Il Rosso e il Nero – Il settimanale di strategia di Alessandro Fugnoli

Il commento settimanale di strategia curato da Alessandro Fugnoli, strategist del gruppo Kairos

 

QUATTRO SCUOLE – Cambiare il mondo? Certo, ma come?

Vacanze brevi, quest’anno, per i mercati. Gli stress test europei e le misure fiscali e monetarie giapponesi ci terranno occupati nei prossimi giorni e alla fine della settimana prossima sapremo se, sull’occupazione americana, è stato anomalo il dato debole di giugno o quello forte di luglio. Gli stress test sono stati depotenziati man mano si è capita la loro capacità destabilizzante e probabilmente daranno esiti addolciti rispetto a quello che si era andato profilando, ma saranno comunque importanti per capire la strategia dei regolatori e i destini delle singole banche e dei loro titoli.

Quanto alle misure giapponesi, vedremo in scena un nuovo importante episodio della sperimentazione di una linea d’azione congiunta fiscale- monetaria contro la stagnazione. In America questa linea congiunta è stata seguita solo nei primi tre anni successivi alla crisi, dopodiché si è tornati a un’azione esclusivamente monetaria. In Europa la linea congiunta è stata seguita solo un anno e poi, come è ben noto, ci si è buttati sull’austerità fiscale, lasciando la Bce da sola nel sostenere l’economia dell’eurozona.

A fine agosto, come di consueto, policy maker ed economisti di tutto il mondo si riuniranno sotto le montagne di Jackson Hole per discutere di strategia. È qui che fu lanciata e ufficializzata la politica del Quantitative easing negli anni scorsi ed è qui che quest’anno potremmo vedere discusso qualcosa di nuovo in un range che va dalla radicalizzazione delle misure monetarie fino al ripristino dell’azione congiunta monetaria e fiscale, che in alcune versioni tenderà ad avvicinarsi all’helicopter money.

Ci sono molte attese, quest’anno, su Jackson Hole, ma è possibile che alla fine vadano deluse. Ci sarà infatti un convitato di pietra, il nuovo presidente americano, di cui ancora non sarà noto il nome. Sarà poi assente il nuovo Congresso americano, cui spetterà in prima e ultima istanza il compito di decidere la politica fiscale. Ci saranno in cambio la confusione e l’incertezza che in questi anni di ripresa debole sono venuti crescendo non solo sulle misure da prendere, ma sull’analisi stessa della situazione del mondo.

Ci sono, semplificando e facendo una scelta un po’ arbitraria, quattro teorie sul mondo.

La prima è quella della Fed. La Grande Recessione ha certamente cambiato le cose e reso la ripresa particolarmente lenta, ma le leggi fondamentali dell’economia, quelle insegnate nelle università dagli anni Cinquanta in avanti, non sono cambiate. La curva di Phillips funziona ancora e la riduzione progressiva del numero dei disoccupati porterà alla fine inflazione salariale, rendendo necessario un ciclo di rialzo dei tassi. Certo, alla Fed sono persone di mondo e questa linea è stata nel tempo annacquata e resa quasi irriconoscibile, tanto da portare alcuni ad accusare la Fed di predicare i rialzi senza in realtà volerli. Sullo sfondo, però, la curva di Phillips si staglia ancora netta e chiara nella visione della Fed e la induce, se non a realizzare, quanto meno a predicare (come nel comunicato di ieri) l’opportunità di futuri rialzi. La Fed, in altre parole, è espansiva tatticamente, ma rimane sotto sotto preoccupata soprattutto per un futuro possibile eccesso di domanda che potrebbe diventare difficile da controllare. Che cosa succederebbe se alla pressione salariale dovesse poi unirsi una rinnovata disponibilità delle banche ad erogare prestiti, cosa peraltro già visibile in America?

La seconda teoria, quella della Stagnazione Secolare, sostiene invece che di eccesso di domanda non è proprio il caso di parlare perché il problema sta semmai nella sua debolezza. C’è poca domanda, dice Summers, perché la popolazione invecchia e perché le diseguaglianze aumentano. Questi due fattori portano a risparmiare di più e l’eccesso di risparmio provoca una caduta strutturale dei tassi d’interesse. La Fed fa quindi bene a tenere i tassi bassi, ma questo non basta. Occorre stimolare la domanda attraverso la politica fiscale e non abbassando le tasse bensì aumentando la spesa pubblica.

La terza teoria sostiene che non c’è scarsità di domanda ma eccesso di offerta. L’entusiasmo dei decenni scorsi ci ha lasciato in eredità una quantità eccessiva di fabbriche di acciaio e di auto, troppe miniere, troppi pozzi di petrolio, troppe banche in Europa, troppa energia elettrica, troppe fabbriche di semiconduttori e di prodotti elettronici. Alla pressione deflazionistica di questo eccesso di capacità produttiva si unisce quella esercitata dall’innovazione tecnologica. Questa pressione alza i tassi reali, aumenta la propensione al risparmio e riduce quella ad investire. Come sostiene Steven Ricchiuto, capo economista di Mizuho, il problema potrebbe aggravarsi nel futuro prossimo a causa delle attese irrealistiche da parte degli investitori sugli utili delle imprese. Di fronte a una difficoltà crescente ad aumentare i margini, le imprese potrebbero ricorrere di nuovo a licenziamenti, aggravando così la pressione deflazionistica. Il solo rimedio, in questa situazione, è in una riduzione delle attese degli investitori ovvero, in pratica, in una borsa più bassa.

Una quarta teoria vede nell’eccesso di debito che il mondo si porta dietro l’origine dei problemi e quindi il punto da aggredire per risolverli. A sostenerlo è un arco di posizioni che vanno da Rogoff alla Banca dei Regolamenti Internazionali e che sono comunque influenti soprattutto in Europa. Questa scuola considera prioritario non solo e non tanto il risanamento dei conti pubblici, ma soprattutto quello delle banche, che in una prossima crisi potrebbero contagiare tutto il sistema. In generale, disincentivare l’uso del debito e incentivare quello dell’equity dovrebbe costituire una priorità. Al contrario delle altre scuole, più attente al breve termine, questa scuola sostiene che pagare qualche prezzo di breve in termini di ristrutturazioni del debito e default controllati possa portare nel medio periodo benefici e comunque meno danni quando verrà l’ora della prossima crisi.

Comunque vadano le discussioni a Jackson Hole, il loro impatto si sentirà a partire dall’anno prossimo. Fino alle elezioni americane tutto resta affidato al pilota automatico delle politiche monetarie, con la sola eccezione del Giappone. In questo contesto potremo vedere nelle prossime settimane un modesto consolidamento dei rialzi azionari, ma non un’inversione di tendenza.

Come è stato notato, siamo in una strana fase in cui si cercano capital gain sui bond e si cerca rendimento sulle azioni. Raccomandiamo di non esagerare in entrambi i casi. Per avere capital gain sui bond bisogna spostarsi su scadenze lontane e prendere rischi ampiamente asimmetrici (guadagno limitato se va bene, perdite consistenti se va male). Per cercare rendimento sulle azioni si deve andare, soprattutto in America, su multipli elevati, trascurando molti ciclici a buon mercato. L’Europa, terra di ciclici, è a questo punto da preferire all’America.

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