Artemis: ecco pro e contro degli investimenti in Europa

GRANDE E’ LA CONFUSIONE – “Perché investire in Europa? Da un punto di vista politico la confusione è grande e, sotto molti aspetti, le imprese non hanno vita facile. Comunque, le cose vanno così da anni. Le aziende buone – e ce ne sono tante in Europa – hanno capito che non possono contare sull’aiuto dei loro governi e devono quindi essere artefici del loro destino”, spiega Paul Casson, manager dell’Artemis Pan-European Absolute Return Fund. “Noi facciamo lo stesso assumendo posizioni lunghe e corte. Invece di lasciare che i nostri profitti dipendano dai rialzi di mercato o dalla crescita economica, studiamo i fondamentali per identificare i titoli azionari che presentano anomalie di valutazione. Ce ne sono tantissimi. Il flusso delle nostre idee di investimento si arricchisce costantemente di strategie formulate per seguire le tendenze in atto. Le masse in gestione investite secondo questi tipi di strategie sono talmente imponenti che le tendenze interessate finiscono invariabilmente per esprimere valutazioni non sostenibili. Prima o poi tutti quelli che sfruttano una tendenza si ritrovano nella stessa posizione, con il risultato che le fonti di liquidità necessarie per alimentare la tendenza stessa inevitabilmente si prosciugano. Dopo tale sfruttamento intensivo la tendenza si affievolisce, per poi manifestare un’inversione piuttosto violenta, e per chi si trova dalla parte sbagliata di queste rotazioni improvvise sono dolori”.

UNA SCOMODA VERITA’ – “Nel 2015 la maggior parte dei gestori rialzisti (long-only) attivi ha sovraperformato nello stesso modo, cioè sovrappesando e sottopesando i medesimi settori; in particolare, questi gestori hanno evitato energia e materie prime per concentrarsi sulle società a media capitalizzazione e sulle azioni “di crescita” (growth). Anche l’Artemis Pan-European Absolute Return Fund ha prodotto ottimi risultati, con un rendimento del 13,1% a fronte di un modesto 8,8% messo a segno dall’indice europeo di riferimento*, grazie in parte a un posizionamento simile a quello di queste strategie direzionali. Con il calo dei prezzi delle materie prime abbiamo realizzato profitti vendendo allo scoperto diverse azioni dei settori energia e materiali. Ad ogni modo, nel quarto trimestre dello scorso anno la retorica su questi settori aveva assunto toni esagerati. Sulle azioni di crescita il consenso era così schiacciante che tutte le notizie negative (o anche solo equilibrate) che potevano mettere in dubbio i multipli ai quali questi titoli passavano di mano venivano ignorate. D’altro canto, le indicazioni di un lento ritorno alla normalità o anche di un leggero miglioramento in aree in cui gli investitori avevano posizioni corte – materie prime e settori collegati – non erano neppure prese in considerazione”, sottolinea Casson. “Nella parte finale del 2015 qualche incerto segnale sembrava indicare che i prezzi delle materie prime fossero prossimi ai minimi. Tuttavia, a conferma della tendenza a prediligere in maniera acritica convinzioni radicate, il mercato non ha prestato attenzione. Analogamente, i rialzi delle azioni di Rio Tinto, Anglo American e Glencore sono stati attribuiti “semplicemente” alle ricoperture di scoperto; ma gli acquisti sono acquisti, anche se servono solo a coprire posizioni corte. Le valutazioni nei settori oil & gas e minerario erano cadute a un livello tale che – ad eccezione dei casi di fallimento – erano pronte per una rapida ascesa. Abbiamo quindi cambiato il posizionamento del fondo proprio in previsione di questo andamento. Il prezzo dei minerali ferrosi è risalito notevolmente quest’anno, al pari di quello del rame, con importanti implicazioni per le azioni delle società minerarie, che scontavano previsioni di una persistenza delle quotazioni dei metalli ai minimi registrati nel 2015. Pertanto, abbiamo modificato il posizionamento del fondo, vendendo alcune posizioni risultate vincenti l’anno scorso – imprese edili, società a media capitalizzazione e azioni di crescita sopravvalutate – e chiudendo le posizioni sottopesate (o corte) nei settori maggiormente trascurati”.

