Lazard Frères Gestion: gli Usa vanno davvero verso la recessione?

TIMORI SUL RALLENTAMENTO USA – Il riaffacciarsi dei timori di un’entrata in recessione degli Stati Uniti è uno dei motivi che hanno pesato sui mercati finanziari negli ultimi mesi, nota Lazard Frères Gestion. I primi dati sull’attività disponibili per il mese di gennaio (vendite al dettaglio depurate delle componenti volatili in aumento dello 0,6%, produzione manifatturiera in crescita dello 0,5% e netta ripresa degli ordinativi di beni strumentali) sembrano scongiurare questo rischio a breve termine, ma la pubblicazione di indicatori anticipatori PMI (indici dei direttori d’acquisto) deludenti per il mese di febbraio lascia il dubbio a molti investitori. L’economia USA si sta avviando verso una nuova recessione? Quali sono gli elementi che preannunciano tale svolta?

IL CALO DELL’INDICE ISM MANIFATTURIERO SOTTO QUOTA 50 NON E’ SINONIMO DI RECESSIONE – Sarebbe un errore basarsi sullo scarso peso del settore manifatturiero nell’economia per liquidare come poco significativi i segnali che da esso provengono. Infatti, pur rappresentando una quota inferiore al 15% del PIL, questo settore contribuisce per quasi il 30% alla volatilità della crescita economica. È dunque uno dei principali settori da seguire ed è per questo che l’ISM manifatturiero è un indice importante. Ciononostante, la storia insegna che questo indice, e in particolar modo la componente dei nuovi ordinativi, debba raggiungere livelli ben più bassi prima di segnalare una recessione con una forte probabilità. Le probabilità aumentano notevolmente solo quando si scende sotto quota 45. Al di là del livello degli indicatori, spesso è della loro variazione che bisogna tenere conto, benché un forte calo dell‘indice ISM manifatturiero non preluda necessariamente a una recessione. Infatti, i cicli del settore manifatturiero hanno spesso una durata inferiore rispetto a quelli dell’economia nel suo complesso e nel corso di un’espansione economica possono verificarsi molteplici correzioni. Oggi, la debolezza del settore manifatturiero trova principalmente due spiegazioni:la correzione del livello elevato delle scorte in numerosi settori;le conseguenze del calo del prezzo del petrolio sugli investimenti nei settori estrattivi, in particolare nella produzione di petrolio di scisto.Riguardo a questi due elementi, è probabile che ci troviamo più prossimi alla fine della correzione che non all’inizio, nota Lazard.

QUALI SONO I FATTORI CHE ANNUNCIANO UNA RECESSIONE? I segnali ritenuti forieri dell’arrivo della recessione negli Stati Uniti sono di varia natura, spiega Lazard. Il primo è la durata dell’attuale fase di espansione. Alla base di questo argomento vi è l’idea che l’espansione economica non possa durare in eterno e che, avendo l’attuale fase espansiva già ampiamente superato la durata media di un ciclo di crescita, la recessione sia imminente. Applicando la stessa metodologia adottata per le tabelle di mortalità, Glenn Rudebush dimostra in uno studio che, dalla seconda guerra mondiale, le probabilità che l’economia statunitense entri in recessione nei prossimi mesi non aumenta particolarmente con la durata dell’espansione economica, a differenza di quanto avveniva in passato. Ciò si spiega con lo sviluppo tra i due periodi dei servizi, molto meno volatili, e del ruolo del governo nella gestione del ciclo economico, spesso anticiclica. Il secondo aspetto è la diminuzione del tasso di profitto. In realtà, nelle fasi di espansione relativamente lunghe (anni Sessanta e Novanta), il tasso di profitto comincia a diminuire a metà del ciclo economico, svariati anni prima dell’inizio della recessione. Se le fasi di espansione non s’interrompono per via della loro durata e in conseguenza del calo del tasso di profitto, da quali cause sono determinate le recessioni? Non esiste purtroppo una spiegazione pura e semplice del fenomeno e la questione è tuttora dibattuta tra gli economisti. Shock esogeni sulla produttività, shock finanziari, conseguenze delle rigidità dell’economia, shock petroliferi, revisione delle previsioni e delle preferenze degli operatori economici per ragioni estrinseche… tantissimi i concetti avanzati per cercare di spiegare la ciclicità dell’economia senza che nessuno di essi si sia imposto sul piano teorico.

