Amundi, tra sostenibilità e pragmatica

Siamo diventati tutti più etici e più sostenibili. Ma quanto è reale questo passaggio e quanto è dettato da una tendenza del momento? «La parte etica ha una grande spinta se c’è un interesse economico», taglia corto Piergaetano Iaccarino, head of equity solutions and senior portfolio manager in Amundi.

In particolare Iaccarino, che è di base nella sede Amundi di Dublino, è nel team di gestione del fondo Amundi Funds Global Ecology ESG, una soluzione di investimento che investe principalmente in titoli azionari di imprese che offrono, in tutto il mondo, prodotti o tecnologie che sono attente alle problematiche non solo ecologiche ma anche sociali e di governance. «Molti dei disastri ambientali a cui stiamo assistendo nel mondo hanno un forte impatto sui costi di diversi business come quelli assicurativo, sanitario, infrastrutturale, finanziario. I temi Esg hanno bisogno di tempo per svilupparsi ma poi durano e danno buoni frutti in termini di performance sulle aziende che danno priorità alle tematiche connesse alla sostenibilità. In altre parole, si considerano le stesse dinamiche finanziarie ma con un occhio diverso», spiega Iaccarino. E precisa: «dell’acronimo ESG, fatto di tre parole, environmental, social, governance che si utilizzano in ambito economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR), l’investitore tradizionale ha sempre guardato perlopiù alla G: migliorare la governance per far crescere la produttività.

Oggi l’engagement deve estendere il concetto, analizzando l’impronta digitale della società anche da un punto di vista ambientale e sociale. Prima si guardava al ritorno di capitale finanziario, adesso anche il capitale umano ed ambientale. Si tratta di adattarsi alla necessità di considerare la società a 360 gradi. In Usa, recentemente i top executive hanno stilato una “dichiarazione di principi” dove si dice che il profitto non è l’unico driver di crescita». Ma non c’è una definizione unica per i criteri ESG. Vari studi dicono che, se si considerano questi aspetti, «la performance migliora o resta simile ma di certo si abbassa la volatilità. Attraverso gli ESG si vanno a toccare anche valori culturali e nazionali. Il nucleare per esempio in Francia è accettato mentre in Italia no. Non ci sarà dunque un criterio omogeneo per tutti ma varie definizioni globalmente accettate e specificità nazionali.

Amundi è sempre stata attenta a queste tematiche e ora stiamo rafforzando il nostro approccio», aggiunge il manager. Secondo l’obiettivo dichiarato nel piano “Ambition 2021”, entro quell’anno il colosso del risparmio gestito, che oggi gestisce attraverso sei principali centri d’investimento asset per 1.563 miliardi di euro, applicherà i criteri ESG a tutti i suoi prodotti finanziari. Attualmente, rispetto all’AuM complessivo, la gestione ESG è applicata a circa 300 miliardi di euro attraverso prodotti di ogni tipologia. «È un grande lavoro, un percorso che stiamo intraprendendo già da qualche anno con chiare regole di engagement», dichiara Iaccarino.

La strategia Amundi Global Ecology ESG, sovrappesata sull’Europa, è un fondo azionario leader nel settore che, nato nel 1990, oggi ha masse in gestione pari a 1,6 miliardi di euro e si è evoluto in ESG nel 2002 con il gestore Christian Zimmermann, tutt’ora presente. «Tutti i titoli del portafoglio fanno capo a una delle 10 categorie di tutela e sostenibilità definite da Amundi in coerenza con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo sostenibile ed attento alle tematiche ambientali. Ogni titolo deve avere una sua storia peculiare. Ci sono dai 50 ai 70 titoli e nella sua categoria sta andando bene», spiega ancora il manager. Ovvero il portafoglio è ampiamente diversificato in titoli classificati in dieci settori che coprono tutti i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile promossi dalle Nazioni Unite. A questi criteri di analisi si affiancano rigidi criteri di esclusione e non si investe direttamente nelle imprese operanti nel settore di alcool, gioco d’azzardo, difesa, armi da fuoco, nucleare, tabacco, pornografia o che sfruttano il lavoro minorile o violano i diritti umani o dei lavoratori. Si escludono anche le società che presentano negligenze di business e pratiche controverse dal punto di vista ambientale. Il processo di selezione avviene in due fasi. La selezione secondo criteri di sostenibiltà stabiliti da Amundi è condotta anche con la collaborazione di due società indipendenti esterne. «Le due agenzie SRI indipendenti Oekem Research e MSCI ESG Research analizzano i titoli presenti sul mercato e trimestralmente ci forniscono l’elenco delle aziende che rispettano i nostri criteri di sostenibilità. Questa analisi riduce da 3500 a circa 1300 il numero dei titoli che saranno poi oggetto di ulteriori indagini sia quantitative che qualitative a cura degli specialisti di Amundi. L’esito dell’attività di screening può includere anche opportunità ritenute interessanti dal team di investimento e non presenti nel database fornito dalle due agenzie esterne», aggiunge. Attraverso uno screening quantitativo interno, vengono infatti analizzate le valutazioni e il momentum di ogni singolo titolo. Il gestore usa sia dati di mercato generali che analisi fondamentale di singoli emittenti per individuare i titoli azionari con prospettive superiori a lungo termine. Infine, il gruppo sta lavorando anche su altre soluzioni, sempre azionarie, che si orientano sia su società che stanno intraprendendo un viaggio verso i criteri ESG (large cap) sia su società che, oltre alla forte connotazione ESG, sono anche in grado di distribuire un dividendo. «La competizione tra asset manager sul tema è sana se è giocata con le stesse carte. Se tutti vanno in questa direzione senza fare greenwashing è una prassi che farà bene sia ai portafogli sia agli investitori e al mondo intero», continua. E aggiunge: «nel mondo dei fondi di investimento, quelli azionari hanno più opportunità di fare engagement rispetto a quelli obbligazionari perché nei primi sono gli azionisti a votare. Mentre nei secondi mi sembrano molto interessanti le strategie sui green bond dove noi abbiamo lanciato un fondo». Le forze, secondo il manager, stanno convergendo tutte verso questi temi. L’interesse cresce, sia da parte degli investitori retail sia istituzionali. Tutti sono coinvolti: regolatori, governi, aziende, consumatori. «È un concerto senza solisti», conclude Iaccarino. E precisa: «sul fronte dell’attenzione nei confronti dell’ambiente, l’Europa parte da una posizione avvantaggiata in termini di intraprendenza sui temi della lotta al cambiamento climatico e della riduzione di CO2. Mentre, se con il presidente Trump, gli Stati Uniti se ne stanno allontanando in parte, la Cina sta facendo politiche volte a ridurre l’inquinamento, posto che le cattive practice hanno un grande costo dal punto di vista sociale e in termini di mancata possibilità di attrarre talenti».

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