Asset allocation, le gemme giapponesi

Vi proponiamo di seguito un commento di Keita Kubota e Kei Okamura, gestori del team Japan Equity di Neuberger Berman, che sottolinea come un processo di engagement attivo sia risultato il più efficace per individuare le “gemme nascoste” del mercato azionario giapponese, ovvero le small e mid cap basate su un business model di alta qualità, dotate del potenziale necessario per creare valore nel lungo termine.

Scovare le gemme nascoste tra le small e mid a cap nipponiche mediante un processo di engagement attivo e un dialogo continuo con il management.
Le Prospettive settimanali del CIO sono oggi a cura di Keita Kubota e Kei Okamura.
Lunga pausa.
Troppo lunga, addirittura, per un CEO di solito molto loquace, un dirigente che ha saputo far crescere il business della telefonia mobile superando negli anni le numerose sfide macroeconomiche e normative che gli si erano parate davanti. Lo abbiamo forse contrariato, esagerando con le nostre domande sulla ristrutturazione dei bilanci? O magari abbiamo toccato un nervo scoperto, chiedendo di valutare come aumentare l’indipendenza del consiglio di amministrazione?
Finalmente il silenzio viene interrotto.
“Chiedo scusa! Avevo silenziato il microfono.”

Discussioni animate
Durante la crisi sanitaria, non sono certo mancate scene come questa nella gestione della nostra strategia Japan Equity Engagement. Prima di proseguire vale la pena ricordare che l’engagement attivo è un’attività che si sostanzia nel dialogo con le società su questioni di sostenibilità e nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale azionario, con l’obiettivo di promuovere un cambiamento positivo nella condotta delle imprese in relazione ai temi ambientali, sociali e di governance (ESG).
A volte siamo più che lieti se un piccolo intoppo tecnologico stempera leggermente quelle che possono essere discussioni animate su argomenti quali la gestione del capitale, l’indipendenza del consiglio di amministrazione o la disclosure dei rischi collegati ai fattori ESG.
Risolto il problema del microfono silenziato, abbiamo proseguito con le nostre domande. La riunione virtuale, lungi dall’essere perfetta, si è comunque conclusa lasciandoci più che persuasi dell’ottima salute dei fondamentali societari, poiché il recente boom dello smart working ha riacceso la domanda di infrastrutture affidabili sia per il traffico voce che per il traffico dati. Di pari importanza è stata la soddisfazione del CEO per il nostro apprezzamento della prima operazione di buyback azionario nella storia di quella società. Il dirigente ha comunque ammesso che si tratta di una manovra troppo piccola rispetto al mastodontico bilancio della società, che continua ad espandersi grazie alla forte capacità del business di generare liquidità.

