Candriam: gli effetti delle presidenziali Usa sul mercato

OCCHI PUNTATI SUGLI USA – L’incertezza politica europea che ha caratterizzato il 2016 ha avuto un impatto considerevole sul sentiment del mercato. A novembre sarà il turno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che potrebbero avere delle ripercussioni sull’economia e sui mercati finanziari, spiega Nadège Dufossé, head of asset allocation di Candriam Investors Group. La corsa per la Casa Bianca, in atto ormai da parecchio tempo, ci ha riservato a tutt’oggi numerose sorprese. Contrariamente alle elezioni del 2012, in cui il presidente Barack Obama si candidava per la rielezione, questa volta si tratta di due nuovi candidati: il controverso magnate immobiliare Donald Trump e la ex first lady Hillary Clinton. L’esito delle elezioni è naturalmente ancora incerto e i sondaggi potrebbero indurre significative oscillazioni di mercato. Gli investitori pensano comunque che le elezioni presidenziali americane possano avere un impatto rilevante sulle loro previsioni di mercato (oltre il 70% degli intervistati in un sondaggio di Morgan Stanley si aspetta un impatto tutt’altro che trascurabile nei prossimi due anni). L’esito può comunque influire sulla situazione economica, e quindi sulla crescita economica. Le prossime elezioni presidenziali americane si giocano sul piano della diversità etnica, della complessità del collegio elettorale e sulla politica di immigrazione, ma soprattutto sul piano della crescita economica. D’altra parte, fin dagli albori della teoria economica keynesiana, che invoca specifiche misure di politica macro-economica per correggere i cicli congiunturali, Washington ha sempre influenzato l’evoluzione economica.

IL RUOLO DELLA FED – La politica ha scoperto ben presto la relazione tra la scelta degli elettori e la situazione economica. In questo, la Fed gioca un ruolo importante, sottolinea Dufossè. Le sue misure possono influire significativamente sull’opinione dei mercati finanziari e funzionare o meno a vantaggio dei leader politici. Tant’è che nel 1992 George Bush Senior rimproverava la Fed di essere responsabile della vittoria elettorale di Bill Clinton. Bush aveva infatti vanamente insistito per una riduzione dei tassi d’interesse durante la corsa elettorale per modificare la difficile situazione. Gli investitori sembrano essere per ora poco preoccupati per le elezioni presidenziali americane dell’8 Novembre. L’indice americano S&P 500 è a un massimo storico grazie ai solidi risultati economici e a una minore probabilità di aumento dei tassi d’interesse da parte della banca centrale americana dopo la Brexit. La corsa elettorale promette tuttavia di diventare emozionante, dato che l’assenza del presidente in carica come candidato ha sempre portato incertezza. Negli anni in cui il presidente in carica non compariva sulla scheda elettorale per la rielezione lo S&P 500 dal 1944 è crollato in media di oltre il 3% (riduzione media negli anni 1952, 1960, 1968, 1988, 2000, 2008). Negli altri anni, l’indice di borsa americano è aumentato in media di oltre l’11%. Inoltre, la differenza tra i programmi dei due candidati questa volta è molto marcata. Entrambi sono protezionisti e vogliono adattare degli accordi di libero scambio, ma Trump vuole tra l’altro far uscire gli Stati Uniti dall’accordo commerciale NAFTA con il Messico e il Canada e mettere al bando l’immigrazione. Vuole anche sostituire la presidente della Fed Janet Yellen e vincolare la politica monetaria a regole fisse. Tali posizioni controverse, che non sono facilmente realizzabili nell’immediato, possono aumentare l’incertezza. Per di più, il programma di Trump non è in linea con la classica agenda repubblicana (aperta ai lavoratori immigrati per ridurre il costo del lavoro e positiva per Wall Street). Questo genera ulteriori perplessità, dal momento che non si può più propriamente parlare delle classiche convinzioni repubblicane del passato

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