Investimenti, le 5 priorità in attesa di Cop26

Di seguito il contributo di Stéphane Monier, Chief Investment OfficerBanque Lombard Odier sulle priorità e le richieste degli investitori per comprendere e gestire i rischi della transizione climatica e cogliere le opportunità della sfida verso un’economia globale net zero.

Il nostro ruolo in qualità di investitori è comprendere e gestire i rischi della transizione climatica, e cogliere le opportunità. La COP26, la conferenza internazionale sul clima che si terrà dal 31 ottobre al 12 novembre, costituisce un’occasione unica per riunire i protagonisti del settore pubblico e privato al fine di accelerare i progressi per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Di seguito delineiamo le cinque principali aree di intervento.

Gli investitori hanno bisogno di maggiore chiarezza sulla transizione net zero

Se da un lato l’aumento delle temperature globali deve essere limitato entro la soglia di 1,5°C, dall’altro è necessario dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Sei anni dopo la firma dell’accordo di Parigi, si stima che quasi l’80% dell’economia globale abbia obiettivi net zero di diversa natura. Gli investitori richiedono maggior chiarezza su strategie e piani d’azione – compresi gli obiettivi intermedi, l’orientamento della politica e le strategie dell’industria – per raggiungere quest’obiettivo. È essenziale che durante la COP26 vengano fatti dei passi avanti. I trend attuali delle emissioni non sono in linea con gli impegni dei governi, e il percorso dell’economia reale è ben lontano dal target di 1,5°C. Questo rende difficile allocate del capitale su scala in un’ottica “net-zero”. Governi, industria, regolatori e investitori devono collaborare per assicurare un adattamento graduale e un riprezzamento degli asset per evitare che si verifichino degli shock che potrebbero minacciare la stabilità finanziaria. Solo per quanto riguarda i rischi climatici fisici, come inondazioni e incendi, si stima che ci sia un deficit di copertura assicurativa pari a 227 miliardi di dollari. L’uso da parte del Messico di capitale pubblico e privato per assicurare la barriera corallina dai danni causati dalle tempeste è una scelta incoraggiante. Anche le industrie devono impegnarsi a fissare obiettivi basati sulla scienza, che dovrebbero essere sostenuti da importanti politiche e regolamentazioni. Questo fattore, a sua volta, aiuterà gli investitori a prendere decisioni informate su quali aziende investire. Un ottimo esempio ci viene fornito dall’industria automobilistica. Oggi, l’economia dei veicoli elettrici (EV) sta trainando la transizione dell’industria, ma i sussidi governativi e i divieti alla vendita delle auto a benzina si sono dimostrati un importante catalizzatore. In Norvegia, ad esempio, queste iniziative hanno fatto sì che le vendite dei veicoli elettrici nel 2020 ammontassero al 54% nel 2020.

Focus sull’energia e sulla rimozione dei sussidi ai combustibili fossili

La transazione verso un mondo a zero emissioni nette è più urgente che mai nel settore dell’energia. Secondo le stime della Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), le rinnovabili devono fornire il 90% dell’energia globale entro il 2050. Eppure oggi i combustibili fossili rappresentano l’84% totale. Sono stati fatti dei passi avanti, ad esempio più di un terzo dell’elettricità globale proviene ora da fonti rinnovabili, ma è più difficile modificare le dinamiche nel settore dei trasporti e degli impianti di riscaldamento (grafici). Rimuovere i sussidi ai combustibili fossili e offrire incentivi sui prezzi delle nuove tecnologie sono le priorità assolute della COP26. I recenti picchi dei prezzi dell’energia possono guidare gli investimenti nelle energie alternative, ma dimostrano anche quanto potrebbe essere destabilizzante il passaggio dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. In Europa, i piani per estendere le tasse sul carbonio anche sulla benzina e sui sistemi di riscaldamento hanno incontrato una forte opposizione da parte di coloro che temono che questo possa portare a una maggiore scarsità di carburante. La transizione energetica deve proteggere le fasce più vulnerabili della società, dato che spesso i sussidi sostengono coloro che hanno i redditi più bassi. Ecco perché le partnership tra settore pubblico e privato possono aiutare a finanziare e ridurre il rischio gli investimenti a lungo termine, anche nelle infrastrutture verdi, nell’idrogeno pulito e nello stoccaggio di energia. Nel Regno Unito, i contratti per differenza sul prezzo del carbonio hanno aiutato a far crescere il settore delle energie rinnovabili. Nel frattempo, gli stress test delle banche centrali dovrebbero far emergere le istituzioni con un’alta esposizione ai combustibili fossili e la concentrazione del rischio, con le agenzie di rating sostengono la trasparenza. Fondamentalmente, gli investitori devono finanziare le aziende nelle industrie attive nella transizione, non solo quelle nei settori che presentano già basse emissioni di carbonio. È incoraggiante che le valutazioni delle aziende riflettano sempre più le loro credenziali climatiche. Otto anni fa, ExxonMobil era l’azienda di maggior valore al mondo; a settembre 2021, era scesa al 35° posto, mentre NextEraEnergy, società di energia rinnovabile, in pochissimo tempo aveva già superato il colosso americano nel 2020. 

