Mercati, lo scossone turco

Rimaniamo sempre ancorati all’attualità per aggiornarci sugli ultimi sviluppi sui mercati derivanti dalla crisi della Lira turca. Questa volta facciamo affidamento all’analisi di Richard Jenkins, gestore emerging market debt, State Street Global Advisors.

Venerdì i problemi economici e finanziari in Turchia hanno raggiunto un punto particolarmente critico, perché i mercati non erano convinti che Erdogan potesse contenere i problemi economici del paese e Trump ha minacciato il raddoppio di alcuni dazi sui metalli. La lira ha toccato un minimo storico, causando forti perdite su azioni e valute dei mercati emergenti.

La recente turbolenza sottolinea la diminuzione della fiducia degli investitori nella capacità della Turchia di risolvere le proprie significative sfide fiscali. Il paese è rimasto bloccato in un circolo vizioso per anni: un’inflazione elevata e incontrollata, derivante dal perseguimento di una crescita economica alimentata dal credito, ma senza una risposta politica efficace da parte della banca centrale, priva di autonomia reale dal governo. Questo ha portato a una lira sempre più debole, facendo aumentare il tasso di inflazione. E se questo non è un fenomeno nuovo per la Turchia, i problemi interni del paese sono ora esacerbati da una serie di sfide esterne.

Il mantra dei tassi d’interesse “lower for longer” che ha accompagnato le principali banche centrali durante la lunga ripresa dalla crisi finanziaria ha spinto gli investitori verso attività caratterizzate da rendimenti più elevati, come il debito turco. Più di recente, le stesse banche centrali hanno avviato politiche monetarie restrittive, attraverso aumenti espliciti dei tassi o rallentamento degli acquisti di asset previsti dal QE e gli stessi flussi originariamente orientati al rendimento si stanno ora invertendo, in particolare in paesi come la Turchia, privi di fondamentali solidi e valutazioni interessanti. La Turchia ha un considerevole deficit di conto corrente che è finanziato principalmente da flussi di portafoglio molto sensibili al sentiment degli investitori.

La divergenza tra crescita degli Stati Uniti ed economia in rallentamento negli altri paesi spinge il dollaro USA più in alto, esacerbando il deficit di conto corrente della Turchia. Il paese ha infatti un doppio deficit e i suoi settori corporate e bancario presentano elevati livelli di debito con l’estero. Il debito estero a breve termine della Turchia è maggiore delle sue riserve in valuta estera. In linea di massima, se tutto il debito a breve termine della Turchia maturasse oggi, il paese non avrebbe abbastanza riserve per coprirlo. Gli investitori sanno che l’apprezzamento del dollaro USA riduce la capacità della Turchia di finanziare la bilancia dei pagamenti e che ciò avrà un impatto considerevole sui bilanci societari: questo fa salire i livelli di crediti non performanti del sistema bancario e aumentare i tassi di insolvenza delle società.

Nel frattempo, il rischio politico sta aumentando. Parte delle mosse di Erdogan per consolidare il potere hanno comportato il cambiamento della sua squadra economica e la rimozione di funzionari più vicini al mercato. La banca centrale turca sembra essere diventata più politicizzata; ad esempio, non ha intrapreso alcuna iniziativa nella sua ultima riunione di politica monetaria, nonostante l’indice dei prezzi al consumo avesse raggiunto il 15% e ci fossero segnali di ulteriori aumenti.

Mentre i recenti sell-off in paesi come l’Argentina sono stati guidati dall’elevato debito pubblico in valuta estera e dall’elevata proprietà estera del debito, la Turchia si trova all’estremità opposta dello spettro. Il debito pubblico in valuta estera sul PIL è pari all’11%, mentre la proprietà straniera del debito pubblico si attesta al 20%. Il problema risiede nel settore delle imprese, dove il debito è pari al 37% del PIL (21,6% nel caso delle banche). Non c’è da meravigliarsi che la BCE sia particolarmente concentrata sulla Turchia, in quanto quello che sembra essere un problema interno potrebbe presto diventare un problema del settore bancario europeo. Le recenti misure monetarie di emergenza da parte della banca centrale turca dovrebbero avere un impatto sulla crescita, con una crescita del PIL reale prevista in calo dal 7,4% nel 2017 al 4,1% nel 2018 e al 3,4% nel 2019.

Cosa serve per ripristinare la fiducia degli investitori? I mercati seguiranno da vicino i macro obiettivi della Turchia per i prossimi anni. Per stabilizzare la lira, ciò dovrebbe includere segnali che indicano che la leadership del paese è pronta a concentrarsi su una crescita più lenta, sforzi credibili per ridurre l’inflazione sotto il 10% e indicazioni esplicite su come il paese prevede di gestire il conto corrente e le carenze di bilancio. Questi sono gli elementi chiave per rompere il circolo vizioso. Se il governo non è in grado di realizzare le riforme auspicate dal mercato, prevediamo che eventuali aumenti dei tassi di interesse possano offrire sollievo solo nel breve termine e, a nostro avviso, ulteriori ondate di vendite sarebbero inevitabili, così come la reazione delle agenzie di rating, con la prossima valutazione di S&P in programma il 17 agosto. Gli investitori globali saranno concentrati sulla Turchia fino ad allora.

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