Carmignac, il punto bimensile sui mercati (29 giugno – 10 luglio 2020)

A febbraio, la nostra principale preoccupazione, in qualità di Risk Manager, era comprendere la natura del rischio per i mercati. Trattandosi di una crisi sanitaria, dovuta alla diffusione di un virus, a nostro avviso, il rischio stava assumendo – forse in maniera sorprendente – la stessa forma di quello visto durante la crisi bancaria del 2008 (anche se le due crisi non hanno assolutamente niente in comune). Stiamo parlando della forma di una curva esponenziale. In altre parole, abbiamo assistito a uno scenario caratterizzato da una iniziale fase di accelerazione, seguita da una fase di regressione, forse anche molto veloce in base all’evoluzione della gestione della crisi. Per affrontare crisi di questo tipo (come nel 2008, anch’essa scaturita da una rapida diffusione del contagio, in quel caso legata al crollo di Lehman che ha poi innescato una crisi del sistema bancario globale) è fondamentale ridurre immediatamente il profilo di rischio, visto che il rischio principale è quello di rimanere costantemente dietro la curva in uno scenario caratterizzato da un’accelerazione esponenziale.

Pertanto, è stato indispensabile applicare una vera e propria flessibilità nella gestione dell’esposizione azionaria dei fondi. L’imperativo della flessibilità è stato adottato anche quando i mercati hanno invertito la tendenza, come a marzo 2009, perché in scenari di questo tipo anche l’inversione di tendenza si verifica molto rapidamente. Quindi, comprendere la dinamica della crisi e l’implementazione molto disciplinata dell’analisi nella gestione del rischio sono state le prime condizioni necessarie ad affrontare correttamente questo periodo.

Da questo punto di vista, il resto dell’anno potrebbe essere molto diverso. Al di là della ripresa, partita da minimi estremamente bassi, stiamo assistendo all’inizio di un periodo di “tensione” tra il controllo della pandemia e la velocità della ripresa economica. Ad esempio, si può già osservare che il tentativo di una riapertura negli Stati Uniti sta iniziando a rivelarsi una decisione poco attenta, visto il nuovo incremento dei casi, e potrebbe in realtà mettere a repentaglio la ripresa economica nella seconda metà dell’anno. Il numero dei ricoveri ospedalieri sta salendo di nuovo, fattore che potrebbe influire sulla fiducia dei consumatori, soprattutto se questo trend portasse a un aumento del numero di vittime, finora in costante diminuzione. Al contrario, la situazione sembra essere stata gestita meglio in Europa e, come suggerisce l’indice di attività fornito da Google, questo potrebbe consentire un maggiore slancio dell’attività economica nella seconda metà dell’anno.

Se si considera l’andamento della ripresa economica nei prossimi trimestri, la Cina sarà sicuramente il vincitore più probabile: ha gestito bene la crisi quindi potrà raggiungere più rapidamente i livelli di attività pre-crisi, o addirittura superarli in alcuni settori, aiutando così anche altri mercati emergenti. Poi troviamo l’Europam, seguita dagli Stati Uniti. Il paese nordamericano ha spinto verso una riapertura anticipata dell’economia ma adesso potrebbe pagare a caro prezzo questa scelta. Proprio il modo in cui i paesi, le aziende, i consumatori si adatteranno alla convivenza con il Covid influenzerà la performance relativa dei vari settori, sia nel campo azionario che del credito.

La seconda caratteristica unica di questa crisi è naturalmente l’intervento senza precedenti dei policy-maker. Anche in questo caso, la nostra esperienza accumulata nella gestione degli asset nel corso delle precedenti crisi è stata utile. Abbiamo osservato infatti che i governi occidentali non erano pronti ad affrontare la crisi sanitaria, ma eravamo convinti che fossero ben preparati ad affrontare una crisi finanziaria. Avrebbero dovuto imparare dalla Grande Crisi Finanziaria non solo che gli interventi devono essere molto incisivi in tempi brevi, ma soprattutto che l’onere del sostegno economico va condiviso con le banche centrali, cosa che non era avvenuta nel 2008.