Migliorare i sistemi di fissazione del prezzo del carbonio

La COP26 dovrebbe promuovere un prezzo equo del carbonio come strumento cruciale per far progredire la decarbonizzazione. Ad oggi, il FMI stima che l’80% delle emissioni globali non sono prezzate. I meccanismi nazionali e regionali di scambio del carbonio offrono solo una copertura frammentaria. Solo a luglio di quest’anno la Cina ha iniziato lo scambio di carbonio in alcuni settori industriali selezionati, con il prezzo del carbonio equivalente a circa 6,5 euro per tonnellata. La Banca Mondiale ha sottolineato che i prezzi devono essere più vicini ai 100 euro a tonnellata per iniziare a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e, nella maggior parte degli scenari, dovrebbero continuerebbero a salire man mano che le emissioni rimanenti diminuiscono e diventano più difficili da ridurre. Il sistema europeo di scambio delle emissioni, uno dei più avanzati al mondo, cede un gran numero di quote, in particolare nel settore dell’aviazione. Le tasse nazionali sul carbonio sulle importazioni possono aiutare con il “carbon leakage”, oppure spingere trasferire le attività ad alta intensità di carbonio offshore, però restano delle alternative poco considerate. A giugno, il FMI ha proposto un’alternativa: un prezzo minimo del carbonio per un numero selezionato di grandi emettitori a livello internazionale, con tassi variabili per i paesi “avanzati”, “ad alto” e “a basso” reddito. Prezzi del carbonio più alti dovrebbero contribuire a incentivare l’innovazione tecnologica, come l’economia dell’idrogeno, e portare a una maggiore attenzione per le attività a basse emissioni di carbonio. I ricavi del commercio del carbonio potrebbero subire una ridistribuzione per aiutare le famiglie a far fronte agli aumenti dei prezzi dell’energia e finanziare il percorso di mitigazione del rischio climatico.  

Quadri di investimento comuni, per mobilitare il capitale privato

Il capitale totale dei firmatari dei Principi di Investimento Responsabile delle Nazioni Unite ammonta a 120 trilioni di dollari, eppure non esiste un quadro standardizzato su come investire in modo sostenibile, né per definire i prodotti finanziari sostenibili. I regolatori stanno cercando di standardizzare il settore, attraverso la tassonomia UE e la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) in Europa, che però presentano dei limiti. Gli attuali approcci di investimento adottano diverse strategia, dalle esclusioni ai criteri ESG (ambientali, sociali e di governo), e misure di sostenibilità più in generale. Per noi di Lombard Odier le metriche ESG rappresentano un punto di partenza per valutare le pratiche commerciali storiche delle aziende. Inoltre, ci concentriamo su misure di lungo periodo che esaminano i modelli di business e valutano il “climate value impact” (CVI), ovvero i rischi fisici, di transizione e di responsabilità che le aziende devono affrontare nel corso della transizione climatica. Il nostro principio guida nell’allocation del capitale è l’esposizione finanziaria legata al clima piuttosto che un focus sulle aziende a basse emissioni di carbonio. Le nostre metriche di Implied Temperature Rise (ITR) analizzano se le strategie di decarbonizzazione delle aziende sono sufficienti a mantenere i budget globali di carbonio entro i limiti necessari per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Cerchiamo quindi di investire non solo in fornitori di soluzioni green e aziende meno interessate dalla transizione, ma anche in aziende in settori ad alta emissione e rilevanti dal punto di vista climatico che hanno avviato dei percorsi di decarbonizzazione tangibili. Definiamo queste aziende “ice cubes”, con un CVI positivo, e saranno determinanti per raffreddare l’economia.

Cerchiamo di evitare quelli che definiamo “burning logs”, ovvero le aziende ad alte emissioni che non presentano piani per la transazione energetica e, di conseguenza, presentano un CVI negativo. Questo approccio si basa ulteriormente sulle raccomandazioni della Taskforce on Climate-Related Financial Disclosures (TCFD) Portfolio Alignment Team che mette in evidenza le metriche di allineamento del portafoglio, ITR inclusi. Ci piacerebbe che durante la COP26 venissero sottolineati gli sforzi per adottare queste raccomandazioni a livello globale, e per incoraggiare le società d’investimento a lavorare con esperti in tema climatico per sviluppare e testare i loro modelli, come già facciamo noi in-house e attraverso la nostra partnership con l’Università di Oxford. Una maggiore standardizzazione aiuterebbe anche a risolvere i problemi di “greenwashing” del settore. Con ingenti afflussi nei fondi ESG e gli investitori che mettono sempre più in discussione le metodologie sottostanti, sarebbe davvero poco auspicabile assistere a una calo della fiducia, fattore che rappresenterebbe un rischio, non solo per il settore ma anche per la transizione climatica. La trasparenza e gli standard comuni, come quelli che la TCFD sta cercando di offrire, sono la soluzione più ovvia.

Un focus sulla natura

Il cambiamento climatico – il tema centrale della COP26 – è solo una delle nove funzioni planetarie basate sulla scienza che delineano l’“ambiente operativo sicuro” dell’umanità. Accoglieremmo favorevolmente la definizione di road map, obiettivi industriali e percorsi di investimento più chiari per affrontare queste sfide, tra cui la deforestazione, la salvaguardia della biodiversità e la lotta contro l’acidificazione degli oceani. Solo nella biodiversità, il 68% delle popolazioni animali sono scomparse negli ultimi 50 anni, con perdite per l’ambienta naturale che aumentano il rischio di trasmissione di trasmissione di malattie dagli animali, come appunto il Covid-19 e che minacciano la nuova pipeline di sviluppo di nuovi farmaci (in gran parte derivata dalla natura). La COP26 potrebbe essere un’opportunità per discutere come imporre un prezzo equo all’uso delle risorse naturali e per promuovere lo sviluppo di soluzioni per il clima basate sulla natura. Queste soluzioni, tra cui l’agricoltura e la silvicoltura, sono il mezzo più potente per catturare la CO2 rimanente che emetteremo ancora in un mondo a zero emissioni nette. Esplorare le possibilità per sviluppare queste soluzioni di investimento – per esempio vendendo crediti di carbonio a coloro che cercano di compensare le emissioni e usando le foreste come pozzi di assorbimento del carbonio – è una priorità assoluta per politici, industria e investitori.

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