Pictet racconta il 2019 ai consulenti

«L’inizio scoppiettante sui mercati del 2019? Non è cambiata la situazione macroeconomica, è stato riprezzato il pessimismo eccessivo di fine 2018». A parlare è Fabio Castaldi (nella foto), senior investment manager di Pictet Asset Management. L’occasione è la tappa di Milano del roadshow invernale di Pictet, nella sala conferenze dell’Excelsior Hotel Gallia. Un appuntamento utile ai consulenti finanziari per fare il punto sull’anno che si è appena concluso, ma anche per analizzare le giuste strategie d’investimento per il 2019. La serie di conferenze è iniziata lo scorso 14 gennaio, nella prima tappa di Como, per poi proseguire in 23 città italiane nei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Ne ha approfittato anche Bluerating che, al pari dei numerosi consulenti presenti in sala, si è rivolto a uno degli esperti di Pictet per capire meglio cosa sta succedendo sui mercati.

Dottor Castaldi, quanto hanno inciso sui mercati le decisioni sulla politica monetaria?

“In questo momento il problema della Fed mi sembra in buona parte risolto. Il messaggio di Jerome Powell di metà dicembre aveva sì annunciato una pausa per quanto riguarda il rialzo dei tassi d’interesse ma aveva, al contempo, negato qualsiasi flessibilità sulla dinamica di riduzione del bilancio della Fed. Questo ai mercati non è piaciuto perché implicherebbe un assorbimento di liquidità eccessivo rispetto a quanto i mercati percepivano come corretto per consentire una sufficiente creazione di credito nell’economia americana. Powell, che si è più volte dichiarato pronto a “sentire” i mercati, evidentemente in quella occasione non lo aveva fatto o non li aveva capiti». 

E poi, cosa è successo?

“A inizio gennaio, Powell si è affrettato a correggere il tiro dicendosi disponibile da un lato a essere paziente che, nel linguaggio della Fed, si dovrebbe tradurre in una pausa di almeno due riunioni dell’Fomc (comitato federale del mercato aperto, ndr). E qui sta la novità, Powell si è anche detto disponibile a essere flessibile sul bilancio della Fed, senza tuttavia precisarne in che termini: su questo il mercato si aspetterà di avere indicazioni più dettagliate nelle prossime riunioni. Ma, quanto meno, il mercato ha ora rimosso il timore di una Fed troppo restrittiva”.

Cosa dire delle tensioni commerciali tra Usa e Cina: si troverà un accordo?

“Sia Donald Trump che Xi Jinping hanno bisogno di questo accordo. Da una parte l’amministrazione Usa è abituata a misurare il successo delle sue politiche con l’andamento dei mercati finanziari. Lo stesso vale per la Cina, il cui andamento degli indici azionari è stato fra i peggiori nel 2018 e dove l’impatto delle guerra commerciale sull’economia è stato più profondo. Noi crediamo che alla fine ci sarà un accordo entro la deadline della fine di febbraio, anche se non su tutte le problematiche sul tavolo”.

In che senso? 

“Pensiamo che la negoziazione, in prima battuta, si possa risolvere con un accordo sul surplus commerciale che la Cina ha nei confronti degli Stati Uniti, una questione su cui Trump si è fissato. Per Xi Jinping è facile concedere qualcosa su questo punto, tanto è vero che già si parla di maggiori importazioni di soia, petrolio e di altri prodotti americani. Addirittura si ventilava la possibilità, per il 2024, che il surplus cinese si azzerasse, cosa francamente non realistica”. 

Ai mercati basterà anche un accordo di facciata?

“Non nel medio termine, dove le tensioni torneranno a salire. Il problema più importante sul tavolo è quello del trasferimento della proprietà intellettuale e dell’apertura del mercato cinese. Questi aspetti strutturali hanno anche implicazioni geopolitiche. Il trasferimento della proprietà intellettuale non trova applicazione solo a livello di aziende commerciali, ma anche in applicazioni militari, aereospaziali e in altri campi di interesse nazionale. Oggi un’azienda americana che voglia fare business in Cina deve fare joint venture o altri accordi similari con società cinesi, con le quali deve poi condividere brevetti e il proprio know how tecnologico. L’America vuole che questo cessi. Su questo aspetto la trattativa è molto più complicata e difficilmente si potrà trovare un accordo in tempi brevi”. 

Andrea Delitala, responsabile Investment Advisory Pictet

E che dire dell’ottimismo sui mercati di questi primi giorni del 2019?

“La mia sensazione è che questo recupero di inizio anno sia dipeso in buona parte dalla correzione “dovish” di Powell che allontana il rischio di un errore (politica monetaria troppo restrittiva) della Fed. In parte ha contribuito anche l’ottimismo espresso da Stati Uniti e Cina circa la possibilità di trovare un’intesa che possa evitare un’escalation della guerra commerciale.

Ritiene sventata la possibilità di una recessione negli Usa?

“Noi non ci aspettiamo una recessione. Se dovessimo prezzare l’eventualità di una recessione nel 2019 siamo sicuramente più bassi di quanto non lo sia il mercato. Non daremmo più di un 10-15% di possibilità di uno scenario del genere. E’ vero che gli indicatori, per quanto riguarda i nuovi ordini dell’Ism (Indice Direttore Acquisti) di dicembre, danno l’indicazione di un rallentamento dell’economia americana, ma, con un mercato del lavoro che continua a creare posti di lavoro ad un ritmo molto elevato, è difficile pensare ad una recessione nel 2019. La riteniamo più lontana rispetto a quella che i mercati stanno incorporando”.

Il pil cinese è in frenata. Continuerà questa tendenza?

«I dati confermano che il rallentamento è una realtà. Ma è anche vero che le autorità cinesi stanno stimolando l’economia sia livello fiscale che monetario. Ancora non si vede questo nelle dinamiche macro, ma noi pensiamo che i dati mostreranno i risultati di questo stimolo a partire dal secondo trimestre del 2019”.

Se guardiamo all’Europa, come vede la situazione dell’Italia?

“L’Italia ha fatto il passo necessario, ma poteva evitare mesi di tribolazioni e costi in termini di interessi aggiuntivi che abbiamo dovuto pagare. Si è posta in rotta di collisione con l’Europa, poi ha corretto il tiro una volta che ha capito di non poter imporre delle politiche fiscali che non sono accettabili in Europa. Il governo in carica penso abbia capito che lo scontro con l’Europa non può essere la strada del cambiamento per un paese indebitato come l’Italia. Da questo punto di vista ritengo improbabile il riproporsi di uno scontro su questi aspetti. Resta però evidente un problema di crescita in Italia ulteriormente penalizzato da una congiuntura europea difficile”.

Non temete il rallentamento della Germania?

“Lo scenario macro dell’Europa non è brillante. Abbiamo visto un rallentamento dell’economia tedesca aggravato dalle difficoltà del settore auto. Al momento riteniamo che tale rallentamento sia transitorio. Resta cruciale che si eviti l’escalation delle guerre commerciali che vedrebbe l’Europa fra le economie più penalizzate”.

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