Bnp Paribas Ip: Brexit, uno shock regionale con ricadute globali

UN VOTO A SORPRESA – “Gran parte degli operatori di mercato è stata colta di sorpresa dal voto dell’elettorato del Regno Unito che – a stretta maggioranza – si è espresso a favore dell’uscita dall’UE: di conseguenza, la sterlina si è deprezzata di circa l’8% rispetto all’euro scendendo ai minimi da marzo 2014 (cfr. grafico), mentre l’indice STOXX Europe 600 è sceso di circa l’11%, più dell’indice britannico FTSE 100 che ha perso quasi il 6%. Le azioni europee sono scivolate ai minimi registrati a febbraio, mentre a livello globale gli indici si sono collocati su livelli lontani dai minimi di inizio anno. Tali andamenti lasciano pensare che i mercati azionari considerino l’uscita del Regno Unito dall’UE come una perturbazione a livello regionale e non globale, e noi concordiamo con questa analisi”, sottolinea Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. “Gli investitori hanno spostato i capitali verso strumenti finanziari più sicuri come i Treasury degli Stati Uniti, i Bund tedeschi, i titoli di Stato del Giappone e lo yen (cfr. grafico). Tra le materie prime spicca in positivo l’oro, che aveva già beneficiato della flessione dei rendimenti obbligazionari e che negli ultimi giorni ha guadagnato ancora grazie allo status di bene rifugio. In vista del referendum nel Regno Unito avevamo adottato posizioni difensive. Il referendum è stato considerato come fattore di rischio ma non è stato dominante nella configurazione dell’asset allocation. Vi sono, infatti, anche altri motivi per mantenere un atteggiamento cauto, tra cui: prospettive di crescita modeste, inflazione bassa e scarso incremento dei profitti societari, quotazioni troppo elevate per alcune tipologie di attivo e altri rischi legati alla situazione politica in Europa e Usa“.

FORTI INCERTEZZE IN PROSPETTIVA – “L’esito del referendum del Regno Unito avrebbe dovuto fare chiarezza, disinnescando questo fattore d’incertezza per i mercati. Questo non è avvenuto, mentre la politica britannica è piombata nel caos. Dopo le dimissioni del primo ministro Cameron, non è chiaro chi avvierà la procedura formale per uscire dall’UE, e potrebbe toccare al nuovo leader del partito Conservatore. In ogni caso, anche dopo l’avvio della procedura, le future relazioni tra il Regno Unito e l’UE potrebbero assumere forme differenti. Fondamentalmente, qualora il Regno Unito intendesse beneficiare della libera circolazione di beni e servizi, sembra probabile che Londra debba accettare anche il libero movimento di capitali e lavoratori. Invece, un’integrazione ridotta nell’ambito dell’UE, a nostro avviso, avrebbe pesanti conseguenze per l’economia britannica”, spiega van Leenders. “In uno scenario sicuramente sfavorevole si potrebbe verificare un effetto contagio a livello europeo, con i partiti euroscettici pronti a invocare referendum simili negli altri paesi dell’UE. Questo sviluppo ci sembra però poco probabile. Sinora, infatti, i leader del Vecchio continente si sono mostrati compatti attorno al progetto europeo e quindi al momento tendiamo a escludere che un referendum analogo possa avere successo in qualunque altro paese dell’UE. Anche i rischi legati alla situazione in Spagna paiono in calo. Le elezioni tenutesi lo scorso fine settimana non hanno indicato un vincitore chiaro ed è probabile che il compito di formare una coalizione si rivelerà ancora pieno di insidie. Tuttavia, crediamo che alla fine i partiti centristi troveranno la strada per formare un governo. Ad ogni modo, in prospettiva, i mercati finanziari, dovranno affrontare altri rischi legati alla politica, il referendum sulla modifica costituzionale previsto per ottobre – che potrebbe trasformarsi in un voto di fiducia sull’attuale governo riformista – e le elezioni presidenziali degli Stati Uniti a novembre”.

