Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi: “Quest’anno possibili 10-15 ipo”

Si è parlato spesso della debolezza di capitalizzazione delle società di quotate a Piazza Affari e dei pochi sbarchi in Borsa durante l'anno. Riportiamo di seguito l'intervista a Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana, apparsa sull'ultimo numero di Affari&Finanza, l'inserto settimanale di Repubblica sui progetti futuri della società e del nuovo progetto Elite.

MILANO – Se tutto andasse bene, nel 2013 potremmo vedere tra le 10 e le 15 Ipo in Piazza Affari. Si tratta soprattutto di aziende attive nel settore della moda, del lusso e del lifestyle. Un comparto dove si riscontrano i migliori risultati industriali". Sembra cautamente ottimista Raffaele Jerusalmi, ceo di Borsa Italiana. "Certo, occorre superare questa fase di incertezza elettorale, ma servono anche altre cose".

Che cosa, esattamente, dottor Jerusalmi?
Non c’è solo l’incertezza italiana, che durerà fino al prossimo 25 febbraio. C’è anche quella, più generale, legata al fiscal cliff americano. O alla tensione latente in paesi vicini all’Europa come Egitto, Siria e Turchia.

Sicuro che l’incertezza italiana durerà soltanto fino al giorno dopo le elezioni?
Gli investitori internazionali temono soltanto che in Italia possa ripresentarsi un quadro di instabilità. La cosa importante, per il nostro paese, saranno stabilità e governabilità.

Parliamo delle possibili Ipo. Tra queste aziendea cui lei pensa ce ne sono alcune che conoscete meglio di altre?
Sì, penso che almeno cinque potrebbero venire dal bacino del nostro progetto Elite, che si propone di accompagnare alla crescita anche internazionale le piccole e medie imprese. Ad aprile il nostro progetto arriverà a coinvolgere un centinaio di aziende. Oggi la diversificazione geografica è un must per le imprese, non una semplice alternativa. Ma per attuare questa strategia, che prevede una crescita per acquisizioni, occorrono soldi, da raccogliere in Borsa certo, quando possibile, ma anche attraverso fondi di venture capital o di private equity. Come si sa con questo progetto accompagniamo molte aziende lungo questo percorso.

Ma con il progetto Elite in fondo è la stessa Borsa che rinuncia a far quotare le aziende trovando per loro percorsi alternativi. Non è strano?
No. La quotazione nel progetto Elite è una delle alternative possibili per le imprese. Non l’unica. La crisi delle quotazioni è un fenomeno mondiale, anche se in Italia è stata particolarmente forte visto che nel 2012 si è quotata solo un’azienda. Il numero delle società che sono andate in quotazione si è però fortemente ridotto anche negli Usa e nel regno Unito, le piazze di solito più vivaci.

E tutto questo come si spiega?
Il numero delle società che si quotano in Borsa è un fenomeno ciclico. I megacicli economici giocano un ruolo. Non bisogna dimenticare che nelle economie mature, in assenza di una forte crescita del Pil, le matricole tendono a ridursi. Ma c’è anche un’altra ragione che spiega questa riduzione.

Quale?
Si è verificata negli ultimi anni una progressiva uscita dalle Borse dei grandi investitori istituzionali. Recenti ricerche dimostrano che i fondi pensione dei Paesi anglosassoni hanno ridotto negli ultimi 12-15 anni i loro investimenti azionari dal 70 al 45 per cento del totale.

Qual è il motivo di questa disaffezione degli investitori istituzionali per le Borse?
I mercati azionari, negli ultimi tre lustri, hanno subito vari crolli. Prima c’è stato lo scoppio della bolla Internet nel 2000. Poi, nel 2001, l’attacco alle Torri Gemelle. La storia più recente, dal 2008 in poi, è la cronaca della crisi finanziaria ed economica più imponente dal lontano 1929. E’ chiaro che in queste circostanze chi ha investito in Borsa in questi anni non ha guadagnato molto. E’ per questo che i fondi pensione hanno ridotto la loro esposizione verso i mercati azionari, diversificando i loro investimenti.

Il progetto Elite è la vostra risposta a tutto questo?
Certamente. Noi abbiamo cambiato il nostro modello di interlocuzione con le imprese, che prima era basato solo su incontri istituzionali nelle principali località italiane. Il nuovo “format” assomiglia molto a quello dei social network. Abbiamo utilizzato un linguaggio nuovo per avvicinare le imprese al mercato dei capitali in maniera più soft. I risultati ci danno ragione.

Quali imprese selezionate e comunque quali sono più interessate al progetto Elite?
Si avvicinano a noi soprattutto le imprese che hanno la volontà di crescere. Si pensi ai migliori esempi di successo degli anni passati, da Tod’s a Luxottica, da Campari a Brembo: queste aziende hanno trovato nella Borsa ciò che cercavano, cioè i fondi per crescere. Purtroppo l’Italia è per tanti motivi, ormai, un paese che vive più di rendita che di crescita. Le famiglie imprenditoriali hanno privatamente accumulato immobili, azioni e altri investimenti, ma raramente le loro aziende hanno avuto voglia di crescere e internazionalizzarsi. Ma qualcosa sta cambiando, per fortuna.

Dottor Jerusalmi, gli scandali a ripetizione che hanno ultimamente colpito grandi aziende quotate, da Fonsai a Mps, da Saipem a Finmeccanica, non hanno nociuto alla Borsa italiana dandole una patente di inattendibilità?
Io credo che gli errori manageriali puniscano soprattutto le singole società e non l’intero mercato. E comunque va ricordato che errori del genere sono presenti anche altrove. Certo, come Borsa non possiamo essere contenti di tutto ciò: con il tempo andremo a verificare le esatte conseguenze che avranno avuto queste vicende. Ma la verità è che, anche in mezzo agli scandali, le aziende che andavano bene continuano a far bene. Guardiamo alcuni casi di eccellenza: da Ferragamo a Diasorin, da Cucinelli a Pirelli e a tante altre, le loro storie sono avulse dall’andamento del mercato e vanno oltre ogni scandalo. Sono altri i fattori che davvero danneggiano il mercato.

Quali?
Casi come Parmalat, perché è una frode che mina la fiducia del mercato bypassando la struttura di controllo che va dai revisori alla Consob. I casi che lei ha citato, invece, ritengo siano più che altro forme di errori manageriali che danneggiano soprattutto le aziende, mentre non sono stati violati i regolamenti di Borsa. Un altro fattore che potrebbe danneggiare il mercato è la Tobin Tax.

Perché?
C’è una tassa che in Italia partirà il primo marzo per le azioni e il primo luglio per i derivati. Negli altri paesi europei partirà il primo gennaio del 2014. Ebbene, l’effetto di questa tassa sarà quello di rendere più conveniente l’acquisto di azioni di altri paesi nella prima fase e al di fuori della Ue nella seconda. Che senso ha tutto ciò?». Torniamo ancora sui recenti scandali.

C’è stata una mancanza di controlli?
Non credo. I controlli ci sono e sono stringenti. Molto è dipeso dall’etica del management e in qualche caso anche dai consigli d’amministrazione. Credo piuttosto che se la frode o la mancata comunicazione assumono forme così ampie, siamo di fronte a un problema culturale.

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