Gli hotel sono pronti a ripartire. Grazie ai nuovi investitori

I dati di Jones Lang LaSalle parlano di un mercato alberghiero in calo di circa il 62%. Quali sono a suo avviso le prospettive generali che questo segmento è in grado di offrire?
E’ un momento molto particolare. Ci troviamo in una fase difensiva del mercato dove non si determinano strategie industriali. Oggi chi dispone di equity si pone nella prospettiva di fare buoni deal. 
Alcuni operatori, invece, sono stati spiazzati dal credit crunch. Nel mercato ci sono meno investitori opportunistici, quelli che agivano a leva in fase di mercato molto forti, ma che oggi sono contemplativi. Al contrario, invece, gli investitori istituzionali, che in condizioni di mercato più competitive possono essere meno presenti, sono tornati a investire. In Europa l’asset class dell’alberghiero ha risposto con tempi di inerzia più ampi alla crisi. Il settore ha fatto fatica ad adeguarsi alle nuove condizioni di mercato, ossia una percezione diversa del rischio e un difficile reperimento di debito. Questo ha generato, a mio avviso, due effetti: un rallentamento del mercato, che però da inizio 2008 ha visto un adeguamento dei cape rate e degli IRR. Questo adeguamento dovrà inevitabilmente essere percepito dai venditori, che cambieranno atteggiamento e questo aprirà nuove opportunità, portando alla ribalta figure che hanno sofferto maggiormente in mercati più competitivi. 
E quali sono a suo avviso i mercati alberghieri che hanno sofferto maggiormente?
Ritengo che il mercato dei leisure sia quello che ne abbia risentito maggiormente. Se pensiamo a tutti i grandi resort development in cantiere, si evince che il settore è stato penalizzato. Soprattutto i fondi di private equity hanno sviluppato e valorizzato strutture leisure spesso accompagnate da residenziale. Oggi questa disponibilità alla sviluppo è venuta meno, anche perché le banche valutano con maggiore attenzione il rischio legato allo sviluppo. Molte iniziative infatti sono ancora in fase di valutazione.
Inoltre ritengo che anche i mercati storici abbiano risentito della crisi. Penso alla Spagna, soprattutto all’area Continentale, e anche ad altri mercati come quello dei paesi dell’Est, che inizialmente si pensava potessero tenere, invece abbiamo notato che hanno subito dei forti rallentamenti, soprattutto laddove il rischio percepito è legato alle condizioni economiche generali, come per Polonia o Repubblica Ceca. Ci sono anche mercati che rimangono interessanti, a prescindere dall’attuale situazione geopolitica, come Mosca o Istanbul, area di grande interesse. E poi i soliti appetibili come Amsterdam, Parigi, Monaco, Roma e i mercati scandinavi. 
 
Nelle attuali condizioni di mercato che tipologia di approccio è necessaria, voi che strategia adottate?
In una fase di riflessione come quella attuale è opportuno essere selettivi. A mio avviso la strategia dovrebbe comprendere tre elementi: prestare attenzione ai mercati che hanno fondamentali solidi e seppure si tratti di mercati emergenti che abbiano un track record credibile e piani di sviluppo in equilibrio con il trading performance del mercato. Prima abbiamo citato Istanbul, che è un esempio calzante di ciò che sostengo. La città turca ha mostrato dei livelli di sostenibilità in linea con il mercato ed è un mercato in forte sviluppo che ha bisogne di strutture, dovute anche alla forte richiesta di ricettività turistica, e che si presenta sempre più come il crocevia commerciale tra l’Europa e i paesi mediorientali. E a differenza di altre città come Madrid, Praga e Bruxelles ha mostrato un perfetto equilibrio tra gli sviluppi in campo e il mercato. Un altro elemento che non va dimenticato è l’attenzione verso segmenti di mercati che potrebbero considerarsi secondari, ma che sono in grado di offrire una buona diversificazione di portafoglio, come il segmento dei budget hotel. Infine la selettività va espressa anche in un atteggiamento generale che riguarda sia gli aspetti di reperimento del credito, sia le dimensioni delle transazioni. Meglio concentrarsi su operazioni su singoli asset che su portafogli interi. Infine mantenere sempre una vision industriale. 
 
