Bnp Paribas Ip: la Banca del Giappone non convince i mercati

L’ASSO DI KURODA – Dopo la Bce – che ha provveduto all’inizio del mese – la settimana scorsa è stata la volta di Federal Reserve e Banca del Giappone, che hanno riunito gli organismi responsabili della politica monetaria. La banca centrale USA ha rispettato le attese decidendo di mantenere i tassi invariati, mentre la Banca del Giappone ha tirato fuori l’asso dalla manica: il governatore Kuroda è riuscito a portare in primo piano la curva dei tassi annunciando un obiettivo di rendimento per i titoli di Stato a dieci anni fissato attorno allo 0%, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. Nel complesso, a nostro avviso le indicazioni lanciate da Federal Reserve, Bc e Banca del Giappone possono essere interpretate anche in chiave più espansiva. Di per sé tale andamento dovrebbe essere positivo per gli attivi a rischio, ma in gran parte è già stato scontato dai mercati.

BANCA DEL GIAPPONE: NUOVE MISURE DIFFICILI DA INTERPRETARE – Secondo gli esperti, per stimolare l’inflazione la Banca del Giappone poteva ricorrere a due opzioni: favorire un’inclinazione della curva dei tassi al fine di attenuare l’impatto dei tassi d’interesse negativi sulla redditività del settore bancario e accelerare gli acquisti di attivi annui. Noi, invece, abbiamo preso in esame l’eventualità di una riduzione del volume degli acquisti da parte della banca centrale nipponica poiché, grazie alla riduzione della disponibilità di titoli, l’istituto dovrebbe essere in grado di mantenere i tassi su livelli bassi anche acquistando volumi inferiori, sottolinea van Leenders. In sostanza questo è ciò che ha fatto il governatore Kuroda. L’altra novità è rappresentata dall’impegno della Banca del Giappone a superare l’obiettivo di inflazione del 2% continuando l’espansione monetaria (quantitative easing) fino a quando l’aumento dei prezzi si collocherà stabilmente sopra l’obiettivo fissato. Ad ogni modo, le nuove misure non sono riuscite a convincere i mercati e crediamo che ciò sia dipeso da vari fattori. Gli operatori potrebbero aver sottostimato l’importanza del nuovo sistema di allentamento quantitativo e qualitativo abbinato al controllo della curva dei rendimenti. Inoltre, l’impegno di superare l’obiettivo d’inflazione potrebbe spingere al rialzo le attese in materia e dunque far scendere i rendimenti reali sostenendo l’economia e, in ultima istanza, stimolando i prezzi al consumo. È possibile che i mercati si siano concentrati sulle caratteristiche del programma di allentamento che non sono mutate – come gli 80mila miliardi di yen di acquisti obbligazionari o i tassi negativi (invariati al -0,1%) – mentre non hanno riscontrato misure precise per sostenere le promesse in materia d’inflazione mettendo dunque in dubbio la credibilità della banca centrale. Inoltre, vi sono alcune questioni irrisolte, come i dubbi sulla determinazione della banca nel proteggere dei rendimenti in caso di rialzo dell’inflazione. Riteniamo che la reazione sarebbe vigorosa. La politica monetaria potrebbe divenire decisamente prociclica, riducendo gli acquisti nelle fasi di flessione dell’attività economica, quando i rendimenti obbligazionari tendono a scendere al di sotto dell’obiettivo, e incrementandoli, invece, quando le prospettive per la crescita e l’inflazione migliorano spingendo al rialzo i rendimenti. A nostro avviso, sembra che la Banca del Giappone speri che l’inflazione tenda a salire grazie alla vivacità del mercato del lavoro e al graduale miglioramento di quelle che la banca centrale definisce “backward-looking adaptive inflation expectations”, ovvero un adeguamento delle attese d’inflazione in base ai dati prospettici. Tuttavia, non è escluso che l’inflazione e gli obiettivi di rendimento possano rimanere su livelli bassi. Gli osservatori si chiedono se tale strategia possa rappresentare un modello per le altre banche centrali. Ciò potrebbe avvenire negli Usa, dove la Federal Reserve deve controllare un solo mercato obbligazionario, ma la BCE sarebbe obbligata a fissare degli obiettivi per i vari paesi dell’eurozona e impegnarsi poi a difenderli. A nostro avviso la BCE dovrebbe abbandonare lo schema di sottoscrizione del capitale sul quale si basa l’attuale programma di acquisto di attivi e acquistare anche titoli degli Stati membri periferici dell’UE, al fine di contrastare eventuali speculazioni sui rendimenti obbligazionari. Tuttavia, riteniamo che al momento tale opzione non sia politicamente praticabile.

