Assogestioni, il 2019 segna il nuovo corso del gestito

Ci eravamo lasciati nel 2018 con circa 10 miliardi di raccolta complessiva, con 4 miliardi di deflussi nell’ultimo trimestre. Si può dire che nel 2019 la musica è cambiata. Nell’ultimo trimestre del 2019, l’industria del risparmio gestito riporta 17,7 miliardi di euro di sottoscrizioni nette, di cui 7,3 miliardi sono stati raccolti dalle gestioni collettive e 10,3 miliardi sono entrati nelle gestioni di portafoglio. Nell’intero 2019 il sistema ha totalizzato flussi in ingresso per 76,7 miliardi.

Il patrimonio gestito ammonta complessivamente a 2.306 miliardi e raggiunge un nuovo massimo storico. Sono investiti nelle gestioni collettive 1.135 miliardi, pari al 49% delle masse totali, mentre la quota rimanente è impiegata nelle gestioni di portafoglio (1.171 miliardi).

I fondi aperti registrano 5,1 miliardi di raccolta nel 4° trimestre 2019 sotto la spinta dei fondi di lungo termine (+8,5 miliardi). Nel periodo di rilevazione, i risparmiatori italiani hanno indirizzato le proprie preferenze verso i prodotti obbligazionari (+5,2 miliardi), gli azionari (+3,2 miliardi) e i bilanciati (+2 miliardi).

Qui di seguito vi presentiamo un’analisi approfondita dei trend di raccolta del 2019 a cura del direttore dell’ufficio studi di Assogestioni, Alessandro Rota.

L’industria italiana del risparmio gestito si conferma in ottima forma. La mappa mensile a cura dell’ufficio studi di Assogestioni relativa al mese di dicembre conferma che nel corso del 2019 gli asset complessivamente gestiti dal sistema delle Sgr italiane ed estere attive nel nostro paese sono aumentati: tra fondi e mandati il saldo è positivo per 270 miliardi (+13% anno su anno, dopo il -3,4% del 2018 rispetto all’anno precedente).

Ragguardevole la spinta dei mercati: il contributo dell’«effetto performance» è pari a +10% circa (era stato -3,9% nel 2018) “in particolare per effetto del rimbalzo post 2018”, osserva Alessandro Rota, direttore dell’ufficio studi dell’Associazione, in conversazione con FocusRisparmio. “Ottima performance dei mercati azionari, ma anche una buona tenuta di quelli obbligazionari. Performance particolarmente incoraggianti soprattutto nella seconda parte dell’anno”.

Uno dei dati di maggiore interesse è rappresentato dal contributo dei fondi chiusi (3 miliardi), sostanzialmente in linea con quello dei fondi aperti (3,8). Di questi tre miliardi, circa metà sono investiti in fondi immobiliari, mentre l’altra metà è investita in asset class illiquide – i cosiddetti mercati privati – segmento dal quale l’industria si attende un crescente interesse e sviluppo nei mesi e negli anni a venire.

Notevole il contributo delle gestioni di portafoglio (+66,6 miliardi), interessate a inizio anno dall’ingresso nel perimetro del risparmio gestito di circa 53 miliardi per effetto di un’operazione di carattere straordinario posta in essere all’interno del gruppo Poste Italiane.

L’interpretazione del dato di raccolta netta “richiede una particolare attenzione”, sottolinea Rota. “Al netto dell’operazione registrata dal gruppo Poste all’inizio del 2019, è infatti raddoppiata rispetto al livello dell’anno precedente (20 miliardi circa rispetto ai 10 del 2018)”.

Ciononostante, i flussi – nel loro complesso – hanno “scalato la marcia” e stanno cambiando ritmo rispetto al quinquennio 2013-2017. Fenomeno comune a livello europeo, come si evince anche dalle statistiche di Efama sul terzo trimestre 2019: anche il dato del Lussemburgo – indicativo delle tendenze di raccolta a livello paneuropeo – è abbastanza contenuto. “Dunque l’Italia non è l’unico paese a non aver colto il rimbalzo”, puntualizza Rota.

Investire in un mondo a tassi (e crescita) zero

Le motivazioni di questo trend di raccolta, che potrebbe configurarsi come “new normal” per l’industria, sono molteplici.