IL MATTONE (IRLANDESE) SICURO…- “Quali altre tendenze sono sul punto di cedere? La riluttanza a riconoscere che le cose stanno migliorando per le impopolari azioni minerarie fa il paio con la scarsa disponibilità ad accettare che i fondamentali delle imprese edili del Regno Unito hanno cominciato a indebolirsi”, aggiunge il gestore. “È ovvio che gli immobili di pregio nel centro di Londra difficilmente perderanno in tempi brevi il fascino che li rende particolarmente appetibili, ma i prezzi degli appartamenti nuovi nelle zone periferiche sono diventati irrealistici. Inoltre, dalla fine dell’anno scorso gli investitori esteri manifestano sempre meno interesse a comprare immobili “sulla carta”. Alcuni acquirenti si stanno svincolando da consistenti impegni finanziari, anche perdendo la caparra. Inutile a dirsi, gli apologeti cercano tutti gli appigli possibili per negare che i prezzi delle case siano aumentati troppo. Non intendo affermare che i prezzi stiano per crollare; ci sono forti incentivi finanziari e remore psicologiche fra gli operatori a scongiurare questa evenienza, ma il numero delle operazioni diminuirà. Presumibilmente, le imprese edili preferiranno tenere gli appartamenti invenduti anziché svenderli; ma se da un lato le possibilità di vendere in tempi brevi a prezzi inflazionati diminuiscono, dall’altro i costruttori non potranno non ultimare i progetti già avviati. Tutti i cantieri aperti saranno portati a termine, incrementando l’offerta. Perciò, a causa dell’effetto congiunto dell’aumento dei costi e del calo dei volumi di vendita, i bilanci delle imprese edili del Regno Unito, che una volta erano floridi, dovranno per forza di cose indebolirsi. Ripeto: non prevedo un crollo, ma un calo precipitoso dei volumi di vendita può essere ugualmente deleterio per queste società, anche se i prezzi restano invariati. Comunque, se le prospettive per l’edilizia del Regno Unito cominciano a deteriorarsi, quelle per l’Irlanda sono molto più incoraggianti. Il settore immobiliare irlandese si trova ora nella stessa posizione in cui si trovava quello del Regno Unito nel 2010, anno in cui la disoccupazione era elevata, nessuno costruiva e nessuno voleva (o poteva) cambiare casa. Il mutare di queste condizioni spianò la strada a una fase di grande prosperità per le imprese edili britanniche. Il settore immobiliare irlandese sembra sul punto di entrare in una fase analoga. I due Paesi hanno una cultura dell’abitare simile ma si trovano in fasi diverse del ciclo economico e immobiliare. Una posizione scoperta nel settore immobiliare di Londra e un investimento in quello di Dublino sembra una scelta intelligente. L’unica impresa edile irlandese quotata è Cairn Homes. I suoi concorrenti quotati in borsa sono falliti tutti quando c’è stato il crollo dell’edilizia in Irlanda, dando a quest’ultima la possibilità di acquistare terreni in zone di prestigio di Dublino a prezzi pari ad appena un terzo dei livelli raggiunti quando il mercato era agli apici. Abbiamo una posizione lunga. Cairn è solo una parte di un percorso intrapreso “seguendo il sole”. Per anni la ripresa nel Regno Unito è stata più sostenuta che nel resto d’Europa e l’Artemis Pan-European Absolute Return Fund ha realizzato profitti grazie a investimenti in società agganciate a tale ripresa. Oggi, però, sembra che siamo arrivati al punto in cui i Paesi che hanno avuto le recessioni peggiori – e che quindi devono recuperare di più – evidenziano i segnali di una crescita più rapida. Uno è l’Irlanda e l’altro è la Spagna”.

