Adesso è ufficiale: la rimodulazione graduale dei pir non sarà nel decreto crescita. In base a una bozza precedente del dl, infatti, erano previsti diversi step per arrivare alla soglia obbligatoria che i fondi comuni devono investire in pmi e venture capital. In pratica, si partiva dallo 0,71% nel 2019 per arrivare al 5% nel 2021. Questa era una misura consigliata dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, avversata però da i due azionisti dell’esecutivo, Movimento 5 Stelle e Lega. Il dibattito su questo correttivo aveva di fatto bloccato il varo del decreto attuativo per regolamentare i nuovi Pir, inizialmente previsto per febbraio poi slittato ad aprile (e poi oltre). Ora, tuttavia, la decisione di stralciare l’inserimento a gradini imprimerà un’accelerata al decreto attuativo, che a questo punto dovrebbe arrivare entro la prima metà di maggio.
L’obbligo dei fondi comuni di nuova costituzione, quindi, sarà di investire il 3,5% della raccolta in pmi (quotate e non) e un altro 3,5% in venture capital. L’intento del governo è far crescere le società dell’Aim, l’indice di Piazza Affari dedicato alle piccole e medie imprese. La galassia di società investibili per godere delle agevolazioni dei Pir2 dovrebbe essere composta da circa 70 società attualmente scambiate sull’Aim.