I gestori ed il piano di Obama

Il recente insediamento dell’amministrazione Obama, ha scatenato una cascata di pareri, più o meno discordanti, sulle prospettive economiche americane e mondiali alla luce degli arcinoti avvenimenti finanziari legati al contesto di crisi attuale. Il mondo del risparmio gestito si domanda quali saranno le reazioni interne al mercato; è la volta di Peter Anderson, CIO US Equities di RCM (gruppo Allianz Global Investors), società specializzata in gestione azionaria globale. La visione sulla questione è originale: in prospettiva, il vero problema potrebbe essere l’aumento del costo del denaro. Facciamo prima un po’ di ordine.

Occorre innanzi tutto chiarire che a dettare la politica economica della nuova amministrazione, saranno gli uomini della vecchia squadra di Clinton: Larry Summers al Consiglio nazionale per l’economia, Tim Geithner al Tesoro e Peter Orszag al Bilancio. Appaiono quindi fuori luogo i pareri secondo i quali la politica economica di Obama porterà rinnovamento già solo per la novità che la direzione Obama stesso rappresenta, in quanto, per l’appunto, la squadra che sarà al lavoro non è certo di “primo pelo”. Tuttavia questo non necessariamente è da considerarsi negativo, tant’è che l’annuncio ha rassicurato gli investitori, favorendo una stabilizzazione dei mercati finanziari dopo il crollo di ottobre/novembre 2008. Passando al piano economico, il pacchetto a sostegno sarà probabilmente superiore a 6.000 miliardi di dollari, da erogarsi nell’arco di diversi anni (grosso modo il 40% del PIL annuale). I punti cardinali che lo compongono sono essenzialmente tre.

Si parte con l’infusione diretta di capitali, fra cui aiuti a istituti finanziari, case automobilistiche e altre aziende. Si tratta di uno stanziamento di oltre 1.000 miliardi di dollari che potrebbe lievitare rapidamente, dal momento che le banche necessiteranno di ripetute iniezioni di capitali, il costo del salvataggio del settore auto è già salito a 125-150 miliardi di dollari e altre aziende hanno chiesto aiuto per far fronte all’implosione della liquidità.

Il secondo punto programmatico è legato ad ulteriori stimoli economici (principalmente fiscali), il cui costo è attualmente stimato in 800 miliardi di dollari ma che quasi certamente supererà i 1.000 miliardi di dollari alla luce del continuo peggioramento della situazione fiscale di diversi stati. Oltre ai contributi ai governi statali, il pacchetto prevede essenzialmente sgravi fiscali e investimenti in infrastrutture. Infine, dovrebbe essere presto annunciato un programma di aiuti ai tanti proprietari di case che vivono l’incubo del pignoramento, quasi certamente con un’ingente spesa pubblica.

Per finire, sono previste garanzie governative sul debito e altre misure volte a restituire liquidità ai mercati. La voce più consistente del pacchetto da 6.000 miliardi di dollari prevede fra l’altro garanzie implicite ed esplicite sul debito di Fannie Mae e Freddie Mac, la stabilizzazione dei commercial paper e l’acquisto di altri titoli di debito del settore privato.

Passando all’analisi, Anderson pone diversi dubbi in riferimento alla questione degli incentivi economici, specialmente in ambito fiscale : “Nel lungo periodo il rischio non è la deflazione, ma l’inflazione. Nei prossimi anni un deficit federale di 1.000 miliardi di dollari sarà probabilmente la norma. La revoca degli stimoli fiscali si rivelerà una mossa difficile dal punto di vista politico. Politiche monetarie e fiscali entreranno in collisione. Le politiche attuali stanno gettando il seme di quella che, fra 3 o 5 anni, sarà la prossima bolla”. Lo scenario che si prospetta sembrerebbe piuttosto problematico se non paradossale; reagire ad una bolla generando un’altra bolla. Per ora, in attesa di ulteriori sviluppi, non resta che applicare l’epochè.

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