Bnp Paribas Ip: un po’ di nervosismo sui mercati, ma niente panico malgrado i rischi

UN PERIODO DI GRANDI EVENTI – Negli ultimi tempi gli eventi di rilievo non sono mancati, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. Gli indicatori prospettici basati sulle dichiarazioni dei responsabili degli acquisti delle imprese segnalano una crescita robusta nella aree avanzate e – in misura minore – nei paesi emergenti. In Australia, il mercato degli immobili residenziali mostra segnali di rallentamento, facendo salire le probabilità di un taglio dei tassi a breve, mentre la banca centrale del Brasile ha tagliato il costo del denaro in linea con le attese. Infine, l’OPEC ha deciso di ridurre la produzione di greggio, facendone salire il prezzo. Per quanto riguarda la politica, le elezioni presidenziali in Austria hanno portato alla vittoria del candidato europeista, mentre nel referendum tenutosi in Italia, la proposta di riforma istituzionale è stata rigettata dagli elettori con una percentuale maggiore rispetto ai sondaggi della vigilia. Nei primi momenti, dopo la vittoria del ”No”, c’è stata una lieve flessione dell’euro e degli indici azionari, un ampliamento degli spread e un rialzo dei rendimenti obbligazionari, ma i mercati hanno rapidamente recuperato. I nostri analisti ritenevano poco probabile che un esito negativo del referendum avrebbe potuto innescare un’ondata di vendite, ma le deboli prospettive di crescita, la battuta d’arresto delle riforme e la fragilità del settore bancario non fanno ben sperare per l’Italia. I mercati finanziari hanno mostrato una certa volatilità nelle prime ore di lunedì. Tuttavia gli indici azionari hanno perso terreno già la settimana scorsa per la prima volta dopo le elezioni presidenziali negli USA, man mano che si affievolisce l’entusiasmo per la spinta alla crescita che dovrebbe venire dai nuovi incentivi fiscali. Nel complesso, tuttavia, la volatilità dei listini azionari è stata limitata, mentre i mercati obbligazionari hanno registrato tensioni più accentuate.

PMI: MIGLIORAMENTO NEI PAESI AVANZATI – A novembre, l’indice PMI manifatturiero globale ponderato per il PIL elaborato dai nostri esperti è salito di 0,3 punti attestandosi a quota 52,5, ossia al livello più elevato dal settembre 2014: questo dato non suggerisce che l’economia globale si stia lasciando alle spalle la crescita, tuttavia almeno la dinamica di fondo è diventata positiva. In particolare nelle economie avanzate, gli indici PMI sono migliorati negli ultimi tre mesi ed hanno guadagnato terreno, sebbene in misura minore, anche nei paesi in via di sviluppo. Il divario si è ampliato a causa di un PMI ancora fiacco in Cina e della perdurante debolezza in Brasile e Corea del Sud, mentre il PMI del Messico ha accusato una flessione dopo il risultato delle elezioni presidenziali negli USA. I PMI del settore dei servizi hanno mostrato una divergenza analoga, con una dinamica positiva generalizzata nelle economie avanzate e i paesi emergenti in ritardo. Tuttavia, tale andamento è stato pesantemente condizionato dal brusco calo del PMI dei servizi in India, sceso a quota 46,7, il livello più basso dal dicembre del 2013. La flessione pare riconducibile alle misure di demonetizzazione2 adottate in India: il governo, infatti, ha improvvisamente ritirato dalla circolazione le banconote da 500 e 1.000 rupie: questi tagli rappresentano il 98% delle transazioni in contanti per circa 600 milioni di indiani che non dispongono di conti bancari e che hanno incontrato forti difficoltà ad accedere alle filiali ed ai distributori di banconote, rendendo il processo di sostituzione abbastanza caotico, aggiunge van Leenders.

