COME TUTELARSI – "L'unica cosa chiara in questa vicenda è che non c’è nulla ancora di veramente chiaro. I dati che parrebbero certi si sovrappongono a ipotesi, voci, supposizioni, quando non falsità, in una girandola di sorprese e apparizioni più o meno sconvolgenti. Può dirsi comunque assodato che la gestione non sia brillata per trasparenza e che alcuni aspetti, se confermati, si rivelerebbero assai inquietanti. Comunque diffido da chi ritenga di poter già trarre un bilancio preciso". Questa è l'idea che si è fatto Emilio Girino, avvocato e partner dello Studio Ghidini, Girino e Associati, docente Cuoa Finance ed esperto in diritto dei mercati finanziari e in contrattualistica derivativa.
Gli azionisti, che per definizione partecipano al capitale di rischio di una società, hanno strumenti per tutelarsi da soli?
L’unico reale strumento sarebbe un’azione di responsabilità contro gli amministratori, ma il singolo azionista non può far nulla da solo perché la legge richiede il possesso di un quorum minimo di capitale sociale. Peraltro, l’avvio di un’azione di responsabilità presuppone l’acquisizione di elementi fattuali e probatori e, come dicevo, allo stato il quadro è ancora troppo confuso.
Vendere le azioni è consigliabile?
Si tratta di una soluzione istintiva – la più istintiva – ma al momento è la scelta peggiore, non farebbe che rendere definitiva la perdita.
Stesso discorso per gli obbligazionisti?
L’obbligazionista è in una posizione giuridicamente migliore, in quanto non è socio bensì creditore della banca. Allo stato, la svalutazione è virtuale, nel senso che si consoliderebbe solo attraverso la cessione del titolo. Quanto al rimborso, lo stesso è garantito a scadenza tranne nell’ipotesi di una messa in liquidazione coatta della banca. Scenario questo che, per ora, non parrebbe realistico anche in considerazione dell’intervento di sostegno procurato dai cosiddetti Monti bond.
Chi sono i più danneggiati, dal suo punto di vista?
Per ora i contribuenti e i creditori dello Stato. Anche se non può condividersi l’equazione automatica fra i 4 miliardi del gettito Imu e i 3,9 dei Monti bond, dato che questi non sono una graziosa elargizione bensì un prestito oneroso, l’esborso immediato dello Stato in termini monetari è comunque reale. Né può escludersi che questo temporaneo “ammanco di cassa”, compensato da un credito che non è certo venga rimborsato, possa provocare scompensi non sanabili se non con ulteriori prelievi. A tacer del fatto che questo “svenamento” compromette ulteriormente la capacità dello Stato di far fronte ai debiti verso le imprese private.
Secondo lei, è possibile che si vada verso la nazionalizzazione di Mps?
Non ci scommetterei nell’immediato, ma è un’eventualità per niente irrealistica nel medio periodo, anche perché i bond in questione sono titoli convertibili. E poi è una “retromarcia” a cui il resto dell’Europa non è alieno. Solo il primo febbraio l’Olanda ha nazionalizzato Sns Reaal, la sua quarta banca.
I correntisti, che comunque sono tutelati dal Fondo, devono avere paura?
I correntisti godono, fino a poco più di 103.000 euro a posizione, della protezione del Fondo interbancario che a sua volta potrebbe diventare incapiente solo in caso di un crollo massiccio del sistema bancario italiano, cosa che mi sentirei di escludere fermamente.
Hanno un senso le class action di cui si sta parlando in questo momento?
La class action sta diventando un mito emozionale. Contrariamente a ciò che si crede non è affatto semplice intentarla, il suo esito non è scontato e la si può promuovere solo contro l’impresa, cioè la banca, la quale è la prima danneggiata e con essa i suoi azionisti. Potrebbe paradossalmente rivelarsi un boomerang. In ogni caso, l’iniziativa è prematura. Semmai, la banca stessa potrebbe fare qualcos’altro.
Per esempio?
Per esempio guardar dentro a questi paurosi derivati che sembrano aver funto da detonatore. Anche se stipulato fra controparti qualificate, il derivato deve conservare intatta la sua natura aleatoria e non essere inquinato da costi occulti o altri additivi tali da alterarne il rischio naturale. Siamo certi che quei derivati siano regolari? Nessuno meglio del nuovo management, disponendo di tutte le carte e con l’ausilio di validi esperti, potrebbe sincerarsene e valutare seriamente la possibilità o meno di contestarne la validità. Non è un’ipotesi da bocciare a priori perché è una casistica molto più frequente di quel che si pensi: è di qualche giorno fa la notizia che la Fsa (la Consob inglese, n.d.r.) starebbe accertando l’irregolarità di molti derivati conclusi da banche britanniche. Parrebbe che nove su dieci siano offside.