saldo positivo della bilancia commerciale è diminuito, ma la forza dell’euro induce a prevedere che le esportazioni potrebbero essere meno importanti per la crescita rispetto agli anni scorsi. La ripresa degli investimenti è incoraggiante, e dovrebbe creare nuovi posti di lavoro, ma ci vorranno anni prima che l’occupazione torni ai massimi del passato. Una lieve crescita degli impieghi potrebbe essere sufficiente per adesso a evitare che i salari scendano e a tenere lontana la deflazione. A nostro avviso, per il momento la BCE non modificherà la propria politica monetaria, mentre i rischi più rilevanti per l’economia della zona, ovviamente sono legati al vigore della moneta unica ed alle tensioni in Ucraina.

CINA: FRENA L’ECONOMIA – Le autorità cinesi paiono avere raggiunto i loro obiettivi in tempi abbastanza brevi. La crescita degli investimenti fissi ha registrato una frenata e la produzione industriale e le vendite al dettaglio sono risultate abbastanza fiacche (per i parametri cinesi). Bisogna tornare indietro di parecchi anni per ritrovare un simile rallentamento sincronizzato. I timori dei mercati si riferiscono agli elevati livelli di debito ed alle insolvenze obbligazionarie, ma si prevede che le autorità interverranno attraverso misure di stimolo fiscale o monetario qualora la crescita crollasse in modo troppo brusco. Per quanto riguarda gli altri mercati emergenti, segnaliamo che la Reserve Bank of India non prevede ulteriori inasprimenti monetari. Inoltre, anche la banca centrale del Brasile ha mantenuto un orientamento neutrale in un contesto interno caratterizzato da robuste vendite al dettaglio, calo della produzione industriale e inflazione costante. La banca centrale della Tailandia, invece, ha tagliato i tassi di riferimento dopo che i disordini politici hanno inciso negativamente sull’economia. L’economia turca pare tenere abbastanza bene malgrado le turbolenze della situazione politica interna e, alla luce della recente stabilizzazione della valuta locale, il deflusso degli investimenti di portafoglio potrebbe essere diminuito. Nel complesso, i nostri esperti non rilevano sviluppi particolarmente positivi nei paesi emergenti in generale. Il rallentamento dell’economia cinese potrebbe avere conseguenze sfavorevoli sui mercati, che invece trovano sostegno nella ripresa negli USA ed in Europa. In questo contesto, abbiamo optato per una posizione neutra sui mercati azionari e obbligazionari dei paesi emergenti.

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