Bnp Paribas IP: le banche centrali minacciano una stretta, mercati nervosi

POLITICA MONETARIA INVARIATA – La Bce ha mantenuto invariate le sue politiche monetarie, sorprendendo gli operatori finanziari che avevano previsto un ampliamento degli interventi quantitativi, mentre i funzionari della Federal Reserve hanno continuato a inviare indicazioni restrittive accentuando il nervosismo dei mercati, sottolinea Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset Solutions di Bnp Paribas IP. Tali tensioni hanno raggiunto il culmine venerdì scorso, quando gli indici azionari hanno registrato la flessione più netta dopo il referendum in Gran Bretagna sulla Brexit e i rendimenti obbligazionari sono partiti al rialzo. Inoltre, gli spread sui titoli di Stato dei paesi periferici dell’area euro si sono ampliati, in particolare in Italia e Portogallo. Non abbiamo modificato l’allocazione degli attivi, già orientata alla prudenza, non solo a causa delle quotazioni azionarie elevate, ma anche alla luce di prospettive modeste per la crescita economica e i profitti societari e per le incertezze che circondano le politiche monetarie e gli sviluppi geopolitici a livello internazionale.

DRAGHI: IL MECCANISMO DI TRASMISSIONE MONETARIA FUNZIONA AL MEGLIO – Quando il presidente della BCE la settimana scorsa ha dichiarato che il meccanismo di trasmissione della politica monetaria non aveva mai funzionato meglio, probabilmente ha esagerato un po’, aggiunge van Leenders. Ad ogni modo, Draghi sembrava realmente soddisfatto dei risultati ottenuti attraverso l’attuale politica della BCE: i mercati obbligazionari della zona euro non sono più frammentati e il credito erogato dalle banche sta finalmente arrivando al settore privato. Draghi ha sottolineato che gli effetti collaterali negativi ‒ come la minore redditività bancaria o il tesoreggiamento di liquidità ‒ sinora sono stati modesti. In un contesto caratterizzato da un’inflazione bassa ma stabile (cfr. grafico) e da prospettive economiche relativamente favorevoli, la Bce non ha individuato alcun motivo per ampliare il programma di acquisto di attivi e questo tema non è stato nemmeno toccato nel corso della riunione del Consiglio direttivo della settimana scorsa. In un primo momento, i mercati hanno reagito negativamente, ma la flessione si è rivelata di breve durata. Tale andamento può essere considerato positivamente dal momento che potrebbe indicare una riduzione della dipendenza dei mercati dall’allentamento monetario, anche se ‒ a nostro avviso ‒ è riconducibile piuttosto al fatto che la BCE ha lasciato aperta la possibilità di un’estensione del programma di allentamento in un secondo tempo, alimentando le attese dei mercati. Il Consiglio direttivo, invece, ha conferito ad alcuni organismi l’incarico di esaminare le opzioni per una corretta attuazione degli acquisti di attivi, alla luce della (crescente) scarsità di alcune delle obbligazioni che la BCE sta comprando nell’ambito del suo programma. Infatti, a meno di una modifica delle direttive o del volume degli acquisti del programma della BCE, la disponibilità di Bund tedeschi da acquistare potrebbe esaurirsi verso la fine di quest’anno o all’inizio del prossimo. Gli analisti al momento si chiedono quali potrebbero essere gli eventuali elementi di novità da qui a dicembre: la crescita economica potrebbe risultare inferiore alle proiezioni ‒ relativamente ottimistiche ‒ della BCE, mentre è poco probabile che l’inflazione ‒ che già preoccupa la banca centrale ‒ possa salire, malgrado le politiche monetarie espansive e le condizioni di finanziamento particolarmente favorevoli. Pertanto, a nostro avviso la BCE prolungherà di sei mesi il programma di acquisto di attivi una volta individuate le opzioni per ovviare alla scarsità di emissioni acquistabili.

