JP Morgan AM: “Il futuro del mercato obbligazionario”

Anche questa settimana il tono degli annunci delle Banche Centrali si è mantenuto accomodante: ciò suggerisce che un taglio dei tassi negli Stati Uniti e in Europa sia ormai quasi certo.

Come sottolineato dal team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management, la funzione reattiva delle principali Banche Centrali ha cambiato natura ed ora è evidente che
queste cerchino di anticipare la curva. Situazione confermata anche dal presidente della Federal Reserve (Fed) Jerome Powell, che parlando dell’attuale orientamento di politica monetaria, ha citato la massima “meglio prevenire che curare”.  A giugno l’indice della Fed di Filadelfia sul settore manifatturiero ha toccato i minimi degli ultimi quattro mesi e sono emersi sintomi di debolezza anche sul fronte della spesa al consumo, a causa del deterioramento della fiducia delle famiglie e del rapporto tra chi ritiene che le opportunità di lavoro siano “abbondanti” e chi le giudica “scarse” (differenziale del mercato del lavoro).

Sembra quindi che la lunga fase di divergenza tra la politica economica e monetaria degli Stati Uniti e quella del resto del mondo stia per finire.Il dollaro ha nel complesso beneficiato del differenziale di spread tra i tassi statunitensi e quelli degli altri Paesi, difatti l’indice si è infatti apprezzato di oltre il 4% nel 2018 grazie all’approccio più restrittivo della Fed rispetto alle altre Banche Centrali. Tuttavia, più di recente, il Dollaro ha risentito dell’ammorbidimento dei toni della Fed e a tutt’oggi ha ceduto tutti i guadagni realizzati tra il 30 maggio e il 25 giugno.

I fattori tecnici, in particolare sul fronte della domanda, continuano ad essere estremamente favorevoli ai mercati obbligazionari. La probabilità di perduranti rendimenti negativi sta spingendo gli investitori a puntare su titoli di alta qualità a lunga scadenza, mentre in Europa la prospettiva di un allentamento quantitativo sta alimentando la domanda di obbligazioni di qualità inferiore con rendimenti relativamente alti.

Questo andamento della domanda è generalizzato, non solo a livello settoriale ma anche regionale, il che potrebbe indicare che gli afflussi di capitali non favoriranno necessariamente una valuta a scapito di un’altra. Nella
settimana al 24 giugno, per esempio, i fondi di obbligazioni societarie statunitensi, High Yield e Investment Grade, hanno registrato afflussi per 6,2 miliardi di Dollari, i fondi europei sul credito hanno raccolto 2,2 miliardi di Dollari e quelli del debito emergente 1,8 miliardi di Dollari.

Stranamente, la maggioranza degli investitori mantiene ancora un posizionamento lungo sul Dollaro statunitense, che potrebbe accentuare la debolezza del biglietto verde nelle settimane che ci separano dalla riunione di luglio della Fed.

Cosa significa per gli investitori obbligazionari?
Il cambiamento delle Banche Centrali dalla funzione reattiva è un evento epocale e per il momento si sta dimostrando positivo sia per gli attivi più rischiosi che per gli investimenti difensivi nel reddito fisso. Il Dollaro ha reagito negativamente, ma fino al taglio dei tassi della Fed previsto a luglio non sarà chiaro se la performance
negativa sia destinata a durare o si tratti solo di una correzione temporanea.

Si ritiene dunque consigliabile adottare un approccio tattico mantenendo un posizionamento corto sul Dollaro statunitense, in attesa delle opportunità di guadagno che il primo taglio dei tassi potrebbe offrire.

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