Bhandari (Columbia Threadneedle): “Favorite le azioni europee”

Di seguito un commento di Maya Bhandari, portfolio manager multi asset di Columbia Threadneedle Investments.

Siamo consapevoli dell’ottimo andamento registrato dalle obbligazioni investment grade e high yield sotto il profilo del rischio/rendimento, e in questo contesto abbiamo esaminato la nostra ponderazione in quest’area. Abbiamo deciso di limare la nostra esposizione all’alto rendimento europeo nei portafogli di asset allocation. Siamo tuttavia anche coscienti della compiacenza del mercato in generale e ci siamo chiesti se non si prospetti una correzione per l’obbligazionario e, in tal caso, da cosa potrebbe essere innescata.
Considerando dapprima i titoli investment grade (IG), la nostra analisi indica prospettive positive prolungate, alla luce delle politiche monetarie favorevoli, con il vigoroso stimolo dei tassi d’interesse negativi, in uno scenario economico stabile caratterizzato da volatilità piatta e valutazioni in via di peggioramento, ma non ancora elevate.
Ciò detto, siamo tuttora preoccupati per lo stato di salute dei bilanci societari negli Stati Uniti, dove la leva è vicina ai massimi del dopo 2000 e la copertura degli oneri finanziari ai minimi dalla fine della crisi. Ci aspettiamo che la leva continui ad aumentare e, per quanto non sia un comportamento atipico in questa fase medio-avanzata del ciclo del credito, riteniamo valga la pena monitorarne attentamente l’evoluzione, nonostante la discreta crescita degli utili.
In Europa la situazione è diversa. Nella regione la leva si è stabilizzata, con un accumulo meno marcato rispetto agli USA, e quest’anno dovrebbe calare a nostro avviso. Inoltre, la copertura degli oneri finanziari delle società investment grade europee dovrebbe aumentare sia nell’anno in corso che nel prossimo. Tuttavia, l’investment grade è una classe di attività talmente globale che è difficile separare l’Europa dal resto del mondo.
Nell’alto rendimento i fondamentali aziendali sono in miglioramento. Osserviamo un aumento della redditività mentre la leva, il debito e la copertura degli oneri finanziari sono in diminuzione e la duration dell’indice è grosso modo la metà di quella dell’IG europeo. La società high yield tipica oggi è molto diversa rispetto a dieci anni fa, nella misura in cui ha dimensioni superiori di circa tre volte e una qualità più elevata. Tenendo presente questo aspetto, dopo un periodo di solide performance, le valutazioni dell’alto rendimento europeo sono salite e al momento appaiono più piene di quelle rilevabili nell’investment grade della stessa regione. Ad esempio, le obbligazioni con rating BB nel segmento high yield risultano costose rispetto ai titoli investment grade BBB.
Negli ultimi 12 mesi, l’high yield ha generato rendimenti totali robusti, pari al 9% e all’11% rispettivamente in Europa e negli Stati Uniti, mentre nell’arco di 10 anni, il risultato sale a circa il 100% per entrambi i segmenti. Gli spread europei e statunitensi si discostano rispettivamente di 80 e 90 punti base dai minimi del 2007.
Quali sono dunque le implicazioni per noi?
A conti fatti, non vi sono fattori evidenti in grado di creare scompiglio, ma abbiamo comunque deciso di ridurre la nostra esposizione al credito high yield europeo, ritenendo tale approccio prudente in termini di profilo di rischio/rendimento. La tesi rialzista per i mercati del credito poggia sulla convinzione che la ricerca di rendimento continui, in un contesto ideale di crescita lenta e costante, inflazione modesta e politiche monetarie “più espansive più a lungo” con tassi reali bassi. Tuttavia, sappiamo che a questo punto uno shock esogeno potrebbe innescare una correzione e fra i numerosi e variegati potenziali fattori scatenanti figurano l’atteggiamento più restrittivo delle banche centrali, un rallentamento della crescita in Europa, turbolenze geopolitiche come il possibile tramonto di Shinzō Abe in Giappone e la situazione negli Stati Uniti, dove il presidente Trump appare in difficoltà con l’approvazione delle riforme fiscali e tributarie.
Il mercato sembra assegnare una bassa probabilità all’attuazione delle politiche di Trump e stiamo considerando attentamente gli effetti favorevoli che potrebbero derivarne. Per quanto riguarda l’azionario statunitense, l’anno scorso la nostra analisi puntava a un possibile rialzo delle quotazioni del 16-17% legato ai soli tagli delle imposte societarie (in base a un calcolo approssimativo secondo cui una riduzione del 5% delle imposte genera un impatto positivo sugli utili pari a circa il 4%). L’S&P 500 ha guadagnato più di così, nonostante l’assenza di sgravi fiscali e la possibilità sempre più concreta che questi tagli arriveranno più tardi e saranno inferiori a quanto inizialmente auspicato. Le statistiche economiche negli Stati Uniti stanno deludendo le aspettative in calo e sia i dati oggettivi che quelli soggettivi appaiono visibilmente più fiacchi, pertanto confermiamo l’opinione che le azioni USA siano ormai pienamente valutate.
Il nostro gruppo di asset allocation mantiene la preferenza per le azioni europee, nel quadro di prospettive favorevoli per l’azionario in generale. Confermiamo il giudizio neutrale sul credito e negativo sui titoli di Stato core.

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