Consultinvest, ora anche la Cina valuta l’ipotesi QE

LA CRESCITA RALLENTA – Dal 2011 l’economia cinese ha rallentato significativamente, con la crescita del PIL passata dal 9,80% all’attuale 7% e con dati tendenziali che puntano sotto il 6%. Il problema, osservano gli esperti di Consultinvest, “è che la macchina dell’economia cinese è stata costruita con l’obiettivo di uno sviluppo trainato dall’Export e dalla creazione delle infrastrutture per sostenerlo (grandi fabbriche, strade, ponti, dighe e case per i lavoratori emigrati dalle campagne per alimentare manodopera a basso costo)”.  Con la crisi del 2008 e il calo della domanda mondiale, la Cina ha provato a reagire stimolando la propria economia con misure fiscali e monetarie espansive monstre. Questo però, proseguono gli analisti, “non ha fatto altro che aggravare un problema di capacità in eccesso e far esplodere il debito, in particolare quello delle società immobiliari e dei governi locali responsabili dell’implementazione delle misure di stimolo”.

UN QUANTITATIVE EASING ALLA CINESE
– “Il tentativo di contenere la montagna di debito creatasi attraverso misure di contenimento selettive e di riconvertire l’economia cinese, stimolando la domanda per consumi sul modello delle democrazie economiche sviluppate, non pare aver dato i risultati sperati. Vuoi perché la crescita mondiale rimane debole, vuoi poiché quella cinese, nonostante le riforme di questi anni, rimane un’economia ancora centralizzata e statalizzata, con effettivi limiti alla libera iniziativa privata. Per questo motivo, dopo due anni di tentativi di contenimento fiscale e monetario, ora Pechino si vede costretta ad invertire decisamente la rotta e pare proprio volersi avventurare in un “suo” QE”.

IL GOVERNO DEVE CORRERE AI RIPARI – “Dall’autunno scorso la Banca centrale ha ridotto la riserva obbligatoria, tagliato i tassi ufficiali e liberalizzato i meccanismi di fissazione dei tassi d’interesse bancari, aperto progressivamente il suo mercato dei capitali. Tuttavia la discesa dell’inflazione e il rallentamento dell’economia sono più veloci e rendono ancora troppo restrittive le condizioni del credito, mentre anche i profitti industriali cedono. Poi si teme per la capacità dei governi locali di continuare a finanziare progetti immobiliari e di sviluppo che non sono più economici. Si sono già registrati diversi fallimenti societari che hanno spaventato gl’investitori internazionali, proprio mentre il Governo li stava corteggiando con l’apertura ai movimenti di capitale. Ecco allora che il Governo deve correre ai ripari, obbligando le banche di Stato a continuare a finanziare i progetti delle autorità locali e riconvertendo in modo forzato il loro costoso debito bancario in Bond, emesso con un’implicita garanzia del Governo centrale a tassi molto più bassi”.

PERDITA DI REDDITIVITA’ – “Le banche dovranno sostenere una perdita di redditività, ma i loro crediti – molti dei quali ormai dubbi – saranno garantiti da Pechino. Non solo ma questi bond potranno essere rifinanziati presso la banca centrale a condizioni vantaggiose. La liquidità così ottenuta dalle banche potrà servire per continuare a finanziare la crescita del credito ed evitare il diffondersi di una stretta creditizia. Come si vede si tratta di un misto tra un LTRO e un QE “lato sensu”. LTRO perché le banche potranno rifinanziare con la banca centrale i propri attivi in modo vantaggioso. Un QE, di sostanza, perché la banca centrale sarà un finanziatore indiretto di debito pubblico”.

RALLY SPECULATIVO – Questo “turnaround” di politica economica, concludono gli esperti, “contribuisce a spiegare lo spettacolare rally del mercato azionario domestico cinese, che da inizio anno è salito del 93% a Shenzhen e del 44% a Shanghai. Un rally che mal si concilia con il deterioramento dei fondamentali economici e societari. Infatti si tratta di un rally piuttosto speculativo, dove una parte rilevante l’hanno giocata gli acquisti dei risparmiatori domestici delusi dall’immobiliare e pronti a sfruttare la leva finanziaria offerta dai brokers. Mentre pare che gli investitori professionali internazionali non abbiano ancora partecipato granché (Hong Kong è salita “solo” del 18,6%).

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