Fondi pensione, i primi sei mesi dell’anno abbattono il rendimento

I primi difficili mesi del 2022 hanno messo a dura prova i rendimenti decennali dei fondi pensioni italiani. Come scrive Affari&Finanza di Repubblica, a causa del conflitto in Ucraina, dell’inflazione e del rialzo dei tassi, il rendimento medio annuo è sceso del 24% per il complesso dei fondi chiusi, passando dal 4,1% del decennio che è terminato il 31 dicembre scorso al 3,1% dello stesso decennio più l’ultimo semestre, chiuso a giugno 2022. Per i fondi aperti, invece, la discesa è stata dal 4,6 al 3,4% medio annuo, con un meno 26% di rendimento medio annuo.

La stessa sorte è toccata anche ai nuovi Pip assicurativi unit linked, passati dal 5% al 3,7%; più resilienti , invece, i nuovi Pip delle gestioni separate, passati dal 2,2 al 2,1.5
In questa situazione, però, si registra la rimonta del Tfr che, forte della spinta data dalla ripresa dell’inflazione, è passato dall’1,9% medio annuo al 2,2 per i dieci anni e mezzo appena trascorsi.

Una resistenza più forte si registra nei fondi pensione con una maggiore quota di azioni, dagli azionari ai bilanciati. Tra questi, nota di merito ai negoziali e a quelli aperti: i primi con tassi di rendimento annuali rispettivamente, per bilanciati e azionari, del 3,6 e del 5,6%; i secondi con il 3,8 e il 5,6. Flop invece dei bilanciati tra i Pip, scesi al 2,5% medio annuo, mentre gli azionari sono al 5,4%. In generale, però, hanno tutti perso oltre il
20-25% di rendimento medio annuo decennale rispetto a fine anno.

In ambito finanziario, questi primi difficoltosi mesi si sono brutalmente abbattuti sui fondi pensione. Verrebbe da chiedersi se i gestori abbiano davvero messo in atto tutte le contromisure possibili per ridurre l’impatto
di questi avvenimenti avversi.

“Per la prima volta dopo 40 anni, negli ultimi sei mesi i listini azionari sono scesi in media intorno al 15%” – ha commentato Francesco Di Ciommo, prorettore della Luiss e presidente di Previndai, uno dei fondi pensione preesistenti alla riforma. “Allo stesso tempo anche i titoli obbligazionari hanno perso valore, mentre i tassi d’interesse salivano e l’inflazione cominciava a galoppare. Tutto questo non poteva non avere un effetto sugli investimenti finanziari dei fondi pensione”.

I mercati prima o poi torneranno a salire e, come ha affermato Maurizio Agazzi, direttore generale del Fondo Cometa, “abbiamo superato tante crisi, succederà anche per questa”.
La difesa lascia tuttavia aperta una questione fondamentale:i gestori poteva essere più pronti nel parare i colpi?
“La velocità di cambiamento dello scenario ci ha dato un avvertimento importante, cioè che i gestori dovrebbero essere un po’ più tattici, creativi e dinamici” ha detto Andrea Lazzerini, responsabile investimenti di Intesa Sanpaolo Vita.

I fondi pensione sono però strumenti a lungo termine, e quindi in generale meno dinamici e più conservativi, sopratutto nel nostro Paese. A rendere ingessato il sistema italiano ci sono le lungaggini burocratiche relative ai contratti con i gestori, che non possono essere rimossi prima di 5 anni. “Bisogna velocizzare i processi di entrata e uscita dei gestori” ha ammette Agazzi. “Dalla preparazione di una gara all’effettiva partenza, passa effettivamente troppo tempo, anche più di sei mesi, e nell’ultimo semestre, come si è visto, lo scenario è del tutto mutato. Inoltre, il fatto che io mi leghi a un gestore per 5 anni mi rende meno efficiente”.

Ma a complicare le cose ci sono anche altri fattori, come il fatto che il board dei fondi non abbia in generale la stessa preparazione finanziaria di quelli delle assicurazioni. Per queste, un decreto del maggio 2022 prevede requisiti molto stringenti. Mentre un analogo decreto per i fondi pensione del giugno 2020 permette anche a chi ha fatto un corso di sole 300 ore di potersi definire esperto in finanza, forse per consentire ai rappresentanti sindacali di essere nel board.
La relativa debolezza del board sfocia quindi anche nella necessità di rivolgersi ad advisor per la scelta dei gestori, e molto spesso anche per la redazione degli stessi contratti, delegando di fatto più del necessario.

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