Asset allocation, 3 idee per l’autunno

Vi proponiamo di seguito un commento di Jean-Marie Mercadal, CIO di Ofi Asset Management, su tre asset class che si sono distinte nei mesi estivi e che dovranno essere tenute d’occhio anche nel prossimo futuro: le big tech USA, l’oro e le obbligazioni indicizzate all’inflazione.

I mercati finanziari sono stati piuttosto calmi nei mesi estivi, con l’indice VIX che si è mantenuto tra 20 e 25, dopo aver raggiunto un picco di 80 a marzo. Attualmente, la pandemia sta riprendendo vigore più o meno ovunque; tuttavia, non sembra che mercati se ne stiano preoccupando molto, dato che il sistema sanitario non è al collasso, il distanziamento sociale è ormai largamente praticato e sta crescendo la speranza di vedere un vaccino in tempi brevi. Gli investitori hanno potuto dunque godersi l’estate, con l’azione delle banche centrali che ha efficacemente tranquillizzato i mercati e movimenti minimi anche dal punto di vista dei tassi di cambio. In uno scenario così monotono, ci sono però tre asset class che si sono distinte e a cui è bene dedicare un’analisi più approfondita.

Il settore tech

La prima di queste asset class è la tecnologia, e in particolare le azioni delle grandi imprese tech americane. Per la prima volta nella storia una società, Apple, ha superato i 2 miliardi di dollari di capitalizzazione: la sua attuale capitalizzazione sul mercato è pari a quasi l’85% del PIL francese. Il prezzo delle sue azioni è raddoppiato rispetto a marzo, e altre imprese note nel settore del tech hanno registrato performance simili. La crescita degli indici azionari è impressionante, ma in realtà nasconde un grande divario tra un settore e l’altro. Lo S&P 495, ossia lo S&P 500 escluse le cinque imprese con maggiore capitalizzazione di mercato (Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon e Facebook) sarebbe cresciuto solamente del 23%, mentre l’indice S&P 500 vero e proprio ha guadagnato il 55%; in altre parole, le azioni di queste cinque imprese hanno guadagnato 4.800 miliardi di dollari in capitalizzazioni da quando il crollo del mercato si è arrestato, contro i 3.800 miliardi registrati da tutte le altre 495 imprese che compongono l’indice.

Ci sono sempre stati settori dominanti nel mercato azionario, ma stavolta la concentrazione è estremamente alta, con cinque azioni che da sole costituiscono il 25% del valore complessivo dell’indice. Ricordiamo che il rapporto prezzo-utili (P/E ratio) del 2020 di questi cinque titoli è pari a quasi 40, mentre quello stimato per il 2021 è 32; si prevede cioè che il prossimo anno i profitti di queste imprese cresceranno in aggregato di oltre il 20%. Proprio qui risiede la grande differenza con la tech bubble del 2000: queste imprese sono decisamente redditizie.

Per il momento, i fattori favorevoli ai titoli growth, e in particolare ai titoli tecnologici, sono ancora presenti e il loro andamento di mercato riflette la capacità di creare robusti flussi di cassa in una situazione di bassa crescita.

Tuttavia, a seguito di una tale performance, il rischio di una eventuale correzione non dovrebbe essere sottovalutato, e anche il più piccolo elemento di disturbo in questo segmento potrebbe innescare un processo di assestamento dell’intero mercato azionario. Nel frattempo, il settore industriale (automotive, aerospazio, etc.), quello finanziario e quello energetico stanno diventando sempre più marginali negli indici; lo dimostra l’esclusione di ExxonMobil, uno dei titoli storici del mercato USA, dall’indice Dow Jones.