FEDERAL RESERVE: MERCATI INCERTI SULLE INDICAZIONI PROSPETTICHE – Alcuni dati non particolarmente positivi hanno fatto diminuire le probabilità di un rialzo dei tassi nel corso del mese. Tuttavia, i vertici della Federal Reserve hanno continuato a mandare segnali di una svolta in senso restrittivo della politica monetaria. Eric Rosengren ‒ presidente della sede di Boston della Federal Reserve ‒ ha dichiarato che i tassi d’interesse bassi stanno facendo impennare le chance di un surriscaldamento dell’economia, aggiungendo di ritenere opportuno un graduale inasprimento monetario. Tuttavia, tali dichiarazioni non hanno trovato riscontro nei prezzi dei future sui Federal funds, che non segnalano una stretta a breve. Ad ogni modo, i mercati hanno reagito bruscamente al cambiamento di tono delle indicazioni delle banche centrali. Le parole di Rosengren hanno spinto al ribasso gli indici azionari e obbligazionari e l’ondata di vendite è proseguita sino a lunedì. Tale andamento indica che i mercati stanno ancora scontando un solo rialzo dei tassi entro l’anno. Un giro di vite già a settembre avrebbe aperto la strada a un secondo rialzo in dicembre dato che sarebbe stato considerato come un segnale della crescente fiducia della Federal Reserve nella solidità dell’economia USA. In tal caso, i mercati dovrebbero iniziare a scontare due rialzi dei tassi entro l’anno piuttosto che uno solo. Tuttavia, riteniamo che il recente deterioramento di alcuni indicatori, in particolare dell’ultimo rapporto sull’occupazione e degli indici ISM (cfr. grafico), abbiano fatto diminuire le probabilità di un rialzo nel corso del mese. Gli altri indicatori tempestivi ‒ come le nuove richieste di sussidio di disoccupazione, la fiducia dei consumatori e i dati relativi al mercato immobiliare ‒ non segnalano un brusco rallentamento dell’economia, ma alcuni indicatori a livello regionale hanno accusato un calo e anche il Labour Market Conditions Index elaborato dalla banca centrale USA è scivolato nuovamente in territorio negativo. Tali andamenti dovrebbero essere sufficienti a dissuadere la Federal Reserve dall’intervenire, nota van Leenders.

CINA: MIGLIORA L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE – In agosto, i dati relativi all’interscambio commerciale della Cina si sono rivelati migliori del previsto: la flessione delle esportazioni ha rallentato e le importazioni hanno registrato un’impennata tornando a crescere (cfr. grafico). Tale sviluppo potrebbe far presagire un rafforzamento della domanda legata alla spesa in infrastrutture e una ritrovata vivacità del settore immobiliare. Altri fattori, come la ricostruzione delle aree alluvionate e il ciclo positivo nel settore tecnologico che si è sviluppato in Asia ‒ in parte sulla scia del lancio dell’iPhone7 della Apple ‒ potrebbero rivelarsi di durata più breve. La domanda estera, invece, non ha registrato netti miglioramenti, e dunque attendiamo di avere ulteriori riscontri prima di lasciarci andare a un maggiore ottimismo riguardo all’economia cinese, aggiunge il chief economist.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: IMPENNATA DELLA VOLATILITÀ – Al momento, la Federal Reserve segnala ai mercati che un nuovo rialzo è più vicino, mentre la Bce non ha ritenuto necessario estendere il programma di acquisto di attivi. A ciò si aggiunge la scarsa chiarezza delle conseguenze legate al riesame complessivo delle politiche monetarie in Giappone: tali circostanze hanno fatto aumentare la volatilità dei mercati (cfr. grafico) favorendo una correzione delle quotazioni e accentuando l’inclinazione della curva dei rendimenti. I mercati, dunque, sono ancora fortemente dipendenti dalla politica monetaria, il che spiega anche il motivo per cui ci dilunghiamo tanto su questo tema. Pertanto, al momento non intendiamo modificare la distribuzione prudente degli investimenti: restano dunque invariate le posizioni sottopesate nel comparto delle azioni internazionali, nel debito emergente in valuta forte rispetto ai Treasury e nel segmento delle materie prime. Inoltre, privilegiamo i titoli di Stato Usa rispetto all’eurozona poiché le obbligazioni statunitensi offrono un rendimento migliore in termini di carry e di roll-down e sono meno esposti ai rischi legati alla politica. Infine, continuiamo a puntare sulle obbligazioni indicizzate all’inflazione della zona euro rispetto ai titoli nominali dato che le aspettative d’inflazione integrate nel prezzo dei titoli ci paiono troppo basse, conclude van Leenders.

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