Passato il voto, Telecom accelera la vendita della tv

 

 

Telecom Italia è una società privata che non rinnega le sue radici, che affondano nel settore pubblico. È la sensazione che emerge di fronte alla complessa e macchinosa trattativa per la cessione de La7. A leggere le cronache dell’operazione, mi è tornato in mente un dossier che conosco bene: il tentativo di cessione della Sme per opera di Romano Prodi a metà degli anni Ottanta.
 
Nella cessione di Telecom Italia Media non è stato chiaro fino all’ultimo quale fosse l’esatto oggetto della vendita: la società tutta, le reti tv, la sola La7, i soli multiplex e via dicendo. Inoltre, un po’ come accadeva nelle società delle vecchie partecipazioni statali, l’asta è stata preceduta e accompagnata da una vivace dialettica nel cda tra chi voleva vendere e chi frenava. Terzo, al tavolo delle trattative è sempre stato presente un convitato di pietra: la politica in senso lato, non un governo o un ministro. Al punto che, una volta scelta la proposta di Urbano Cairo, questi è stato sottoposto a un esame di “berlusconità” per accertare il suo grado di “distanza” dal suo ex datore di lavoro di 30 anni fa. Telecom Italia, insomma, non si è comportata con la rapidità e l’efficienza che si richiede a una società che deve competere sui mercati.
 
Ci sono voluti tempi biblici per prendere atto che la produzione di contenuti non è un possibile core business del gruppo. Poi, una volta deciso che l’attività tv non era strategica, di fronte alla crescita geometrica delle perdite (non contrastate da interventi tempestivi), la società si è persa nell’elaborazione di presunti piani di riorganizzazione e rilancio, che si sono rivelati una perdita di tempo. Oppure si sarebbe dovuto dare il via a un piano drastico di tagli. Al contrario, forse per paura di rivalse politiche di personaggi tv che è meglio non disturbare, si è scelta la politica dell’attesa. Finalmente, a pochi giorni dalle elezioni, si è dato il via alla trattativa in esclusiva con Cairo, da finalizzare dopo il voto. Una trattativa che, vista da fuori, sembra perfino “precipitosa” nonostante la lunga fase di gestazione.
 
Restano da definire l’entità della “dote” da assegnare a Cairo così come il numero dei dipendenti o la quantità della pubblicità che Telecom assegnerà alla sua ex emittente. O, non meno importante, l’affitto che La7 dovrà pagare ai multiplex rimasti in casa Telecom. La sensazione è che, con una governance di questo tipo, la più importante tlc italiana farà fatica ad affrontare i prossimi appuntamenti con un mercato difficile, che richiede scelte drastiche. L’Ue preme per promuovere alleanze e fusioni tra gli ex monopoli pubblici, che stentano a tenere il passo con una congiuntura negativa. In questa cornice Telecom, oppressa dai debiti e guidata più per dovere che per convinzione da azionisti che non vedono l’ora di uscire, non sembra messa bene.
 
Complimenti, invece, a Urbano Cairo: un editore puro che conosce bene punti di forza e debolezza di La7, di cui è da molti anni “l’anima” della pubblicità. Farà certo un ottimo lavoro, in un settore dove a guadagnare oggi sono in pochi. E lui è tra questi.
 
 

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