Consulenti, quale via di uscita dal Coronavirus?

È ormai conclamato che nelle ultime settimane sui mercati finanziari stiamo vivendo un contesto senza precedenti. Lo shock sincrono di domanda e offerta causato dalle misure di distanziamento sociale adottate per contenere la diffusione del Covid-19, a cui si è aggiunto quello del petrolio (per motivi di natura politica), ha gettato gli investitori nel panico. A colpire dell’attuale correzione è non tanto l’intensità, quanto la velocità, superiore a quella di qualsiasi altra crisi del passato.

Per comprendere quali possibili prospettive ci attendono, Andrea Delitala, head of Euro Multi Asset e Ella Hoxha, senior investment manager del team Global Bonds di Pictet Asset Management hanno proposto un’analisi dell’attuale situazione economica.

Lo scenario che immaginano i nostri economisti (abbastanza in linea con il consenso, per quanto in rapida evoluzione) e scontato dal mercato è di fatto in linea con quanto visto in corrispondenza dei bear market degli ultimi 100 anni: un impatto negativo sul PIL globale per il 2020 tra il -3% e il -3,5%, quando nelle altre crisi è stato in media pari a un -2,9%. Il consenso è per un andamento a V, con un forte rimbalzo dell’attività economica nella seconda metà dell’anno, a metà strada tra la Y, con un picco minimo molto basso e una ripresa di tipo post-bellico (simile a quanto sta succedendo in questo momento in Cina) e una U caratterizzata da una fase di rallentamento prolungato (2 trimestri o più) che finirebbe per mettere in difficoltà esistenziale molte attività economiche e categorie lavorative.

Siamo convinti che questa recessione anomala, autoinflitta per evitare peggiori scenari di salute pubblica, scaturita da un fattore esogeno all’economia e al sistema finanziario, potrebbe concludersi con un rimbalzo anche vigoroso, non appena si sarà in grado di normalizzare i comportamenti economico-sociali. Ad oggi, quindi, molto dipende dalla ricerca medica. Affinché si possa assistere a un’inversione duratura nella tendenza dei mercati c’è bisogno di notizie positive sul fronte sanitario (a partire dal nostro Paese, che guida ormai la fila dei Paesi sviluppati colpiti dal virus), e/o anche e soprattutto farmaceutico.

Dal punto di vista statistico, le informazioni sulla diffusione del virus non sono incoraggianti né in Italia, né tantomeno, in altri Paesi europei come la Spagna. Sebbene il ‘lockdown’ attuato a inizio marzo abbia ridotto senz’altro i contagi (secondo le nostre simulazioni, dimezzando i decessi), la decelerazione (derivata seconda) è insufficiente e non consente di intravedere un picco imminente. D’altro canto, anche una volta superata la fase di ‘emergenza’ attuale, è chiaro che le misure di distanziamento sociale sono utili a guadagnare tempo, ma non rappresentano la soluzione al problema epidemico, soprattutto contro un eventuale rischio di ritorno del virus una volta che si dovesse provare a tornare alla normalità.

Proprio dal campo medico, potrebbero arrivare presto notizie incoraggianti.

A tal fine, sembra determinante l’attuazione di strategie di monitoraggio di massa, sull’esempio di quanto fatto in Corea del Sud. Un altro importante contributo alla normalizzazione dovrebbe arrivare da nuovi sistemi per testare la positività al virus, più efficienti e veloci, attualmente in fase di studio e a breve disponibili. Secondo una ricerca di Citi, tali nuovi strumenti permetterebbero di avere i risultati del test per il 60% della popolazione USA in età lavorativa entro fine aprile e per il 95% entro fine maggio, contribuendo enormemente al controllo dell’epidemia e alla possibilità di riprendere gradualmente la vita normale.

È chiaro, però, che l’unica vera soluzione al problema sanitario è rappresentata da eventuali cure, anche solo sintomatiche (attenuare la polmonite interstiziale), per cui bisognerà probabilmente attendere fino alla fine dell’estate, o vaccini, per i quali i tempi sono ancora più lunghi (si parla di inizio 2021 al più presto).

Tenuto conto del fatto che il periodo di sopravvivenza delle aziende in questo contesto è stimato tra i 6 e gli 8 mesi, prima che si veda una vera e propria esplosione nei default, gli occhi di tutto il mondo sono in questo momento puntati sui sistemi di monitoraggio e sulle possibili terapie, piuttosto che sui vaccini.

Il secondo fattore positivo deriva dalla politica economica, sia monetaria che fiscale.