Sul mercato italiano che osservazioni e riflessioni si possono fare. E’ vero che si caratterizza per un’eccessiva frammentazione rispetto a quello europeo?
Vorrei precisare che non esiste un mercato europeo ma che si sono mercati nazionali e che nell’Europa Occidentale ci sono delle omogeneità che accomuna alcune piazze. Ad esempio Amsterdam e Roma presentano dei comportamenti simili a livello di ciclità e recuperabilità di tali cicli. Di fatto però il mercato italiano non si differenzia solo per la frammentazione, piuttosto direi che la frammentazione rappresenta per gli investitori un ulteriore elemento di interesse per strutturare gli asset. Ossia l’Italia è in grado di offrire delle operazioni con valore aggiunto rispetto ad altri mercati europei proprio a causa della sua frammentarietà. Inoltre se consideriamo le classifiche Roma è sempre ai primi posti, così come Milano ha mantenuto un livello di interesse molto alto. Più in generale possiamo dire che il mercato è fermo nelle transazioni, né più né meno degli altri mercati europei. C’è sicuramente un ritorno degli investitori più conservativi, un ritorno alle strutture lease, rispetto alle forme di management contract che hanno fatto fatica a entrare in Italia.
 
Non solo le forme di management contract, anche alcuni investitori hanno fatto fatica a entrare nel mercato italiano…
Nel mio precedente ruolo avevo riscontrato grande interesse da parte di investitori anglosassoni, anche di matrice americana e australiana, seppure più circonflesso, a investire in Italia proprio attraverso il management contract. Il mercato degli investitori oggi è caratterizzato dagli istituzionali, dagli sviluppatori. Nello sviluppo, ad esempio, c’è una grossa propensione a studiare formule come il management contract, anche se oggi come già sottolineato è prevalente l’interesse verso il lease. 
Gli investitori istituzionali sono tornati in gioco e sono operatori molto più conservatori che hanno un atteggiamento flat. Credo che però i private equity e gli investitori anglosassoni non si faranno attendere a lungo. Inoltre credo che vedremo operare più attivamente anche, oltre alle SGR, anche fondi pensione, casse di previdenza. Inoltre sono convinto che soggetti di dimensioni medio-piccole ritorneranno a operare su transazioni di singoli asset.
Quali sono oggi i rendimenti del settore?
Il panorama è abbastanza diversificato. Il mercato romano e quello milanese sono quelli dominanti, ma anche le città d’arte come Firenze e Venezia restano appetibili. Qui assistiamo a un incremento degli yield in mezzo punto e i valori raggiungono il 5,5 – 6%. 
Per il segmento budget hotel, che citavamo prima, ossia catene 3 stelle, il passaggio di incremento è stato più interessante e si può parlare di oltre il 7% per alcune tipologie. 
 
I vostri progetti quali sono?
Al momento siamo ancora in una fase di studio. Stiamo strutturando all’interno un dipartimento di Hospitality che possa essere di sostegno anche per i fondi generalisti. Stiamo studiando le strategie in linea con quanto previsto dal nostro gruppo BNP Paribas. In linea generale sicuramente siamo interessati al segmento dei 4 stelle, con ottimi fondamentali e in grado di creare valore aggiunto. Guardiamo con interesse anche il segmento dei budget hotel in ottica di diversificazione del portafoglio. A livello geografico non siamo interessati ai leisure. 
E’ un settore che potremmo guardare più in là, magari con un nuovo fondo. Per il segmento dei city hotel non guardiamo sole alle classiche piazze di Milano e Roma, ma cercheremo di cogliere le opportunità che provengono anche dagli
altri capoluoghi di provincia. 


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