PRIVILEGIARE L’APPROCCIO EMPIRICO – Per questo motivo, per prevedere le recessioni va forse privilegiato un approccio empirico, sottolinea Lazard. Da un’analisi dei contributi alla volatilità del ciclo economico emerge il ruolo preponderante di quattro componenti della domanda nelle variazioni del PIL: il consumo di beni durevoli; gli investimenti residenziali; gli investimenti delle imprese; le scorte delle imprese. Pur contribuendo soltanto per un quarto all’attività economica, queste componenti “cicliche” rappresentano l’80% della volatilità dell’economia e spiegano tutte le cadute in recessione. Reciprocamente, quasi tutti i cali di attività nei settori ciclici sfociano in una recessione. Ad eccezione della recessione degli anni 1953-54, che si spiega con i tagli alle spese per la difesa dopo la guerra di Corea (all’epoca, tali spese rappresentavano il 15% del PIL), tutte le recessioni sono precedute da un picco del peso delle componenti cicliche. Tale picco viene raggiunto con maggiore o minore anticipo rispetto all’entrata in recessione, ma la precede sempre. Più precisamente, sembrano essere gli investimenti residenziali a svolgere un ruolo importante nelle recessioni. Nei suoi studi Edward Leamer dimostra come, prima di una recessione, si sia sempre verificato un rallentamento di tali investimenti. Viceversa, tutte le crisi del settore immobiliare residenziale sono state accompagnate da una recessione, ad eccezione di quelle degli anni 1951-52 e 1966-67, durante le quali si era però verificata un’impennata della spesa pubblica a causa delle guerre di Corea e del Vietnam, che aveva permesso di assorbire lo shock. Le altre componenti “cicliche” tendono per lo più a produrre i loro effetti in un secondo tempo, dopo che l’economia è già entrata in recessione.

LE STRETTE NON CAUSANO SEMPRE RECESSIONE – Ciò che accomuna questi settori è la sensibilità relativa ai tassi d’interesse, ricorda Lazard. Si è osservato, inoltre, che la maggior parte delle recessioni sono precedute da un inasprimento della politica monetaria. Tuttavia, poiché la politica monetaria agisce sull’economia con ritardi “lunghi e variabili”, secondo l’espressione consacrata dai banchieri centrali, l’inasprimento può richiedere tempi più o meno lunghi prima di determinare un’inversione di tendenza della crescita. È improbabile che l’attuale inasprimento delle condizioni finanziarie basti da solo a innescare una recessione, innanzitutto perché i tassi sono ancora decisamente più bassi del tasso di crescita nominale dell’economia statunitense, ma anche perché la storia dimostra che può esserci una stretta creditizia senza causare una recessione, come nel 1987 e nel 1998. Nel 1998, le banche iniziarono a inasprire progressivamente i criteri di erogazione del credito alle imprese, ma non quelli per la concessione dei mutui ipotecari. La recessione arrivò soltanto nel 2001 e fu molto leggera. L’inasprimento dei criteri di erogazione del credito alle famiglie sembra avere un impatto più rapido.

NON E’ FACILE FARE PREVISIONI – Cosa pensare, dunque? La storia dimostra che è difficile enunciare una teoria delle recessioni che permetta di prevedere a colpo sicuro lo scivolamento dell’economia statunitense nella recessione. Il settore residenziale, strettamente dipendente dalle condizioni di finanziamento, sembra svolgere un ruolo importante in questo meccanismo. Ma la recessione del 2001 dimostra che le cause delle recessioni possono essere radicate anche in altri segmenti dell’economia, compresi gli investimenti delle imprese. Comunque sia, esse si manifestano quasi sempre in seguito a un inasprimento della politica monetaria in un contesto in cui le attività cicliche hanno raggiunto un picco. Oggi il peso di queste attività cicliche è relativamente modesto e questo potrebbe consentire alla Federal Reserve di ottenere un “soft landing”, ovvero un rallentamento dell’attività sufficiente a ridurre le pressioni inflazionistiche senza scivolare nella recessione, come nel 1994. È questo, con ogni probabilità, ciò che la Fed cercherà di ottenere, ma ora è troppo presto per dire se ci riuscirà.

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