POLITICHE MONETARIE DIVERGENTI – Negli Stati Uniti, i dati macroeconomici non sono stati particolarmente vivaci, ma nemmeno negativi. La crescita dei nuovi impieghi ha mostrato un lieve rallentamento, che non dovrebbe sorprendere dato che il mercato del lavoro si sta avvicinando alla piena occupazione. Il tasso di disoccupazione è sceso al 4,9% – il livello più basso dall’agosto del 2007 – ma ciò è parzialmente riconducibile a un fattore negativo: ovvero, il calo del tasso di partecipazione. Inoltre, tale andamento non è accompagnato dalla crescita dei salari. Ad ogni modo, secondo nostri esperti i dati rilevati dall’ultimo rapporto sul mercato del lavoro, sono abbastanza vivaci da consentire alla Federal Reserve di innalzare i tassi già nel corso del mese. Inoltre, varie misure del costo della manodopera sono risultate più robuste rispetto alle retribuzioni orarie medie rilevate dal rapporto sull’occupazione, sottolinea van Leenders. In linea con le attese, in Brasile la banca centrale ha ridotto i tassi di riferimento di 25 punti base, ma dato che i tassi reali si attestano ancora al 5,2% e che la ripresa economica negli ultimi tempi ha segnato il passo, probabilmente il Banco do Brasil dovrà tagliare i tassi ancora più decisamente. A nostro avviso, gli sviluppi internazionali e il recente deprezzamento della valuta brasiliana, hanno impedito alla banca centrale di dare una sforbiciata ancora più incisiva, di 50 punti base. Dopo aver tagliato i tassi già due volte nel corso dell’anno, la banca centrale dell’Australia non dovrebbe intervenire questa settimana. Tuttavia, le licenze edilizie rilasciate a ottobre hanno fatto segnare il minimo dall’ottobre del 2011, mentre il numero dei nuovi cantieri nel terzo trimestre è stato il più basso dal quarto trimestre del 2000. Il rallentamento dell’edilizia residenziale interviene in un contesto caratterizzato da una certa fragilità delle vendite al dettaglio, della crescita salariale e del mercato del lavoro e dunque potrebbe alimentare le attese di un taglio dei tassi, che al momento non sono scontate nelle quotazioni di mercato.

L’OPEC RAGGIUNGE UN ACCORDO – Probabilmente, il risultato più importante dell’accordo sulla produzione di greggio raggiunto dall’OPEC è rappresentato dal fatto che l’organizzazione dei paesi produttori ha sventato il rischio di divenire ininfluente. L’aumento dei deficit di bilancio a livelli insostenibili di alcuni membri dell’organizzazione ha reso assolutamente inevitabile un calo della produzione. L’accordo prevede un taglio di 1,2 milioni di barili al giorno, mentre i paesi che non fanno parte dell’OPEC dovrebbero ridurre la produzione di 600.000 barili. Ad ogni modo, dato che il rispetto dell’accordo – sia da parte dei paesi OPEC che di quelli che non ne fanno parte – non è garantito e che un rincaro dei prezzi potrebbe rilanciare l’estrazione di idrocarburi da scisto, i nostri esperti dubitano che il rincaro del greggio possa perdurare nel lungo periodo, precisa van Leenders.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: LIQUIDATO IL SOVRAPPESO DEI TITOLI INFLATION LINKED – Nel comparto obbligazionario, il gestore ha liquidato la quota restante del sovrappeso dei titoli indicizzati all’inflazione. Come abbiamo scritto la settimana scorsa, a nostro avviso l’effetto base dei prezzi energetici è già stato ampiamente scontato nelle quotazioni, e dato che non si riscontra alcun miglioramento nella dinamica salariale, abbiamo deciso di realizzare gradualmente i profitti maturati su questa posizione. Per quanto riguarda le azioni invece, gli indici azionari dei paesi avanzati hanno accusato la prima flessione dopo le elezioni negli USA. Per il momento, i dati macroeconomici paiono abbastanza solidi, ma sembra che i mercati temano che la situazione possa peggiorare prima che gli incentivi fiscali, o il taglio delle imposte per le imprese o il trattamento fiscale favorevole per il rimpatrio dei profitti abbiano effetti significativi. Infine, il rafforzamento del dollaro, il rialzo dei rendimenti obbligazionari, il rincaro del greggio e la prospettiva di un inasprimento monetario più rapido del previsto (al fine di evitare un’accelerazione eccessiva dei prezzi al consumo tra la fine del 2017 e il 2018), hanno determinato un inasprimento delle condizioni finanziarie negli USA, e ciò potrebbe rendere più difficile il contesto per gli indici azionari, anche a livello internazionale, conclude van Leenders.

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