IL VENTO CAMBIA – Dall’inizio del 2018 il vento ha cominciato a cambiare. Non solo la Fed non compra più titoli (dopo la graduale diminuzione, gli acquisti sono cessati nel 2014), ma tenta di venderli, reimmettendo sul mercato quanto acquistato tra il 2009 e il 2013. Il QE (“Quantitative Easing”) è diventato il QT (“Quantitative Tightening”). Inoltre ha avviato il processo di “normalizzazione” della politica monetaria, ossia di rialzo dei tassi di interesse rispetto a livelli ritenuti eccezionalmente bassi. La Banca Centrale europea non è ancora arrivata a questo punto, ma ha annunciato la cessazione degli acquisti di asset alla fine di quest’anno.È importante che gli investitori comprendano che gli effetti di questa inversione di tendenza sono decisivi sotto tre aspetti. La sicurezza offerta dalla garanzia delle Banche Centrali in termini di sostegno ai prezzi degli asset finanziari ha avuto come conseguenza la scomparsa della percezione del rischio, vale a dire della volatilità. L’uscita di scena delle Banche Centrali preannuncia un aumento della volatilità. In altre parole gli shock esterni, siano essi politici o economici, avranno un impatto maggiore sui mercati. A meno della comparsa di nuovi acquirenti in numero sufficiente per compensare il ritiro delle banche centrali, i tassi di interesse tenderanno a salire, quindi il loro prezzo a diminuire, trascinando con sé le quotazioni azionarie e il prezzo delle obbligazioni corporate. Già si avverte che il 2018 in termini di borsa non sta affatto seguendo la stessa tendenza del 2017. Infine, poiché la Fed statunitense è stata la prima Banca Centrale a invertire la rotta, la riduzione della liquidità inizia con il calo dell’offerta di dollari. Le prime vittime di questo fenomeno saranno i paesi dipendenti dal dollaro per il finanziamento dei propri disavanzi. Le turbolenze che si sono abbattute sui mercati finanziari in Argentina sono a questo proposito una dimostrazione eloquente.Ovviamente ogni rivoluzione avviene in uno specifico contesto, che ne influenza gli effetti. Una crescita economica sostenuta e un rialzo dell’inflazione, in particolare negli Stati Uniti, spingerebbero le Banche Centrali ad accelerare il loro disimpegno. Viceversa, una flessione dei mercati o un’ondata di volatilità potrebbero forse indurle a rallentare il passo. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: l’investitore non può più concentrarsi esclusivamente sull’economia, ma dovrà ora monitorare più attentamente anche le condizioni prettamente finanziarie.