Anzitutto, i tassi di interesse intorno e sotto lo zero pongono una sfida costante al risparmio gestito. “Evidentemente”, osserva Rota, “molti investitori restano ’alla porta’. Lo dicono i numeri, ma anche la percentuale di liquidità depositata sui conti correnti, stabilmente intorno a un terzo dei portafogli finanziari”.

L’industria – sia dal lato della produzione sia da quello della distribuzione – “non ha vita facile nel portare il risparmio degli italiani verso forme di investimento meno ‘tradizionali’ ma più remunerative”, prosegue Rota.

Permane dunque la sfida, che coinvolge direttamente tanto i consulenti finanziari quanto le istituzioni preposte alla diffusione di una maggiore alfabetizzazione finanziaria presso i clienti-risparmiatori, “a far passare il messaggio che oggi, per avere una remunerazione più interessante, è importante ancor più che nel passato sacrificare la liquidità di breve periodo e allungare il proprio orizzonte di investimento”. Tema che, non a caso, è stato posto al centro dell’undicesima edizione del Salone del Risparmio.

Dai bond bancari ai fondi comuni

Un’altra possibile spiegazione, secondo Rota, “ha a che fare con la composizione dei portafogli finanziari delle famiglie”. Oltre alla liquidità che zavorra i conti correnti, c’è un altro dato “più interessante e meno studiato: negli anni ‘10 l’industria del risparmio gestito ha certamente beneficiato della progressiva uscita delle famiglie dagli investimenti obbligazionari”, analizza Rota.

Quelli bancari, in particolare, “sono passati dal 10% del portafoglio complessivo del 2010 all’1,5% di oggi. In un certo senso si può ritenere chiuso un ciclo ‘di travaso’, in cui – man mano che andavano a scadenza – i flussi obbligazionari venivano reindirizzati nei prodotti del risparmio gestito”.

Risorse nuove al settore, dunque, “non potranno più ragionevolmente provenire da quel fronte, ma piuttosto o dallo spostamento della liquidità presente sui conti correnti oppure – come dovrebbe essere in un’economia florida – dall’aumento del reddito disponibile delle famiglie, con il conseguente incremento del nuovi flussi di risparmio” afferma Rota.

Giungiamo così all’identificazione della ’madre di tutte le criticità’: la lenta ma costante erosione della capacità di generare risparmio da parte delle famiglie italiane.

Risparmio, bene scarso e prezioso

Se prendiamo il reddito disponibile aggregato delle famiglie questo risulta essere – a prezzi costanti di oggi – pari a quello del 2000. Questa dinamica, combinata con una sostanziale tenuta dei consumi, ha determinato nel corso degli anni una riduzione dell’ammontare di risparmio, che in media negli anni successivi alla crisi del debito sovrano del 2011 si attesta a 115 miliardi di euro l’anno (fonte: elaborazioni su dati Istat). Nel periodo antecedente (1995-2010) la media annua è stata di 175 miliardi, con una riduzione quindi del 35%.

Di conseguenza, ciò ha influito anche sugli afflussi di nuovo risparmio diretto agli investimenti finanziari. Infatti, la quota di reddito investita nelle diverse forme di attività finanziarie – dalla liquidità ai bond, passando per i prodotti di risparmio gestito – è passata da una media del 10% nel periodo 2000-2010 a una media del 3% nel decennio successivo (fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia e Istat).

Le Sgr stanno da tempo facendo la loro parte per intercettare meglio i flussi di risparmio delle famiglie – “merce sempre più rara e preziosa”, sottolinea Rota, “in quanto necessaria per lo sviluppo produttivo del Paese”.

Di fronte a tante sfide, ai gestori è concessa una grande opportunità: quella di imprimere una svolta culturale nelle aziende per fare in modo che queste si aprano progressivamente a una maggiore varietà di fonti di finanziamento, in una logica di finanza aziendale più evoluta e resiliente.

PirEltif e fondi chiusi più accessibili”, spiega Rota, “sono solo alcune delle iniziative messe in campo per indirizzare maggiori quantità di risparmio verso forme di investimento a diretto beneficio delle imprese non finanziarie, soprattutto di quelle di media e piccola dimensione che rappresentano la parte più importante del nostro tessuto economico”, conclude il direttore dell’ufficio studi di Assogestioni.

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