Gemme nascoste
La società di cui stiamo parlando è una di quelle che il nostro team spesso definisce i “gioielli nascosti” del Giappone, vale a dire small e mid cap basate su un business model di alta qualità, dotate del potenziale necessario per creare valore nel lungo termine e celate tra le pieghe del secondo mercato azionario mondiale per liquidità.
Spesso si tratta di aziende estremamente redditizie, sostenute da bilanci in ottima salute e flussi di cassa elevati. Quello che noi cerchiamo sono società leader di mercato in settori di nicchia, aziende sopravvissute in settori attraversati da una fase di consolidamento o imprese tecnologiche dal business dirompente, gestite da un team dirigenziale competente e di ampie vedute, disposto a prestare ascolto ad azionisti di lunga data, come noi.
In alcuni casi speciali possiamo scoprire “gemme” come queste che, pur offrendo valutazioni estremamente convenienti, sono spesso trascurate per via dell’unicità dei loro prodotti o di preconcetti sul loro business o settore operativo.
Scoprire aziende simili non è affatto facile. Questo segmento del mercato giapponese resta ampiamente trascurato dalla ricerca degli analisti, sia ESG che degli analisti sell side. Di conseguenza il nostro team si mette sulle tracce di possibili candidati, passando attentamente al vaglio i bilanci depositati, le rassegne stampa e le conversazioni con fornitori, clienti e concorrenti.
E tutto questo è solo la metà del lavoro.
Una volta individuata una di queste società, dobbiamo tracciare il quadro del suo business model e dei suoi fondamentali, basandoci su dati finanziari difficilmente reperibili presso fonti pubbliche e perlopiù scritti solo in giapponese.
Il nostro primo incontro con una società di questo tipo assomiglia molto a un “primo appuntamento”. Innanzitutto ci asteniamo dal rivolgere una valanga di domande. Al contrario, facciamo molta attenzione a presentare noi stessi, la storia di Neuberger Berman e la nostra filosofia di investimento nel lungo termine. Dopodiché cerchiamo di comprendere più a fondo il business model dell’azienda, dedicando particolare attenzione a conoscere il team dirigenziale e a capire chi guida realmente la società.
In quest’epoca dominata dal trading ad alta frequenza e dagli ETF passivi, sono in molti a dimenticare che investire è un’attività che si svolge tra persone. E questo è particolarmente vero quando la propria strategia prevede l’engagement degli azionisti. I nostri sforzi non darebbero mai i loro frutti se i team dirigenziali non fossero disposti ad ascoltarci.

COVID-19
La pandemia globale ha messo alla prova la validità della nostra strategia d’investimento. Il clima d’incertezza di gennaio e febbraio ci ha spinto a intensificare le nostre comunicazioni con le società, per tenerci aggiornati sulle ripercussioni del virus, sia sul versante finanziario che su quello non finanziario. A fine marzo, avevamo incontrato oltre 140 società e a cui se ne sono aggiunte altre 190 per la fine di giugno. In seguito a ciò abbiamo rivisto i nostri modelli di valutazione dei fondamentali del business e dei fattori ESG, correggendo le nostre previsioni sugli utili a medio termine in base al nuovo assetto post-coronavirus.
Tutto questo ci ha consentito di cercare fiduciosi nuove opportunità, mentre il mercato si lanciava in massa a rafforzare il proprio posizionamento in aziende di qualità già note, e ci ha permesso di introdurre nuove “gemme nascoste” nel portafoglio, riducendo al contempo la nostra esposizione a società dalle valutazioni elevate, la cui visibilità degli utili era improvvisamente diventata meno chiara.
La pandemia ha inoltre riportato alla ribalta le prassi aziendali sostenibili, in particolare il fattore “S” degli ESG, e l’approccio delle imprese alla gestione dei propri dipendenti. Tradizionalmente, il Giappone è sempre stato molto lento a modificare i metodi lavorativi e a informatizzare i luoghi di lavoro, ma dal nostro engagement con le società del settore dei servizi informatici emerge che la crisi da coronavirus ha accelerato la digitalizzazione aziendale nel Paese, anticipandola di almeno tre o quattro anni.
Riteniamo che questa tendenza sia foriera di opportunità per le società esposte al tema della trasformazione. Ma è anche un trend che lancia sfide di sostenibilità per altre società che non dispongono di risorse da blue chip per finanziare la trasformazione. Noi continueremo il nostro dialogo con loro, sostenendo i rispettivi team dirigenziali nell’adozione delle best practice di sostenibilità e incoraggiandone una divulgazione tempestiva in base al quadro di riferimento del SASB (Sustainability Accounting Standards Board).
Negli ultimi decenni il Giappone è stato colpito da una raffica di crisi, a partire dallo scoppio della bolla economica negli anni ’90 del secolo scorso fino alla crisi finanziaria del 2008, al terremoto del 2011 (e conseguente disastro nucleare) e all’attuale pandemia. Nel Paese sono presenti società di alta qualità, aziende sostenibili che hanno saputo affrontare questi momenti difficili emergendone ogni volta più forti. Non crediamo che questa volta le cose andranno diversamente e continueremo a cercare e a rimanere investiti nel lungo termine in business come questi.

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