La corsa contro il tempo di un’ipo impopolare

Il grande flop del collocamento di Sea mi ispira un paio di cattivi pensieri. 
Il primo riguarda la convivenza difficile tra pubblico e privato già sperimentata in altri casi, a partire da Enimont. È ormai evidente che la pretesa di quotare società a maggioranza pubblica con il solo obiettivo di rastrellare quattrini dal mercato presenta grossi limiti. Nel caso la gestione resti in mano pubblica, ovvero ai manager scelti dalla politica, non si capisce in cosa consistano i poteri della minoranza privata. Occorre raccogliere quattrini per gli investimenti? Meglio, in termini di trasparenza e di efficienza economica, ricorrere a emissioni obbligazionarie.
Assai pericoloso, invece, “stressare” il dividend yield promesso ai soci di minoranza (come nel caso di Sea): non si capisce perché si voglia vendere uno strumento di rischio, ovvero un’azione, presentandola come un “quasi bond”.
Sono sempre più convinto che la ripresa italiana possa partire solo da una seria e robusta campagna di privatizzazioni. Purché sia vera e non di facciata, come nel caso di tante utility comunali, provinciali o regionali, che servono solo a moltiplicare i posti in cda per politici in libera uscita o a distribuire fior di consulenze.
A proposito di consulenze e perizie, non posso fare a meno di notare l’ennesima bizzarria. Un anno fa, il Fondo F2i, strano animale “ibrido”, privato ma partecipato dalla Cdp, ovvero da Fondazioni e ministero dell’Economia, ha comprato il 29,5% di Sea per un valore complessivo dell’azienda, certamente supportato da perizie, di 1,3 miliardi. L’offerta della Sea in Borsa, un anno dopo, sulla base di altre perizie, ha valutato la società tra gli 800 milioni e il miliardo. Ma si sa che, per salvare in extremis l’operazione, le banche hanno premuto per uno sconto ulteriore. Insomma, nel giro di 12 mesi la valutazione di Sea è scesa di un buon 40%. Anzi di più, visto che l’affare non è andato in porto, sottoponendo Piazza Affari all’ennesima, stavolta immeritata, brutta figura. A questo punto, è d’obbligo chiedersi: hanno sbagliato i periti nel 2011 o i periti di oggi? L’operazione di Borsa è stata piegata a interessi che poco o nulla hanno a che vedere con quelli dei soci di minoranza.
O con lo sviluppo della società. Un anno fa, il Comune di Milano si è preoccupato di massimizzare l’introito senza mettere bene in chiaro con F2i le regole di governance e gli obiettivi industriali. Oggi la necessità di chiudere l’ipo entro l’anno si spiega solo con la fame di quattrini della Provincia, impegnata a evitare, a ogni costo, di sforare il tetto previsto dal patto di stabilità. Spiegato così il motivo di un bando lampo della Provincia per vendere la propria quota Sea. Se interverranno veri compratori capiremo anche il vero valore della società. Una preoccupazione virtuosa, direte voi. Assolutamente d’accordo. Basta ricordare che, ai sensi della nuova legge, gli amministratori che sforano il tetto non potranno ripresentarsi alle elezioni.
Capite perché la Provincia vuole correre in fretta ai ripari?

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