Ci sono ragioni oggettive dietro l’arretramento di questi settori ‘tradizionali’. Ad esempio, il trasporto aereo potrebbe essere danneggiato per diverso tempo dal maggiore utilizzo delle videoconferenze, e dal fatto che viaggiare in aereo è considerato sempre più “politically incorrect”. Allo stesso modo, nell’automotive i motori a combustione interna sono sempre più stigmatizzati. D’altro canto, un’azienda come Tesla ha una capitalizzazione di mercato di circa 400 miliardi di dollari, più di tutto il resto del settore automobilistico. Ciò dice molto sul contesto attuale, perché non ha tanto che fare con la capacità di Tesla di fabbricare automobili, ma piuttosto con il suo rappresentare, per così dire, il “futuro”: veicoli autonomi, esplorazione spaziale, nuovi mezzi di trasporto. Ma “il futuro” può essere prezzato correttamente?

L’oro

Questa estate, il prezzo dell’oro ha segnato un nuovo record e al suo massimo è arrivato a superare i 2.000 dollari l’oncia, segnando un guadagno dall’inizio dell’anno a oggi di quasi il 30%. Sappiamo bene come l’oro e i metalli preziosi in generale siano particolarmente attrattivi in questo scenario economico, in un clima di tassi d’interesse reali negativi. Al tempo stesso, il valore intrinseco delle valute sta diventando problematico poiché si fonda sulla solidità di nazioni mai così indebitate. La fiducia nei titoli di stato è stata messa a dura prova dalla questione della solvibilità dei governi, e gli investimenti “fisici” hanno rappresentato una valida alternativa, tanto più che l’oro è un asset di diversificazione e decorrelato nella costruzione dei portafogli, e può quindi sostituire alcuni titoli di stato all’interno di un’allocazione.

I titoli di stato rappresentano storicamente il porto sicuro per eccellenza, ma dati i bassi rendimenti attuali, non offrono molto potenziale. L’oro offre invece anche riparo dall’inflazione. Detto ciò, dopo la recente performance, il metallo giallo potrebbe entrare in una fase di assestamento, essendo lo scenario positivo già incorporato nel prezzo attuale. In ogni caso, un consolidamento rappresenterebbe un’opportunità per aumentare le proprie posizioni.

Obbligazioni inflation-linked

Pochi investitori negli ultimi tempi si sono interessati a questo ambito e giustamente, dato che il clima sembra quello di una diffusa giapponesizzazione, caratterizzata da crescenti paure di deflazione. Tuttavia, l’inflazione implicita (ossia quella già prezzata nei bond indicizzati) è cresciuta considerevolmente nelle ultime settimane, passando da 1,00% a 1,75% per i bond a 10 anni statunitensi e da 0,20% a 0,75% per i Bund tedeschi a 10 anni. Ne consegue che i bond linked dell’Eurozona, cioè quelli il cui prezzo varia al variare dell’inflazione, hanno guadagnato oltre il 4,5% rispetto ai minimi di questa primavera. Tutto ciò indica che gli investitori si stanno proteggendo da un eventuale aumento dell’inflazione, che è scesa a livelli molto bassi, ma che potrebbe rialzare la testa negli anni a venire per via delle politiche monetarie molto aggressive delle banche centrali. Altri fattori che potrebbero spingere l’inflazione sono il reshoring, i salari più elevati e la ricerca di mano d’opera qualificata.

Lo scenario

Sul fronte economico, gli ultimi dati sono incoraggianti. I mercati stanno prezzando uno scenario ideale di uscita dalla crisi e, incantati dall’idea di onnipotenza delle banche centrali, sembrano sottovalutare i rischi. Tuttavia, la maggior parte degli elementi di questo scenario favorevole sembra che sia già stata scontata.

Pertanto, confermiamo la nostra posizione neutrale nei confronti delle azioni: queste offrono sicuramente dei vantaggi e ottimo potenziale di lungo periodo, specialmente per quanto riguarda i dividendi, ma in caso di una nuova correzione gli investitori non devono ritrovarsi costretti a una brusca inversione di marcia risk off.

Piuttosto, vale la pena tenere da parte della liquidità per cogliere opportunità a prezzi attraenti. In questo periodo dopo i mesi estivi, che è sempre caratterizzato da una maggiore volatilità, suggeriamo di diversificare e bilanciare le proprie strategie, concentrandosi possibilmente su strategie convesse.

 

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