Consultinvest: evasione ed economia sommersa, un quadro (ufficiale) della situazione

LA COMMISSIONE – Non molti sanno che nel 2016 è stata costituita una commissione di esperti (accademici e rappresentanti delle istituzioni e delle amministrazioni nazionali e locali) con il compito di elaborare una relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, spiega una nota di Consultinvest. La relazione è un allegato della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Def, il nuovo nome della finanziaria) e viene pubblicata sul sito del ministero dell’Economia e delle finanze (www.mef.gov.it) entro fine settembre, nella sezione Documenti e Pubblicazioni. I compiti della Commissione sono molteplici, ma in questo contributo ci soffermeremo sulle stime di evasione fiscale e sull’economia sommersa. Le metodologie utilizzate per l’evasione si basano su diverse fonti (contabilità nazionale, ministero finanze, Istat ecc.) e sono volte a stimare la differenza tra le tasse e i contributi dovuti e gli importi pagati, al netto delle agevolazioni fiscali consentite sui vari tributi.  Gli ultimi dati completi sono relativi al 2014 e evidenziano una media di evasione nel triennio 2012-2014 pari a 107,7 miliardi di euro, di cui circa 97 miliardi di imposte e 11 miliardi di contributi, corrispondenti a circa il 6.6% del Pil. Per quanto riguarda i tributi, le componenti principali sono 35.8 miliardi di Iva evasa, 30.7 miliardi di Irpef da lavoro autonomo e impresa, 10,4 miliardi di Ires (redditi società), 8.5 miliardi di Irap, 4.8 miliardi di Imu e 4.3 miliardi di Irpef da lavoro dipendente. Ma sono ancora più interessanti le propensioni alla evasione, ovvero il rapporto tra tributi evasi e importo dovuto. Sui redditi da lavoro dipendente è 3.2%, ma poi sale a 22.5% per Irap, 25.3% per Imu, 27.5% per Iva, 29.9% per Ires, fino a raggiungere il 66.6% (cioè i due terzi !!) per i redditi Irpef da lavoro autonomo e di impresa. In aggregato l’evasione è stimata al 23.5%, che sale al 33.1% escludendo il lavoro dipendente.

ALCUNI SPUNTI – Da questi numeri si possono fare tre considerazioni:

1)      Basterebbe una attività di contrasto e di recupero che riduca del 5% l’evasione, per avere maggiori introiti di 5 mld, che potrebbero costituire una percentuale significativa di risorse per il Def annuale, senza ricorrere ai consueti tagli di risorse ai ministeri o alle amministrazioni e aumenti di tasse

2)      Come percepito da chiunque, i numeri (ufficiali) confermano che ci sono imposte su cui l’evasione è altissima e altre imposte su cui invece è minima

3)      Colpisce l’evasione del 25% sull’Imu, per la quale i controlli dovrebbero essere molto semplici. Basterebbe infatti un semplice incrocio tra i dati del catasto e le imposte pagate per scovare chi non paga quanto dovuto

Senza voler fare alcuna considerazione politica, è evidente che gli sforzi dello stato si dovrebbero concentrare sulle imposte con il gettito più alto e su quelle con l’evasione più elevata. Inoltre lo stato potrebbe penalizzare i comuni per i quali l’evasione Imu è elevata, fornendo così un forte incentivo ad essi per un attento monitoraggio delle entrate dovute.

La commissione ha anche il compito di stimare l’economia non osservata (Noe, “non observed economy”), in linea con la metodologia utilizzata a livello comunitario per incorporare la Noe nella contabilità nazionale. La Noe comprende sia il sommerso, cioè il lavoro irregolare e le attività che sfuggono alla rilevazione statistica e fiscale, sia l’economia illegale vera e propria.

IL VALORE DEL SOMMERSO – Sulla base dei conti nazionali pubblicati a inizio 2017, la commissione stima l’economia sommersa nel 2014 a 194.4 miliardi, pari all’11.9% del Pil. Circa la metà è dovuta a sotto dichiarazione e il 40% a lavoro irregolare. Il peso dell’economia sommersa nei vari settori varia tra il 3.6% delle attività finanziarie e assicurative, fino a oltre il 20% per costruzioni, commercio (inclusi alberghi e ristoranti) e altre attività di servizi alle persone. Infine a livello regionale l’incidenza varia tra il 10% e il 20%, ovvero ci sono alcune regioni in cui l’incidenza del sommerso è doppia rispetto ad altre. L’Istat ha pubblicato il mese scorso le proprie stime per il 2015 del sommerso che vedono un leggero calo dell’importo complessivo e una distribuzione in linea con quanto riportato nella relazione della commissione. Uno studio di quest’anno dell’università tedesca di Tubingen, fatto sugli ultimi quindici anni su venti Paesi, indica che l’economia sommersa rappresenta in media l’11.6% del Pil, in calo rispetto al 16.4% nel 2003 all’inizio della ricerca. I paesi con la maggiore incidenza sono Grecia (21.5%), Italia (19.8%), Spagna (17.2%) e Portogallo (16.6%), mentre quelli con l’incidenza minore sono  Stati Uniti (5.4%), Svizzera (6%), Nuova Zelanda (7.4%) e Austria (7.6%). In Europa la Germania ha un sommerso pari a 10.4%, la Francia 12.8% e l’Inghilterra 9.4%. Anche in questo caso è evidente quale sarebbe la direzione da intraprendere. Un calo del sommerso italiano verso la media, o almeno verso i livelli della Francia, consentirebbe di recuperare a tassazione un importo molto rilevante.Da quando la commissione è stata istituita due anni fa è disponibile una quantità di dati ufficiale molto importante e atta a dare un quadro sufficientemente chiaro della evasione e del sommerso, le cui implicazioni sono del tutto evidenti . Sarebbe auspicabile che questi dati fossero  oggetto di una attenta analisi non solo da parte di governo e politica, ma anche di tutte le fonti informative che in buona parte non li hanno trattati con la dovuta attenzione, conclude una nota di Consultinvest.

 

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