IL SOLE SPLENDE SEMPRE SULLA TV SPAGNOLA – “In Spagna abbiamo investito in Mediaset España. Analogamente a quanto accaduto ad alcuni dei migliori titoli azionari britannici negli ultimi anni, la società ha avuto una “buona recessione”. Il mercato della pubblicità televisiva in Spagna ha subito una contrazione del 40% dal picco raggiunto prima della crisi, con una riduzione da cinque a due del numero di grandi operatori presenti sul mercato. Una delle reti commerciali minori, Cuatro, è stata acquisita da Mediaset; un’altra, la Sexta, è ora di proprietà di Antena 3; la TV pubblica TVE, che tendeva a vendere spazi pubblicitari senza fare troppa attenzione ai prezzi, facendoli andare giù, non è più autorizzata ad accettare pubblicità. Tale cambiamento – e l’eliminazione di due concorrenti – ha trasformato il mercato pubblicitario spagnolo, rafforzando tutt’a un tratto il potere negoziale di Mediaset. Inoltre, il mercato televisivo spagnolo è particolarmente interessante. La siesta pomeridiana, quando molti spagnoli ritornano a casa per il pranzo, fa sì che in Spagna ci siano due fasce di massimo ascolto. Inoltre, l’idea che la televisione sia avviata verso un declino terminale per via di YouTube è un’assurdità. In Spagna la fruizione della TV “lineare” è addirittura in aumento. Si aggiunga a questo la capacità di Mediaset España di produrre contenuti, cosa che la solleva dall’onere di pagare cifre esorbitanti per le produzioni di terzi, e si può concludere che tutti i ricavi pubblicitari in più accresceranno direttamente i profitti della società. Gli investitori del Regno Unito hanno ottenuto ottimi risultati con ITV negli ultimi anni; riteniamo che Mediaset España sarà la prossima ITV per gli investitori (se non anche per i telespettatori)”, nota Casson.

UN PROBLEMA PER LE BANCHE...- “Mediaset è un buon esempio del tipo di società in cui vogliamo investire. Noi cerchiamo di scovare aziende che controllano il proprio destino e che crescono indipendentemente dall’andamento dell’economia. Le imprese europee devono però affrontare molte sfide, offrendoci parecchie possibilità di vendere allo scoperto. Prendiamo le banche. Le aspettative di un calo dei tassi di interesse a lungo termine hanno appiattito la curva dei rendimenti, eliminando profitti da una delle principali attività delle banche. Per realizzare un utile dall’erogazione di credito le banche hanno bisogno di una curva dei rendimenti ripida. Inoltre, il carry trade sui titoli di Stato, che una volta consentiva di guadagnare, è scomparso. Nel 2011 gli istituti di credito dell’Europa meridionale si finanziavano presso la BCE a tassi irrisori per acquistare titoli di Stato a 10 anni che rendevano circa il 7%. Questa era un’operazione sicura e redditizia. Ora i rendimenti delle obbligazioni decennali negli stessi Paesi sono scesi all’1,5% e la BCE ha annunciato che comincerà ad acquistare obbligazioni societarie di emittenti non finanziari. Questa può essere una buona notizia per chi ha bisogno di finanziamenti ma non per le banche, che vedono erodersi i margini di un’altra delle loro attività. Anche se le loro fonti di reddito si riducono, i politici e i regolatori stanno costringendo le banche a rafforzare ulteriormente i mezzi propri per proteggersi da un’eventuale crisi del settore. Le conseguenze per il rendimento del capitale degli istituti di credito sono estremamente negative. A nostro avviso è chiaro che le banche sono diventate preda dei politici, che le usano per stabilizzare il sistema finanziario e per far arrivare all’economia “reale” tutto il denaro possibile. Secondo noi diverse banche europee sono sopravvalutate e, quindi, abbiamo assunto una posizione scoperta in alcune di esse. Non c’è però, al momento, alcun trading direzionale contro il settore. Quando, o se, una tale attività si manifesterà saremo felicissimi di trarre profitto, pur essendo consapevoli che il mercato finirà inevitabilmente per esagerare. Negli investimenti la tendenza è tua amica, finché dura”, conclude il gestore.

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