Consulenti, una lente di ingrandimento su Next Generation EU

Quali saranno le novità del Recovery Fund, o meglio della Next Generation EU, dopo la proposta formale della Commissione Europea del 27 maggio? A tal proposito Andrea Delitala, head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management prova a fare il punto della situazione.

Fare previsioni sul futuro andamento dell’economia nel contesto attuale risulta un esercizio complicato considerando l’estrema incertezza sulla possibile evoluzione della pandemia, con la spada di Damocle di una seconda ondata di contagi, manifesta in alcuni Paesi asiatici e immancabile nelle previsioni degli esperti, che pende sulle nostre teste. D’altro canto, la determinazione di molti Paesi nel passare alla Fase 2 (o fine del ‘lockdown’) è evidente e finora i pochi focolai riemersi non l’hanno indebolita. Ciò anche perché stiamo imparando a gestire meglio il virus (forse un po’ indebolito?) o la sua diffusione. Al momento, invece, non si registrano novità mediche di rilievo né di tipo terapeutico né sui vaccini, ma guadagnare tempo è cruciale a tal proposito. Questi elementi contrastanti spiegano l’elevata dispersione osservabile nelle previsioni economiche dei diversi istituti e operatori.

Ci sono, tuttavia, degli elementi comuni e assodati su cui poter fare affidamento. In primo luogo, è ormai appurato che lo shock sincrono di domanda e offerta nel primo semestre dell’anno trascinerà inevitabilmente il mondo in una profonda recessione. Altrettanto conclamato appare il fatto che il crollo dell’attività economica è stato e sarà notevolmente attenuato dalle ingenti misure di sostegno di politica economica attuate da governi e banche centrali di tutto il mondo. Infine, queste stesse misure forniranno il propulsore per la ripresa, già a partire dalla seconda metà dell’anno, ma soprattutto nel 2021.

Su questo fronte, ora che il ventaglio delle manovre fiscali comunitarie si è ulteriormente arricchito con il Recovery Fund o Next Generation EU (NGEU), gli stimoli nell’eurozona risultano più confrontabili con le altre principali aree dei Paesi sviluppati. Nelle prime fasi della crisi, l’intervento centrale era stato limitato a un allargamento delle maglie fiscali con l’affrancamento dai vincoli di bilancio posti dal Patto di Stabilità. La maggiore libertà derivante da tale iniziativa aveva dato il là a manovre disomogenee in cui i singoli Stati membri hanno agito all’interno dei diversi spazi di manovra fiscale che avevano a disposizione. Il risultato è stato un impulso asimmetrico, con i Paesi più colpiti dal virus, Italia e Spagna, che erano quelli con minor margine di bilancio per sostenere l’economia. Complessivamente gli stimoli messi a terra dai vari Stati si aggiravano intorno al 4% del PIL della regione, uno stimolo nettamente superiore rispetto a quanto fatto nel 2007-2009, ma lontano dall’8% circa implementato negli Stati Uniti.

Non solo, obbligando i Paesi a dover ricorrere al debito pubblico, l’approccio iniziale rischiava di diventare deleterio per le finanze pubbliche di chi, come l’Italia, si trovava a dover fare già i conti con una mole di debito su livelli pericolosi (135% del PIL). La buona notizia, si fa per dire, è che non siamo più soli, nel senso che, con la recente crisi, anche Spagna e soprattutto Francia entreranno nella zona in cui il debito pubblico risulta tossico e un freno per la crescita (oltre il 100/110% del PIL). Proprio il fatto che ora la posizione e gli interessi della Francia siano allineati con quelli di Italia e Spagna, in apparente divergenza con la Germania (il cui rapporto debito/PIL è stato in costante calo nell’ultimo decennio), è stato un elemento chiave alla base dell’accordo tra Macron e Merkel sul Recovery Fund del 18 maggio.

Un qualche peso nel processo decisionale europeo lo ha avuto quasi certamente la sentenza del 5 maggio della Corte Costituzionale Tedesca (GCC), che ha richiamato all’ordine la banca centrale in merito alla ‘proporzionalità’ e temporaneità del proprio programma di acquisti di titoli di Stato (PSPP). Infatti, nei mesi di marzo e aprile, la BCE proprio nel PSPP, e ancor più nel PEPP (si presume, non essendo per ora pubblici i dati), ha temporaneamente abbandonato il meccanismo delle capital key per comprare in misura maggiore i Titoli di Stato dei Paesi più in difficoltà, Italia su tutti. Una deviazione dalle pratiche standard dell’istituto attuata per garantire una trasmissione simmetrica degli impulsi monetari nei vari Paesi dell’Eurozona ma che può essere una soluzione solamente momentanea, come ci ha tenuto a ribadire (seppur forse nei modi sbagliati) la GCC. La conclusione è che il compito di risolvere la divergenza fiscale in atto tra la Germania e il resto dei Paesi dell’area Euro non possa essere addossato alla sola Banca Centrale Europea. Per questo motivo, si è resa assolutamente necessaria una manovra di redistribuzione fiscale, e la Next Generation EU va proprio in tale direzione: quella di supportare i Paesi più vulnerabili allo shock Covid nelle loro riforme economiche e strutturali (Green Deal, Digitalizzazione ecc.) e ridurre in tal modo l’asimmetria di spazio fiscale tra i vari Stati membri.