Non parleremo di quanto sia elevata la posta in gioco, è un fattore già ben noto e molto probabilmente crescerà ulteriormente. Sicuramente il Congresso degli Stati Uniti voterà un nuovo programma di stimolo nelle prossime settimane, e anche l’Unione Europea potrà approvare il tanto atteso Recovery Plan. Nel breve termine questo ovviamente supporterà gli asset di rischio. Tuttavia, un primo problema legato alla gestione dei mercati da parte delle banche centrali è che questa dinamica spinge gli investitori a breve termine ad adottare un approccio speculativo. Questa tendenza è già evidente nell’indice azionario nazionale cinese, un mercato che si comporta come un casinò dove gli investitori retail cinesi preferiscono scommettere piuttosto che investire. Questo fenomeno suggerisce un rischio di maggiore volatilità per i mercati in questo momento.

Per questo motivo il portafoglio azionario di Carmignac Patrimoine è rimasto molto selettivo durante questa fase rialzista, poco correlato al benchmark e molto focalizzato su conviction fondamentali di tipo bottom-up. Riteniamo che anche questo sia uno dei compiti del Risk Management.

Un’altra lezione appresa negli anni passati ci aiuta a comprendere il falso paradosso di un enorme stimolo monetario che favorisce i mercati azionari molto più della crescita economica, anche se questo paradigma potrebbe presto raggiungere i suoi limiti. Infatti, finché l’attività economica rimane debole, con gap di produzione molto ampi e un’elevata disoccupazione, la creazione di denaro non provoca un’inflazione dei prezzi, ma genera solo inflazione dei prezzi degli asset. Questa logica spiega anche il persistere di tassi obbligazionari molto bassi nonostante i mercati azionari siano in salute.

La conseguenza di questa divergenza tra i mercati azionari e la realtà economica è che i titoli Value o ciclici, da cui ci si aspetterebbe una sovraperformance in una fase di ripresa di mercato, stanno ancora riportando scarse performance, soprattutto negli Stati Uniti. Il messaggio è chiaro: anche se, come crediamo, i mercati europei e quelli emergenti riescono ad arrestare la loro sottoperformance rispetto al mercato azionario statunitense, lo stile growth continua a dominare in tutto il mondo.

Sulla base di questa analisi della situazione e del nostro posizionamento, stiamo ovviamente osservando molti indicatori nella nostra dashboard, come ad esempio l’evoluzione dei tassi di risparmio, che influenzerà la ripresa dei consumi, l’indebitamento aziendale, che avrà un impatto sul capex, il mercato del lavoro, e naturalmente la pandemia.

Il fortissimo coinvolgimento dei policy maker è ciò che ci causa maggiore preoccupazione. Infatti, il ritorno in primo piano dei governi causa principalmente due insidie: in primo luogo, un improvviso rallentamento e il ritorno all’ortodossia finanziaria; in secondo luogo, la perdita di controllo dei bilanci delle banche centrali. Nel primo caso, le economie occidentali sarebbero esposte ad una recessione economica, insieme ad alti livelli di disoccupazione: un connubio dalla rapida forza esplosiva dal punto di vista sociale che avrebbe certamente un impatto negativo sui mercati. Nel secondo caso, la perdita di controllo dei bilanci delle banche centrali, causata dalla monetizzazione illimitata del debito pubblico, porterebbe ad una perdita di fiducia nelle valute a corso forzoso, un evento molto destabilizzante per gli asset di rischio.  Attualmente c’è una scarsa visibilità su questo tipo di rischi di coda e potrebbe sembrare prematuro interrogarsi su questo tema. A nostro avvio, però, ci sembra che detenere l’equivalente di una polizza assicurativa sia legittimo e proprio questo è il ruolo svolto dall’esposizione all’oro all’interno del portafoglio azionario di Carmignac Patrimoine.

Per riassumere, questi primi sei mesi dell’anno hanno fornito un buon esempio di ciò che un fondo dovrebbe sempre fornire: una reale flessibilità nei periodi di alta turbolenza, un’attenzione permanente alle conviction a lungo termine, un focus sui rischi di coda e la consapevolezza che la prontezza di reazione debba prevalere sulle previsioni.

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