Infatti, se la velocità dello shock è stata senza precedenti, altrettanto eccezionale è stata la tempestività (e la portata) delle politiche espansive adottate da Banche Centrali e Governi, che hanno fornito uno scudo per superare lo stallo attuale e propellente per un rimbalzo post-normalizzazione.

In modo coordinato, nel tentativo di sostenere le rispettive economie e soprattutto di evitare una stretta del credito, le prime hanno annunciato iniezioni di liquidità prossime ai 5,5 mila miliardi di dollari (10% del PIL del G5). Tra tutte, la meno attiva è stata per il momento la People Bank of China, in parte perché restia a varare misure ultra-espansive fino a quando il dollaro non perderà terreno (l’intento è chiaramente quello di non penalizzare la valuta locale, il renminbi).

Sul fronte fiscale, le manovre dei vari Governi si aggirano intorno al 3,2% del PIL globale, che con un moltiplicatore prossimo all’1,5 comporterebbero un impatto positivo sull’economia del 4,5%, più che in grado di compensare l’effetto negativo del virus oggi atteso (-3,5%). 

In Europa si è dato ampio margine di intervento ai singoli Stati, sospendendo il vincolo di bilancio del Patto di Stabilità, ma manca ancora una risposta unitaria e coordinata, in grado di evitate una crescita smisurata dei debiti pubblici dei singoli Paesi, nonostante l’intervento salvifico della BCE e del suo programma di acquisto, ormai senza limiti per emittente o emissione (basti pensare che, se depurato della quota detenuta dall’istituto centrale, il debito sovrano dei Paesi europei è pari solamente al 60% del loro PIL, abbondantemente all’interno delle linee guida tracciate dal Trattato di Maastricht).

L’incontro tra i Ministri delle Finanze dei Paesi membri del 7 aprile potrebbe aiutare a delineare con maggiore chiarezza le prossime mosse centralizzate. Permane l’opposizione dei Paesi nordici, Germania e Olanda su tutti, ai cosiddetti Coronabond, ossia emissioni garantite da tutti i Paesi membri, in quanto comporterebbero una delicata condivisione dei rischi, prima ancora che sia stata raggiunta un’unione bancaria e dei mercati dei capitali, considerate un prerequisito necessario per arrivare a una vera e propria ripartizione dei rischi.

All’estremo opposto, i Paesi periferici non gradiscono l’eccessiva condizionalità imposta delle alternative offerte dalle linee di finanziamento precauzionali del Fondo Monetario Europeo che, tuttavia offrirebbe la maggiore tutela finanziaria derivante dall’OMT della BCE, il programma per cui la banca centrale acquista obbligazioni a breve termine (1-3 anni) del Paese che ricorre al Fondo salva-Stati.

Come spesso accade, la soluzione potrebbe trovarsi nel mezzo: un intervento che veda il bilancio europeo impegnato a garanzia a finanziamenti della BEI o dello stesso Fondo salva-Stati in qualità di emittente.

Il terzo e ultimo elemento è legato, infine, ai mercati finanziari stessi.

Come detto, lo scenario attualmente prezzato dagli operatori incorpora un impatto sull’economia del -3,5% del PIL mondiale. Questo vorrebbe dire un calo degli utili del -30%. Da questo punto di vista, il -30% circa dei mercati sembra ormai aver prezzato tale effetto, anticipando anche le previsioni degli analisti, che cominciano solo ora ad essere riviste. Notiamo che la riduzione di circa 100pb nei rendimenti obbligazionari (dei Treasuries USA) fa sì che il premio di rischio tra rendimento atteso delle azioni (Earing Yield) e delle Obbligazioni (YTM) si è ampliato del 2,5% circa dall’inizio della correzione, creando un ‘cuscinetto’ per ulteriori cattive notizie.

Inoltre, prendendo di nuovo a titolo di confronto le altre correzioni degli ultimi 100 anni, durante questi periodi in media i mercati hanno segnato una performance del -33%, non lontano da quanto registrato in queste settimane, per poi rimbalzare mediamente del +20% nei 3 mesi successivi all’inversione della tendenza.

Il che potrebbe indurre a pensare che, se la situazione sanitaria non dovesse peggiorare e prolungarsi eccessivamente, abbiamo toccato dei livelli minimi, quantomeno temporanei. Non resta che aspettare, quindi, che la ricerca medica offra una via d’uscita dall’emergenza sanitaria per poter vedere i mercati brindare.

 

Per tutti gli approfondimenti visitate il sito di Pictet AM (clicca qui).

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