Un ultimo, rilevante elemento che ha portato a questo importante passo verso una maggiore integrazione è legato al futuro delle filiere di approvvigionamento. La pandemia, come già successo in occasione della guerra commerciale tra USA e Cina, ha mostrato nuovamente quanto possa risultare rischioso fare eccessivo affidamento su catene produttive lunghe e globali. Questa consapevolezza comporterà verosimilmente la creazione di filiere regionali, una cino-asiatica, una europea e una nord-americana, più locali e vicine ai luoghi di consumo dei beni. In tale ottica, il Vecchio Continente ha ricevuto un’ulteriore spinta verso una maggiore coesione.

Il nuovo NGEU da €750 miliardi complessivi (5% del PIL dell’eurozona), secondo la proposta della Commissione Europea del 27 maggio (al vaglio del Consiglio il 18 giugno, e in seguito da approvare da parte dei Parlamenti nazionali), si andrà ad aggiungere al pacchetto di manovre comunitarie già concordate (€540 miliardi). Queste, complessivamente, contribuiranno per un ulteriore 4% del PIL della regione, andando a colmare, come detto, il gap con quanto fatto dall’amministrazione Trump sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico. Si tratta di un impulso che non ha precedenti nella storia dell’eurozona: basti pensare che il bilancio europeo prima dell’inizio della crisi ammontava solamente all’1% circa del PIL dell’area.

Con questa nuova aggiunta, l’insieme degli stimoli fiscali comunitari è così composto:

  • SURE (€100 miliardi): fondo che copre gli schemi di cassa integrazione dei Paesi;
  • BEI (€200 miliardi): contributi per prestiti e liquidità alle imprese;
  • MES (€240 miliardi): linee di credito per gli Stati membri senza condizionalità, o meglio alla sola condizione che le risorse vengano utilizzate per far fronte alla recente crisi;
  • Recovery Fund o Next Generation EU (€750 miliardi): si tratta di €500 miliardi a fondo perduto e €250 miliardi di prestiti, suddivisi in diversi programmi, di cui il più rilevante è sicuramente la Recovery and Resilience Facility, €560 miliardi per supportare i Paesi nel loro percorso di ripresa economica.

Le risorse a fondo perduto del NGEU, la cui erogazione è subordinata al fatto che vengano utilizzate per finanziare la ripresa e la crescita economica, dovranno essere restituite contribuendo al bilancio europeo in 30 anni a partire dal 2028, ossia con tempistiche molto lunghe e in base alla quota di partecipazione al bilancio propria di ciascun Paese. Per l’Italia, questo vorrà dire avere accesso a circa €85 miliardi a fondo perduto dovendone rimborsare solamente €65 miliardi tra il 2028 e il 2058, quindi con un beneficio di circa €20 miliardi di trasferimenti netti. Al contrario, la Germania lascerà sul campo circa €90 miliardi, a vantaggio soprattutto di Italia, Spagna e Francia secondo la logica di redistribuzione fiscale suesposta.

Inoltre, la Commissione ha previsto la possibilità di finanziare con risorse proprie il bilancio europeo attraverso tassazioni aggiuntive legate all’elusione fiscale delle imprese tech multinazionali (digital tax) e all’aumento del costo dell’inquinamento (carbon border tax), riducendo ulteriormente in questo modo l’onere per i singoli Stati.

In sostanza, nel 2022, quando tornerà a essere soggetta al monitoraggio semestrale europeo previsto dal Patto di Stabilità, l’Italia potrebbe ritrovarsi con un’esposizione del debito pubblico al mercato inferiore a quello attuale: il fabbisogno finanziario dei prossimi anni, infatti, potrebbe essere integralmente coperto dallo sforzo congiunto della BCE (PEPP) e della Comunità Europea (SURE, BEI, MES e NGEU). Un’occasione più unica che rara di portare a termine delle fondamentali riforme strutturali senza gravare sulle finanze pubbliche. In definitiva, l’Europa pare oggi ben più determinata ad impedire che la pandemia frantumi il progetto comunitario sotto il peso della divergenza economica o della disgregazione sociale.

 

Per tutti gli approfondimenti visitate il sito di Pictet AM (clicca qui).

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