BREXIT: UNO SHOCK REGIONALE – “A nostro avviso, le conseguenze di lungo termine dell’esito del referendum britannico dipenderanno dal livello di integrazione economica tra il Regno Unito e l’Unione europea dopo la Brexit. Pensiamo che l’economia d’oltremanica subirà una contrazione nell’ultimo trimestre di quest’anno e nel primo trimestre dell’anno prossimo e quindi abbiamo corretto al ribasso le stime di crescita del PIL per quest’anno dall’1,9% all’1,5% e per il prossimo anno dal 2,4% allo 0,0%. Inoltre, è probabile che gli investimenti societari diminuiscano poiché, nell’attuale clima caratterizzato da incertezze e prospettive opache, le aziende rimanderanno le spese. Infine, l’incertezza, il deterioramento del clima di fiducia e il calo delle quotazioni immobiliari potrebbero frenare la spesa al consumo, mentre la flessione della sterlina dovrebbe alimentare l’inflazione indebolendo il potere di acquisto”, aggiunge van Leenders. “Nell’area euro, solo gli spread e i rendimenti sul debito societario high yield sono saliti rispetto a prima del referendum britannico. In effetti, l’indebolimento della moneta unica ha allentato le condizioni finanziarie ma – malgrado ciò – abbiamo corretto al ribasso dello 0,1% le previsioni di crescita per il 2016 (all’1,5%) e dello 0,4% quelle per l’anno prossimo (all’1,4%). Secondo le nostre valutazioni, la Brexit avrà conseguenze limitate a livello globale. L’attività economica negli USA potrebbe subire un rallentamento nell’ultimo trimestre di quest’anno e nel primo dell’anno prossimo, ma questo avrà effetti trascurabili sui tassi di crescita annui, mentre il Giappone potrebbe essere penalizzato dall’apprezzamento dello yen. Per quanto riguarda i mercati emergenti, prevediamo un ulteriore rallentamento della Cina e una crescita relativamente modesta negli altri paesi asiatici. L’economia russa si dovrebbe stabilizzare, mentre un’eventuale ripresa in Brasile potrebbe rivelarsi di modesta entità a causa del freno dell’austerità di bilancio e della fase di contrazione del ciclo del credito”.

POLITICHE MONETARIE: I TASSI RESTANO BASSI – “A nostro avviso, l’esito del referendum avrà forti ripercussioni sulle politiche monetarie”, fa notare van Leenders. “È probabile che la Banca d’Inghilterra tagli i tassi di interesse e che tale decisione venga accompagnata da un nuovo allentamento quantitativo: la banca centrale dispone di margini per tagliare i tassi di 50 punti base prima di portarli in territorio negativo, ma potrebbe adottare un approccio graduale alla luce degli effetti sfavorevoli di una riduzione dei tassi d’interesse sulla redditività delle banche. Nell’area euro è tornata in primo piano la prospettiva di un’estensione del programma di allentamento quantitativo della BCE oltre marzo 2017: questa decisione potrebbe essere innescata da un eventuale rallentamento della crescita annunciato dagli indicatori prospettici e da un’inflazione che permane su livelli molto inferiori rispetto all’obiettivo fissato dalla BCE vicino al 2%” Probabilmente negli Stati Uniti il ciclo di inasprimento monetario subirà un nuovo rallentamento. Infatti, secondo noi è escluso che la Federal Reserve possa innalzare i tassi il mese prossimo e anche un intervento a settembre pare prematuro, il che farebbe saltare a dicembre la possibilità di un giro di vite. Tuttavia, in base ai futures sui Federal Funds, anche un ulteriore rialzo dei tassi prima di fine anno pare poco probabile. In realtà, i prezzi dei futures indicano una probabilità (leggermente) più alta di una riduzione dei tassi, piuttosto che di un inasprimento e nessun rialzo prima di settembre 2017. Le autorità monetarie giapponesi hanno espresso preoccupazione per il rafforzamento dello yen che rispetto ai minimi dalla metà dell’anno scorso ha guadagnato quasi il 20%, raffreddando l’inflazione e danneggiando la redditività delle aziende giapponesi. Un’accentuazione dell’allentamento monetario da parte della Banca del Giappone pare molto probabile, soprattutto attraverso un incremento del ritmo degli acquisti di attivi. Tuttavia, non è escluso che la banca centrale possa spingere ulteriormente i tassi in territorio negativo, varando al contempo altre misure per attenuare gli effetti negativi sulla redditività delle banche. Dunque è probabile che, nel complesso, il risultato del referendum nel Regno Unito possa accentuare l’orientamento espansivo delle politiche monetarie”.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: LIQUIDATO IL SOVRAPPESO NELLE AZIONI EUROPEE RISPETTO A USA E GIAPPONE – “Quando abbiamo costituito questa posizione nel mese di aprile, prevedevamo una modesta crescita degli utili nell’area euro che suscitava timore per la sostenibilità dei dividendi erogati dalle società. Tuttavia, in seguito, le stime reddituali per il 2017 si sono stabilizzate sia negli USA sia in Europa attestandosi però su un livello lievemente più basso nel Vecchio continente che, dunque, dovrebbe disporre di margini di recupero più ampi. I timori per i dividendi societari erano più forti nel Regno Unito ma con l’indebolimento della sterlina gli utili realizzati all’estero dovrebbero aumentare (in sterline) e quindi il pagamento di dividendi regolari nel lungo periodo dovrebbe diventare meno problematico per le società del Regno Unito. Tenuto conto di vari fattori favorevoli a una modifica delle posizioni, abbiamo deciso di liquidare il sottopeso”.

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