Pramerica: una guida per non perdersi tra i capricci dei mercati

Lo scorso 12 febbraio si è svolto presso il Westin Palace Hotel di Milano, un incontro con la stampa di approfondimento sui mercati a cura Pramerica sgr.

Pramerica: Milano per raccontarsi


Nella fase introduttiva Andrea Ghidoni (nella foto), amministratore delegato e direttore generale della società, ha parlato dell’anno da poco concluso. Nonostante 12 mesi che sono stati non poco complicati per il settore, nel 2018 Pramerica sgr, ha aumentato la propria quota di mercato, passando dal 2,82% del 2017 al 2,88%
dello scorso anno. Dei 5 miliardi circa di raccolta netta di fondi aperti e gestioni di portafoglio dell’intera industria, il 30%, ossia 1,5 miliardi, è stato raccolto dalla nostra società.

Fondi di investimento? Parliamo di mercati

La seconda parte della conferenza è stata un’occasione di confronto sui mercati finanziari. Fabrizio Fiorini, Responsabile degli Investimenti e Vice Direttore Generale della società e Portfolio Manager del Team Global Multi-Asset Solutions di QMA di Pramerica Financial hanno risposto a diverse domande sull’attualità poste dallo stesso Ghidoni. Il risultato? Una pratica guida per non perdersi tra i capricci dei mercati. Ve la proponiamo di seguito.

Fabrizio Fiorini, Responsabile degli Investimenti e Vice Direttore Generale di Pramerica SGR

Il rischio politico ha ricoperto un ruolo importante nel 2018, sarà ancora così nel 2019? Quale ruolo giocheranno le imminenti elezioni europee e l’incidenza delle politiche fiscali sull’andamento dei mercati?
Le elezioni europee di maggio potranno causare fasi di volatilità nei mercati, in particolare, nelle settimane precedenti se cresceranno i timori di un’affermazione delle correnti “populiste” e “sovraniste”. Il timore è che possano affermarsi politiche protezionistiche che sarebbero di freno al commercio internazionale e alla crescita economica. Sembra però improbabile che le diverse correnti, nate nei singoli Paesi, si accordino su un fronte comune. Il nostro scenario centrale rimane su una linea moderatamente ottimista ovvero l’ipotesi è che più che la spaccatura tra partiti tradizionali e partiti populisti valga quella tra partiti europeisti e non. Le politiche fiscali hanno e avranno un’importanza più rilevante del recente passato e sostituiranno, in parte, quelle monetarie a sostegno del ciclo economico. Abbiamo già avuto un esempio negli USA e un tentativo, forse maldestro, in Italia; la Cina ha adottato politiche fiscali, insieme a politiche monetarie, per compensare gli effetti negativi della guerra commerciale, la Francia ha dato ascolto alle proteste dei “Gilet Jaunes” e, infine, anche la Germania ha in programma di ridurre il surplus fiscale nei prossimi anni.

Quale il ruolo della BCE per la stabilizzazione dei mercati in Europa? Quali gli effetti di un possibile nuovo TLTRO? Negli ultimi anni, dopo la crisi finanziaria del 2008 e la crisi del debito pubblico del 2011, la BCE ha adottato politiche monetarie espansive rilevanti. Più di recente è iniziato un processo di normalizzazione di tali politiche anche se il target del 2% di inflazione, a livello “core”, non è ancora stato raggiunto. É importante, però, che la banca centrale resti in ascolto di ciò che succede all’economia dell’area, e non solo, per evitare un restringimento indesiderato delle condizioni finanziarie che potrebbe compromettere la crescita economica, già in fase di rallentamento per diversi motivi. Un nuovo TLTRO, nel momento in cui vengono a scadenza quelli lanciati nel periodo della crisi del debito pubblico, sarebbe di aiuto al sistema bancario, garantendo liquidità e finanziamenti a un costo ragionevole ed evitando il restringimento delle condizioni del credito. Di questo aspetto favorevole, potrebbero beneficiare in particolare le banche di Paesi per cui il costo del funding è più alto, come quelle italiane. Un buon e utile compromesso potrebbe essere quello di affiancare al TLTRO un rialzo del tasso di deposito, quest’ultimo partendo da valori negativi non sarebbe configurabile come azione restrittiva ma per contro favorirebbe il sistema bancario riducendo la tassa implicita nel tasso negativo. Infine, la combinazione delle due azioni finirebbe per essere più “democratica” favorendo in un caso più le banche della periferia e nell’altro più le banche dei Paesi “core”.

