Fondi quotati, ancora presto per parlare di trasformazione radicale

RISCHIO O OPPORTUNITA’ – I fondi comuni saranno presto negoziabili in Borsa come un qualunque titolo azionario o un etf, attraverso un listino telematico. Il progetto, che dovrebbe diventare realtà tra fine anno e inizio 2015, spinge a un utile esercizio di previsione delle conseguenze sulle dinamiche competitive dell’asset management italiano. Gestori, banche e associazioni si sono più volte espressi facendo registrare un consenso robusto su alcuni effetti attesi, per la verità piuttosto generici: il risparmiatore finale beneficerebbe di una maggiore scelta, di più trasparenza, di una competizione più libera e sana, di minori commissioni e di costi di gestione più chiari. Le reti di promozione finanziaria sono potenzialmente le più toccate dalla novità: per loro la negoziazione in Borsa dei fondi è un rischio o un’opportunità?

RIMODULAZONE DEL MODELLO DI SERVIZIO – Noi riteniamo che anche la quotazione si inserirebbe nel percorso orientato al recepimento delle direttive comunitarie come la Mifid, già avviato ma ancora allo stato embrionale. Sarebbe un passo, importante ma iniziale, in un processo articolato verso la progressiva rimodulazione del modello di servizio: dal supporto puramente tecnico sulla negoziazione decisa dal cliente fino alla consulenza avanzata e fee-based in architettura aperta.

PUNTI DA RISOLVERE – La quotazione sarebbe dunque un incentivo in più per le reti distributive per dotarsi di strumenti e capacità distintive per competere con i possibili nuovi concorrenti: consulenti finanziari indipendenti che, sul modello anglosassone, potrebbero e dovrebbero finalmente nascere anche in Italia e andare a occupare lo spazio più elevato – e proficuo – del business dell’asset management. L’introduzione della piattaforma telematica per la negoziazione dei fondi presenta comunque alcuni punti ancora da risolvere.

1.
Per le banche, il potenziale vantaggio di prezzo implica chiaramente un rischio di cannibalizzazione del mercato primario. Gli istituti potrebbero trovarsi – loro malgrado – a vendere lo stesso prodotto a prezzi diversi sui due canali, online e tradizionale. Esercitare il proprio potere negoziale sulle case di prodotto rivedendo i termini delle partnership sulla distribuzione allo sportello (dove i volumi sono decisamente più interessanti per le fabbriche) sarebbe una scelta possibile, quasi naturale, e penalizzante per lo sviluppo del listino telematico.

2. Si dice che la quotazione dei fondi sia un’opportunità d’ingresso per i fondi stranieri sul nostro mercato: ma la verità è che, a fronte di masse di risparmio notevoli, la nostra arretratezza normativa e informatica rappresenta ancora un vincolo per i player dall’estero. L’e-commerce per i prodotti di risparmio funziona molto bene nei paesi del Nord Europa, che hanno adottato la Mifid 2.

3. Perché i fondi in Borsa abbiano davvero successo dovrebbe esplodere la domanda spontanea. Domanda che inoltre dovrebbe evolvere: da portafogli tipicamente basati su titoli di Stato e obbligazioni bancarie (spesso emesse dall’istituto d’appoggio) a una diversificazione più spinta, con l’inclusione di strumenti evoluti di protezione e investimento.

4. Altro fattore di sviluppo per i fondi online sarebbe una forte percezione del valore aggiunto della consulenza “esplicita”, con una conseguente naturale segmentazione della clientela in base al grado di orientamento alla self direction: pago di meno (o di più), ben consapevole della differenza di livello di servizio tra le due soluzioni.

5. Il trading online, che rappresenta in Italia una percentuale decisamente minoritaria delle transazioni finanziarie, si basa sull’attività di pochi, pochissimi heavy trader: tipicamente, speculatori con orizzonti di investimento molto brevi che vogliono prendere decisioni autonome su ogni singolo titolo. Al contrario, i fondi sono un prodotto di investimento più a lungo termine, le decisioni di investimento le prende a monte qualcun altro e la piattaforma non permetterebbe nemmeno scambi “liquidi” e quotazioni in tempo reale, perché il prezzo sarebbe dato dal fixing del giorno prima. Tutti elementi che riducono l’appeal di questa soluzione per gli utenti più attivi.

6. Anche sul fronte tecnico, occorrerebbe perfezionare le procedure: gli obblighi informativi e burocratici sono molto stringenti e le schede prodotto devono essere disponibili ed esaustive. I tempi di adeguamento sotto il profilo della compliance non sembrano immediati.

La quotazione sembra dunque parte di un processo volto ad aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’industria. Pare però ancora prematuro considerarla una trasformazione radicale e soprattutto istantanea del settore.

Massimo Arrighi, partner A.T. Kearney
(articolo comparso sul numero di novembre di Bluerating)

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