FEDERAL RESERVE: TONI RESTRITTIVI MA TASSI INVARIATI – In linea con le attese, la Federal Reserve non è intervenuta ma tre membri del Federal Open Market Committee si sono espressi a sfavore di questa scelta, e tra i nomi spicca quello di Eric Rosengren – presidente della Federal Reserve di Boston – che di solito segue un orientamento moderato o espansivo. Tuttavia, il presidente della Federal Reserve Yellen ha ribadito che gli argomenti a favore di un rialzo si erano rafforzati e dunque i mercati hanno avuto l’impressione che la pausa del ciclo di inasprimento finirà a breve. Ad ogni modo, la percezione di un’evoluzione in senso restrittivo dell’atteggiamento della Federal Reserve è stata compensata da alcuni fattori espansivi. Un’ampia maggioranza dei membri del FOMC al momento si esprime a favore di un solo rialzo dei tassi entro l’anno ed è sceso anche il livello dei tassi previsto dalla media delle proiezioni della banca centrale per il 2017 e il 2018. In una prospettiva di più lungo periodo, la proiezione del tasso medio sui federal fund si attesta ancora al 3%, ma la distribuzione dei dati attorno a questo livello mostra una notevole tendenza al ribasso. Tale configurazione non ci ha indotto a modificare le stime relative alla politica monetaria Usa. Prevediamo ancora un giro di vite sui tassi a dicembre. I comunicati pubblicati dalla Federal Reserve potrebbero assumere di volta in volta dei toni più restrittivi al fine di evitare che le probabilità di rialzo stimate dal mercato – adesso al 55% – scendano sotto la soglia del 50%. Il divario tra le stime degli analisti di mercato – che puntano su un rialzo graduale dei tassi nei prossimi anni – e le proiezioni più restrittive degli esperti della banca centrale pare destinato a ridursi a favore dei mercati, continua van Leenders.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: PRESA DI PROFITTO SULLA POSIZIONE CORTA GBP/USD
– La volatilità dei mercati è rimasta su livelli contenuti dopo le ultime riunioni degli organismi direttivi delle banche centrali. Naturalmente l’instabilità sul mercato dei titoli di Stato del Giappone è divenuta praticamente irrilevante. Tuttavia, le prospettive di un prolungamento delle politiche monetarie espansive negli Usa, nella zona euro e in Giappone hanno frenato la volatilità anche su altri mercati. Fatta questa premessa, il tema d’investimento basato su un’accentuazione della ripidità delle curve dei tassi al momento non pare destinato a durare a lungo. Tale andamento dovrebbe rivelarsi favorevole per gli indici azionari ad eccezione dei titoli del comparto finanziario. In effetti, questo settore ha spinto verso il basso i listini europei all’inizio della settimana, benché la flessione fosse riconducibile anche a problemi in Germania e Italia. Inoltre, il clima di mercato è stato appesantito da un nuovo ribasso del greggio legato allo scetticismo per l’esito della riunione dei paesi produttori di petrolio prevista per questa settimana, e tale sviluppo è risultato in linea con il sottopeso detenuto nel settore delle materie prime. Resta invariato il sottopeso nel debito emergente in valuta forte rispetto ai Treasury USA e alle azioni internazionali. Abbiamo coperto gli eventuali rialzi degli attivi rischiosi attraverso un sovrappeso nel segmento delle small cap USA rispetto alle large cap e abbiamo aggiunto opzioni call out-of-the-money con scadenza a dicembre sull’indice azionario statunitense S&P 500, poiché presentavano una valutazione interessante. La sterlina ha perso oltre il 10% dopo il voto sulla Brexit e pertanto abbiamo deciso di prendere i profitti maturati sul sottopeso verso il dollaro, anche se probabilmente l’economia e la valuta del Regno Unito ancora non hanno risentito pienamente delle conseguenze legate all’abbandono del mercato comune, conclude van Leenders.

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