Quale ripercussioni avrà l’effetto “Cina” sull’Unione Europea?
La Cina è un mercato e un partner importante per l’UE, in particolare per la Germania e, di riflesso ma anche direttamente, per l’Italia. I settori dell’auto, del lusso, dei beni alimentari sono solo alcuni esempi di beni per i quali quello cinese è un mercato con prospettive di crescita importantissime. Un clima di guerra commerciale, che limita il commercio internazionale e la crescita, in particolare dell’economia cinese, ha un effetto importante sulle esportazioni dell’Area, anche se, occorre notare che l’ultimo ciclo di espansione economica, successivo al 2013, si è basato molto sulla domanda interna, sugli investimenti e sui consumi dell’Area Euro.

Quali le considerazioni sull’andamento dell’indice azionario americano e sulle prospettive degli utili in un contesto di crescita inferiore rispetto al passato?
Quello americano è un mercato molto ampio e diversificato, in cui quest’anno agiranno molte forze al momento difficilmente valutabili. C’è ancora un effetto positivo della riforma fiscale di Trump che va scemando, le multinazionali sentono il rallentamento del commercio internazionale e della crescita economica soprattutto dei Paesi Avanzati, il settore finanziario subisce un quadro complicato, con una curva dei rendimenti molto piatta che penalizza i profitti. D’altra parte la tecnologia continua ad avere un buon trend di crescita, gli investimenti sul settore petrolifero sono tornati, il mercato del lavoro è in ottima salute e, di conseguenza, i consumi si manterranno robusti. Inoltre, nel 2018 gli utili del mercato sono cresciuti ma i multipli hanno subito un forte ridimensionamento e il mercato non sembra caro, rispetto alle medie storiche e rispetto a quello obbligazionario. Detto questo, ci sono altri mercati che offrono un premio per il rischio anche più ampio, come quello dell’Eurozona, a patto che i rischi, soprattutto politici, siano ridimensionati nel corso del 2019 e che sia superata questa fase di rallentamento economico.

John Praveen, PhD, Portfolio Manager del Team Global Multi-Asset Solutions di QMA (Pramerica Financial)

Il rischio politico ha ricoperto un ruolo importante nel 2018, sarà ancora così nel 2019? Quanto inciderà sulle scelte di Trump e quindi sui mercati l’avvicinamento della campagna elettorale? Quanto Trump riproporrà il tema della Trade War?
Il rischio politico ha sicuramente influenzato pesantemente i mercati nel 2018. Il mercato azionario statunitense ha riportato una flessione del 6% nel 2018 nonostante una crescita ragguardevole del PIL (3%) e utili societari brillanti (25%). I fattori determinanti sono stati, in larga misura, il ciclo di rialzo dei tassi intrapreso dalla FED, l’escalation delle tensioni commerciali fra Stati Uniti e Cina e altri fattori di incertezza a livello globale, in particolare lo stallo sulla Brexit. Ciò nonostante, con l’inizio del 2019 i rischi e i venti contrari sul fronte politico si sono attenuati in seguito alla temporanea sospensione dei rialzi dei tassi da parte della banca centrale americana e all’avvio di trattative commerciali fra Stati Uniti e Cina. Potrebbe essere verosimile un accordo commerciale fra USA e Cina soprattutto se Trump decidesse di mettere a segno una vittoria politica simbolica, anche in vista delle elezioni che si terranno nel 2020. Inoltre, un accordo commerciale con la Cina contribuirebbe a sviare l’attenzione di questioni politiche interne, in particolare relativamente al finanziamento della costruzione del muro, all’indagine di Mueller e alla procedura di impeachment che i Democratici minacciano di intraprendere. Le tensioni commerciali potrebbero invece persistere nel caso in cui possibili contenziosi riguardanti il furto di proprietà intellettuale e i trasferimenti forzati di tecnologia dovessero precludere il raggiungimento di un accordo commerciale con la Cina.

