L’emergenza climatica è ormai un’evidenza di fatto contro cui scontrarsi, da tenere in considerazione. Boris Johnson, all’apetura dei recenti lavori della Cop26, aveva dichiarato che sarebbe stato il settore privato a fare da protagonista nella lotta contro il riscaldamento globale.
Sorvolando sul tono manlevato del premier inglese, vero è che gli Stati non potranno di certo con la sola forza dell’Ue e dei contribuenti ad arginare l’attività inquinante. Raggiungere il net zero, il punto di carbon neutrality, è un obiettivo che dev’essere perseguito su un doppio binario: pubblico e privato assieme. Sia per una questione di dispendio energetico, sia di tempistiche.
Ed è dello stesso avviso Roberto Bartolomei, Head of Global Markets THEAM Quant Fund Sales di Bnp Paribasb che sottolinea l’importanza dell’iniziativa privata proprio a ridosso dell’apertura dell’incontro Climate Impact di Theam.
Lo scenario
Tesi sostenuta anche dai dati raccontati da Simone Gallo, Managing Partners di Mainstreet Partners. La panaromaica attuale del Carbon Offsetting parla chiaro. Nell’ottica di una visione geopolitica globale, ancora una volta è l’Europa ad accellerare sulla questione della sostenibilità, alle spalle Usa e ancora dietro il resto del mondo. L’incremento è riscontrabile negli ultimi tre anni, poco dopo il summit 2015 a Parigi.
C’è da ammettere che rispetto alla longevità del dibattito (che parte nel 1992 con la Cop di Rio, passando per Kyoto e giù fino a Parigi e Glasgow) i risultati sono modesti, ma qualcosa si muove. Basta pensare, sostiene Gallo, che negli ultimi 12 mesi “la sostenibilità è diventata un tema da affrontare” a viso aperto. Spinti da una tripla crisi (sanitaria, economica, climatica) anche molti brand hanno definitvamente messo l’intero passo oltre la soglia della sostenibilità. Volvo, Adidas, Orsted, Enel annunciano obiettivi a zero emissioni per il ventennio 2030-2050, per esempio. Ai posteri l’ardua sentenza, ma intanto la mossa dichiarata in modo deciso gioca un ruolo importante nella sensibilità generale, di investitori e non.
I drivers del cambiamento secondo l’analisi di Gallo sono stati sostanzialmente quattro: prima l’attenzione dei gestori e degli investitori, dopo il regolamento della normavità e la sensibilità della società. Secondo la ricerca di Pricewaterhouse Group solo nel 2020 sono 5.500 mld gestiti in fondi ESG. Dalla fine 2020 alla fine 2021, dopo quasi un anno esatto, le masse gestiste con integrazioni ESG sono ben 4mila miliardi.
Insomma un’accellerazione importante che fa ben sperare.
In questo scenario va premesso che la normativa è in continuo cambiamento. E nel 2022 è attesa una nuova tassonomia che aiuti a definire cosa sia ESG, scongiurando il rischio del greenwashing. Rischio che si accumula al rischio delle controversie Esg (per PWC le aziende che hanno sostenuto controversie Esg hanno avuto una involuzione produttiva in due anni del 12%), rischio reputazionale e allineamento alla regolamentazione.
La stessa PWC in ogni caso guarda con ottimismo al futuro poiché il cambiamento è atteso adesso nell’ambito del Private.
Le soluzioni
“Le soluzioni Carbon Offset Plan della gamma THEAM Funds e la loro capacità di fornire un focus lungimirante sulla transizione energetica, per il raggiungimento della neutralità del carbonio”, come si legge nella nota, sono gli strumenti che servono in questo momento per far sì che il privato possa veramente far parte del cambiamento.
“THEAM Quant Funds” è il nome generico dato alle soluzioni di Bnp Paribas composto da fondi sistematici, mirati e costruiti con l’intento di implementate principalmente nella SICAV THEAM Quant UCITS. Nel portfolio, come racconta Karen Laure Mrejen, BNP Paribas Global Markets Credit Specialist, dopo una profonda azione di scrematura, includono anche ETF, FCP francesi e conti segregati. Il THEAM Equity Carbon Offset Plan Funds, come affermano Alice Lovebruck, BNP Paribas Global Markets Sustainable Solutions Officer e Andrea Bachian, BNP Paribas Global Markets Sustainable Equities Specialist, offre all’investitore fondi che rispettino l’art.9 dell’SFDR e la categoria 1 di AMF. Il fondo non cerca prodotti low carbon, ma carbon neutral per ridurre al massimo la carboon footprint.