“Molti player non saranno pronti ad affrontare un forte calo delle performance fee . E non siamo sicuri che la scorciatoia dell’aumento delle commissioni fisse (che si tratti di commissioni di gestione o a di altri tipi di fee per attività di investimento) possa rappresentare la giusta risposta al calo dei profitti”. È l’opinione degli analisti di Mediobanca che in un commento a cura di Gian Luca Ferrari hanno affrontato i temi trattati in un’analisi pubblicata sul Sole24Ore di venerdì 28 agosto (si veda qui la notizia riportata da Bluerating). In particolare, il quotidiano della Confindustria ha preso in esame la questione delle performance fee, cioè le commissioni applicate sui fondi di investimento, quando il gestore riesce a superare i rendimenti del benchmark, l’indice di riferimento.
Nel 2019 le performance fee hanno fruttato alle case di gestione e alle banche-reti ben 1 miliardo di euro. Ora, però, è in arrivo la scure dell’Esma, l’autorità che vigila sui mercati finanziari in Europa. L’authority ha infatti dettato alcune regole sulle performance fee, che dovrebbero essere recepite dai governi di tutti i paesi dell’Unione Europea. Nello specifico, le case di gestione non dovrebbero applicare questo tipo di commissioni più di una volta all’anno né prendere a riferimento benhmark troppo facili da battere, come quelli del mercato monetario. Inoltre, nel calcolo delle performance si dovrebbe tenere conto anche di eventuali periodi di rendimenti negativi precedenti. Tutte queste regole, secondo Mediobanca, dovrebbero far scendere notevolmente il peso delle commissioni di performance e potrebbero minacciare seriamente i profitti di molti gestori e banche-reti e non tutti saranno appunto preparati al cambio di regime.
Nel mese scorso, il tema delle performance fee è stato al centro di un dibattito tra Santo Borsellino di Generali Investments e Fabio Melisso di Fineco Asset Management