Quale il ruolo della FED alla luce dei recenti avvenimenti?
Dopo avere effettuato quattro rialzi dei tassi nel 2018, la FED non ha incrementato i tassi in gennaio lasciando intendere che tale pausa potrebbe continuare per un periodo più prolungato. Il presidente Powell ha spiegato che le argomentazioni a favore di un rialzo dei tassi si sono indebolite. Questo atteggiamento più dovish è stato adottato dalla FED in risposta al rallentamento della crescita globale, a un’inflazione sotto tono e all’inasprimento delle condizioni finanziarie. La FED ha inoltre assicurato di essere disposta ad apportare aggiustamenti al proprio piano di normalizzazione del bilancio: il suo stato patrimoniale si è ridotto da oltre 4,2 trilioni a 3,9 trilioni di Dollari. Considerata l’entità delle attuali passività della banca centrale, la dimensione finale del bilancio si colloca fra 3 e 3,5 trilioni di Dollari. Al ritmo di riduzione attuale, il bilancio della FED raggiungerebbe questo livello nel 2020. La FED ha tuttavia sottolineato che sarà pronta a modificare il ritmo di normalizzazione del bilancio e la composizione dello stesso nel caso in cui le condizioni economiche dovessero richiedere una politica monetaria più espansiva.

Quale ripercussioni avrà l’effetto “Cina” sugli USA?
La crescita del PIL cinese ha subito un rallentamento nel 2018, portandosi al 6,6%, ed è prevista un’ulteriore flessione al 6,2%. É probabile che il rallentamento della Cina e le tensioni commerciali avranno ripercussioni sia dirette che indirette sugli Stati Uniti. Le ricadute dirette per gli USA saranno un rallentamento delle esportazioni che porterà a un ulteriore calo della crescita del PIL ed effetti negativi sugli utili delle società statunitensi, in particolare un calo del fatturato e un incremento dei costi dei fattori produttivi in seguito ai dazi. In ogni caso, poiché le esportazioni verso la Cina costituiscono una piccola percentuale del totale delle esportazioni statunitensi (7,4% delle esportazioni USA e 0,5% del PIL del Paese) è probabile che l’impatto diretto sugli Stati Uniti sarà relativamente limitato. Gli effetti indiretti sugli USA derivano invece dalle ricadute negative sulle esportazioni e la crescita del PIL di Europa, Giappone e altri Mercati Emergenti, effetti che potrebbero avere impatti ragguardevoli.

Quali le considerazioni sull’andamento dell’indice azionario americano e sulle prospettive degli utili in un contesto di crescita inferiore rispetto al passato?
La crescita del PIL statunitense è stata solida nel 2018 con un tasso del 3%, ma si prevede una flessione nel 2019 a un più modesto seppur ragguardevole 2,5% con l’esaurirsi dello stimolo fiscale, l’impatto ritardato degli incrementi dei tassi da parte della FED e il rallentamento della crescita globale. Una recessione appare tuttavia improbabile. Dopo aver messo a segno una crescita del 25% nel 2018, ci si aspetta che gli utili delle società statunitensi subiscano un calo nel 2019 quando si assesteranno intorno al 5% per effetto dell’incremento dei costi della produzione, del rallentamento della crescita del PIL, della riduzione degli acquisti di azioni proprie da parte delle società e dei minori ricavi previsti nella maggior parte dei settori, in particolare i settori energetico (-7%), tecnologico (-1%) e finanziario (9%). Tuttavia, le valutazioni delle azioni statunitensi hanno visto un miglioramento nel 2018 in quanto la flessione del mercato e la forza degli utili hanno determinato un abbassamento dei multipli P/E creando le condizioni per un’espansione dei multipli stessi. L’azionario USA è previsto in ulteriore ascesa nel 2019 man mano che l’espansione dei multipli P/E, resa possibile dalla pausa della FED e da un accordo commerciale fra Cina e Stati Uniti, andrà a compensare il rallentamento della crescita del PIL e la contrazione degli utili.

 

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