I veri rischi di Deutsche Bank

Ripubblichiamo un articolo scritto nel luglio scorso da Nicola Borri* di www.lavoce.info che prefigurava l’evoluzione negativa delle condizioni di rischio della banca tedesca.

L’enorme esposizione di Deutsche bank sui contratti derivati rischia di produrre un crack dai gravi effetti sistemici? Intanto, l’esposizione effettiva è minore. E le obbligazioni emesse per assorbire le perdite non sono nei portafogli dei piccoli risparmiatori. Come invece accade in Italia.

Quanti sono i derivati di Deutsche Bank

Il nostro governo vuole il via libera a un intervento pubblico nel capitale di alcune banche, in particolare Monte dei Paschi, cercando di sfruttare i margini che la direttiva sul bail-in sembrerebbe garantire per salvare gli obbligazionisti. Secondo Matteo Renzi i veri rischi per il sistema finanziario non sono i crediti deteriorati delle nostre banche, ma piuttosto i derivati di altre. Pensa a Deutsche Bank che, a fine dicembre 2014, aveva una esposizione, misurata dal valore nozionale di tutti i contratti derivati, pari a circa 50mila miliardi di euro, tra quattro e cinque volte il Pil annuale degli Stati Uniti. La proposta del capo-economista della banca tedesca di creare un fondo europeo di circa 150 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche fa suonare un campanello di allarme. Vi è forse il rischio di un crack finanziario con gravi effetti sistemici moltiplicati dalla esposizione sui derivati?
Un po’ di chiarezza sull’esposizione di Deutsche bank ai derivati, perché rifarsi a quella “nominale” è fuorviante.
Se DB ha venduto alla banca A un derivato che la impegna a pagare 100 se i tassi di interesse salgono e alla banca B uno per lo stesso importo se i tassi scendono, l’esposizione nominale è 200. Ma, naturalmente, i tassi di interesse possono scendere oppure salire e, quindi, l’esposizione effettiva è di 100. Inoltre, andrebbe valutata la probabilità associata alla variazione attesa dei tassi di interesse.
È perciò utile guardare al valore di mercato netto, pari a 19 miliardi di euro, o lo 0,03 percento della posizione nominale. In caso di fallimento di una controparte, pagamenti attesi su derivati utilizzati come coperture per altre posizioni si vaporizzano. Per questa ragione, le ultime modifiche alla regolamentazione bancaria privilegiano la creazione di istituti intermedi di compensazione che richiedono alle parti garanzie (margini) funzione del valore di mercato delle posizioni in derivati.
Per Deutsche bank, poco meno della metà del valore nozionale totale dei derivati viene regolato attraverso una stanza di compensazione centrale e poco meno di un terzo attraverso canali bilaterali. L’esposizione della banca tedesca rispetto ai derivati da un lato è legata al suo modello di business principale, di banca d’affari e non commerciale, e dall’altro spiega il suo elevato contributo al rischio sistemico, come sottolineato dal Fondo monetario internazionale. Avendo rapporti con tantissimi altri istituti, un suo fallimento avrebbe effetti “sistemici.” Ma, di per sé, questo non significa che la sua probabilità di default sia più elevata di quella di altre banche.
Allo stesso tempo, Deutsche bank non è certo in buona salute. Il cambio di leadership, nel 2015, ha dato il via a un piano di riorganizzazione (tra le altre misure, razionalizzazione dei costi, taglio dei dipendenti, cessione di asset come Postbank) che non ha ancora dato gli effetti sperati. E, infatti, ha perso in borsa circa il 45 per cento da inizio anno: più della media delle banche europee. Il valore di mercato vale solo il 27 per cento rispetto a quello di bilancio. La stessa misura vale il 60 per cento per Intesa e un misero 9 per Monte dei Paschi. Oltre alle difficoltà comuni alle altre banche europee, l’istituto tedesco offre bassi tassi di rendimento sul capitale ed è ancora esposto al rischio di multe salate per vari scandali di cui è stato protagonista (Libor e mutui sub-prime, per esempio).

Sconti fiscali per i piccoli risparmiatori

Secondo molti analisti, Deutsche bank dovrà chiedere nuove risorse al mercato, dopo i quasi 20 miliardi di euro raccolti a partire dal 2009. E, non a caso, le sue obbligazioni CoCo, un ibrido tra obbligazioni e azioni pensato per assorbire le perdite, hanno perso molto del proprio valore. Queste obbligazioni sono nei portafogli di investitori specializzati e, quindi, il governo tedesco non si trova oggi nella condizione di dovere rispondere a elettori infuriati. Al contrario, obbligazioni subordinate, non tanto diverse dalle CoCo, emesse dalle banche italiane, sono nei portafogli di tanti piccoli risparmiatori (per circa 30 miliardi di euro).
Piuttosto che con i derivati e la finanza “cattiva”, il nostro governo dovrebbe prendersela con chi ha consentito, o non ha impedito, che certi prodotti finissero nei portafogli dei piccoli risparmiatori.
Nel frattempo, se non sarà possibile evitare una loro compartecipazione alle perdite, si può quantomeno intervenire garantendo “sconti” fiscali proporzionali alle eventuali minusvalenze. Per esempio, potrebbero essere utilizzate per ridurre la base imponibile non solo dei redditi da attività finanziarie, ma anche da lavoro. Il regime potrebbe essere facilmente esteso, per un arco di tempo ristretto e limitatamente ai piccoli risparmiatori, alle minusvalenze prodotte da altre attività finanziarie, per evitare ogni accusa di violazione della direttiva sul bail-in. Al contrario, la legislazione fiscale corrente consente solo di compensare eventuali plusvalenze, da attività finanziarie, con le minusvalenze maturate negli ultimi quattro anni.

* Nicola Borri è ricercatore della Luiss Guido Carli dal 2009. Dopo laurea e master in Economia Politica all’Università Bocconi, ha conseguito il PhD in Economics presso la Boston University. Le sue principali aree di ricerca sono asset pricing e finanza internazionale. Il suo paper Sovereign Risk Premia (con Adrien Verdelhan) ha vinto il premio come miglior paper del ABI Country Risk Forum e il 2010 WRDS Best Paper Award della European Financial Management Association.

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