Fondi, la Mifid2 chi l’ha vista?

LA DISTRIBUZIONE PESA – Un lavoro che analizza la struttura e l’evoluzione del costo dei fondi comuni aperti italiani nel periodo 2012-2016: è il discussion paper di Consob intitolato appunto “Il costo dei fondi comuni in Italia. Evoluzione temporale e confronto internazionale”. Lo studio evidenzia come una quota molto elevata dei costi sostenuti dai sottoscrittori sia destinata a remunerare l’attività distributiva. Circa il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è infatti assorbito dai costi di distribuzione. E’ verosimile che la nuova disciplina introdotta dalla direttiva Mifid 2 contenente disposizioni più restrittive in materia di incentivi, possa determinare una revisione degli attuali modelli distributivi e commissionali.

COSTI PESANTI – Lo studio analizza poi, in dettaglio, i costi dei fondi, distinguendo fra i costi di gestione (costi che gravano sul patrimonio del fondo, quali le commissioni di gestione e di performance) e i costi di ingresso e uscita, che invece gravano sul sottoscrittore. L’incidenza dei costi di gestione sul patrimonio dei fondi è rimasta complessivamente stabile attorno all’1,4%, ma il peso sugli utili prodotti dai fondi è cresciuto notevolmente, passando dal 16% al 51%. Nel 2016, per alcune categorie di fondi, i costi di gestione sono risultati superiori all’utile e il rendimento dei fondi è risultato, quindi, negativo (in particolare per i fondi alternativi e per quelli monetari, sebbene questi ultimi rappresentino ormai una categoria residuale). I costi di ingresso sono cresciuti notevolmente, passando dallo 0,7% all’1,5%, mentre i costi di uscita si sono progressivamente assottigliati, fino a divenire del tutto residuali (0,05%).

ANDAMENTO NEGATIVO DEI MERCATI – La maggiore incidenza delle commissioni sui rendimenti dei fondi va posta in relazione con l’andamento negativo dei mercati azionari, che ha caratterizzato buona parte del periodo analizzato, e della forte riduzione dei tassi di interesse. Questi fenomeni hanno determinato anche una modifica nella composizione delle masse gestite. Dal 2012 al 2016, infatti, si è assistito ad una riduzione del peso dei fondi obbligazionari e monetari a vantaggio dei fondi flessibili (il cui peso era pari al 41% del patrimonio gestito a fine 2016), che presentano obiettivi di rendimento più elevati (a fronte del maggior rischio assunto). I fondi flessibili, peraltro, presentano da un lato costi di gestione in linea con la media di settore, ma commissioni di ingresso molto più elevate, soprattutto quando si tratta di “fondi di fondi” o “fondi a scadenza predefinita”. I prodotti più rischiosi, invece, quali i fondi azionari e alternativi, hanno sì costi di gestione più elevati, ma anche costi di ingresso molto più contenuti della media (soprattutto gli alternativi).

IN LINEA CON L’EUROPA – Il lavoro confronta, infine, i costi dei fondi di diritto italiano con quelli dei fondi di diritto estero collocati in Italia utilizzando l’indicatore sintetico di costo presente nel Kiid (Key investor information document) introdotto con la disciplina Ucits – Undertakings for collective investment in transferable securities (cosiddetto ongoing charges), che, tuttavia, non include le commissioni di performance e le commissioni di ingresso e di uscita. In base a tale indicatore, nel periodo 2014-2016 il costo delle classi retail dei fondi italiani è risultato in linea con la media europea.

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