Se le banche imparassero da Papa Francesco

San Francesco non conosceva l’indice di Gini, cioè l’indicatore che segnala la forbice tra i più ricchi e i più poveri: quando l’indice sale verso 1, vuol dire che il distacco tra i più ricchi e i più poveri sale. Come accade ormai da molti, troppi anni, con effetto perverso sia per i più poveri sia per la classe media che s’avvicina paurosamente alla soglia dell’indigenza. San Francesco non aveva bisogno della scienza della statistica per sapere che una società fondata sulla diseguaglianza è una società debole, capace di vacillare all’avanzare delle difficoltà.

Mai come oggi il messaggio di Francesco è attuale, in una situazione drammatica e perciò potenzialmente assai pericolosa. Ben venga perciò Francesco Papa, che arriva dalla fine del mondo per illuminare la mente di uomini stolti, che hanno preferito i profitti di carta al sostegno all’economia fondata sul lavoro e sull’intelletto. Ben venga il sostegno alle piccole e medie imprese, il motore dell’economia di casa nostra. Cada finalmente il velo che offusca la vista dei banchieri, da anni impegnati a nascondere sotto i tappeti la polvere (o meglio, i macigni che nessuno ha visto o voluto vedere), sollevata da impieghi improvvidi a favore di amici e di raccomandati. Oppure a lucrare i tanti conflitti d’interesse, intessendo una rete di scambi di favore con la finanza ombra, che altro non è se non l’ombra del lato oscuro delle banche. Come hanno ben dimostrato, tra l’altro, i contratti derivati di Monte Paschi, da Alexandria a Santorini ad altri nomi esotici. Operazioni non solo dannose per la banca e profittevoli per le grandi merchant bank internazionali, ma anche triangolazioni con finanziarie amiche da cui spuntavano commissioni del 5% per i dirigenti.

Si mettano una mano sulla coscienza i tanti consulenti, periti, consiglieri di amministrazione delle banche e delle loro controllate, che si spartiscono onori e benefici, mentre il conto lo pagano i clienti tartassati da anni. Ci illumini la preghiera, come ci raccomanda Lei, caro Papa Francesco. In fin dei conti, per far ripartire lo sviluppo sarebbe sufficiente riflettere sul “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Paghi lo Stato i crediti alle imprese che rischiano la bancarotta per non veder riconosciuti i frutti del proprio lavoro. Al contrario, si metta mano alla pulizia: si riconoscano i debiti che non verranno mai onorati, evidenziando le conseguenti perdite e magari i colpevoli. Paghi il conto degli errori chi, in questi anni, ha lucrato bonus e super stipendi su affari che si sono rivelati disastrosi. E si permetta così alle banche di tornare a fare il mestiere di una volta, sostenendo, consigliando e confortando i tanti Brambilla che altro non chiedono che lavorare e trarre un giusto profitto dal loro lavoro dopo aver garantito stipendi ai lavoratori e alle loro famiglie.
Benvenuto, Papa Francesco.

www.pompeolocatelli.it

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